Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5020 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.28/02/2017),  n. 5020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23477-2012 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, in persona della dott.ssa T.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA,12, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO BADO’, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ EDITRICE INFORMAZIONE – S.E.I. SRL, in persona

dell’Amministratore Unico e legale rappresentante sig.

F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62,

presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO RIBAUDO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO GRANELLI

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4522/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato FABRIZIO BADO’;

udito l’Avvocato SEBASTIANO RIBAUDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 8214/05 il Tribunale di Roma, pur ritenendo illegittimo il recesso operato da Telecom Italia S.p.a., con la lettera 7 maggio 2001 in relazione al contratto del 15 gennaio 1988 inerente all’espletamento del servizio AUDIOTEL senza operatore di in formazione/pubblicizzazione di appalti pubblici tramite particolari numerazioni, rigettò, per difetto di prova, la domanda 31′ risarcimento del danno per la sospensione del servizio dal 10 agosto al 12 novembre 2001, proposta dalla Società Editrice Informazione – S.E.I. S.r.l. con compensazione delle spese della fase cautelare e del giudizio di merito. La Corte di appello di Roma, con sentenza non definitiva del 20 settembre 2012, pronunciando sull’appello incidentale proposto da Telecom Italia S.p.a. avverso la predetta sentenza, rigettò l’appello incidentale e la domanda di declaratoria di legittimità del recesso dal contratto del 15 gennaio 1998, accolse l’appello principale e, in riforma della sentenza impugnata, condannò Telecom Italia S.p.a. al risarcimento dei danni in favore di Società Editrice Informazione – S.E.I. S.r.l. e dispose la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza in pari data, con spese al definitivo.

Avverso la sentenza della Corte di merito Telecom Italia S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo illustrato da memorie.

Ha resistito con controricorso la Società Editrice Informazione -S.E.I. S.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha deliberato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

2. Con l’unico motivo di ricorso, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, la ricorrente sostiene che l’attuale controricorrente, nel corso del giudizio di primo grado, non avrebbe fornito “alcun elemento probatorio idoneo a dimostrare la misura economica conseguente al traffico telefonico ricevuto, ante 18.8.2001 e post 12.11.2001” e non avrebbe altresì fornito “alcun documento idoneo a dimostrare i costi sopportati, ante e post i periodi indicati, nè tantomeno i bilanci ufficiali degli anni 2000 – 2001 – 2002 e 2003”, assume che tale carenza probatoria sarebbe imputabile alla controparte, in quanto i documenti attestanti i profitti e i bilanci sarebbero attingibili dalle scritture contabili e sarebbero pubblicati nel Registro delle imprese; lamenta che i documenti in parola siano stati prodotti con l’impugnazione e che su essi la Corte di merito, ritenendoli indispensabili, abbia fondato il riconoscimento del danno. Assume in particolare la ricorrente che la valutazione di indispensabilità della detta documentazione operata dalla Corte territoriale sarebbe valsa a sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado ai sensi dell’art. 184 c.p.c., rilevabili d’ufficio e, quindi, sottratte alla disponibilità delle parti e lamenta, altresì, che la predetta Corte, nel disporre la prosecuzione del giudizio avrebbe anche, a suo avviso, erroneamente formulato il quesito all’ausiliare del giudice.

2.1. Il motivo è infondato in relazione alla lamentata violazione e falsa applicazione della norma codice di rito richiamata nella sua rubrica.

E’ pur vero che, come sostenuto dalla ricorrente, nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, non trova più applicazione il principio secondo cui l’inosservanza del termine per la produzione di documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione, trattandosi di decadenza rilevabile d’ufficio, in quanto sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. 20/11/2006, n. 24606); tuttavia, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 20/04/2005 n. 8203, nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione; peraltro, nel rito ordinario, risultando il ruolo del giudice nell’impulso del processo meno incisivo che nel rito del lavoro, l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti.

E’ stato pure precisato dalla giurisprudenza di legittimità che la possibilità di produrre nuovi documenti in appello, in deroga al divieto previsto dall’art. 345 c.p.c., sussiste sia quando tali documenti siano “indispensabili” (eventualità che ricorre tra l’altro quando il documento è di per sè sufficiente a provare il fatto controverso, a prescindere da tutte le altre fonti di prova), sia quando essi abbiano il mero scopo di rafforzare le prove già raccolte in primo grado, perchè in tal caso la produzione non è destinata ad aprire un nuovo fronte di indagine (Cass. 29/05/2013, n. 13432); inoltre il giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3, (fino alla riforma apportata dalla L. n. 134 del 2012, inapplicabile ratione temporis sia nella fattispecie già scrutinata da questa Corte con la sentenza di cui si riporta il principio sia nel caso all’esame in questa sede) con riferimento al rito di cognizione ordinaria e dall’art. 437 c.p.c., comma 2, per il processo del lavoro, non attiene al merito della decisione, ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte; ne consegue che, quando venga dedotta, in sede di legittimità, l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un error in procedendo è giudice anche del fatto, ed è quindi tenuta a stabilire essa stessa se si trattasse di prova indispensabile (Cass. 25/01/2016, n. 1277).

Nel caso all’esame con l’unico motivo di ricorso proposto non si censura in alcun modo l’indispensabilità dei documenti prodotti in appello sostanzialmente ritenuta sussistente dalla Corte di merito laddove la stessa ha affermato, nella sentenza impugnata, che la documentazione prodotta in appello “ha ulteriormente avvalorato” “il quadro probatorio rappresentato dalle testimonianze e dai documenti depositati in primo grado”, evidenziando che i bilanci degli anni 2001, 2002 e 2003 e le relative note integrative, “da cui si evince con chiarezza il calo drastico del fatturato, confermano l’esistenza di un nesso causale tra il blocco delle chiamate per un intero trimestre derivante dall’illegittimo recesso di Telecom e la successiva, costante, inequivoca rarefazione del ricorso da parte dei potenziali clienti al servizio reso in precedenza dall’attrice, a conferma che l’aver introdotto Telecom sulle linee telefoniche una registrazione che informava che i numeri erano inesistenti ha sostanzialmente comportato la quasi completa fuori uscita dallo specifico mercato per S.E.I. s.r.l.”.

2.2. Risultano poi inammissibili le ulteriori censure, neppure ritualmente veicolate (Cass. 28/11/2014, n. 25332), relative al quesito formulato dalla Corte al C.T.U., risultando il ricorso all’esame proposto avverso la sola sentenza indicata in epigrafe che non contiene alcun riferimento al quesito in questione.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

4. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis risultando che la notifica del ricorso si è perfezionata in data 30 ottobre 2012.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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