Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5020 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. III, 25/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 25/02/2020), n.5020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 10281-2018 proposto da:

N.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S.GIROLAMO

EMILIANI 19, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCHINO D’APICE,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCA

SUCAPANE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE,

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

NO.IG.TE.;

– intimata –

Nonchè da:

NO.IG.TE., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

EZIO, 47, presso lo studio dell’avvocato FABIO FRATTEGIANI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

N.B., MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6004/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

Fatto

RILEVATO

che:

Con ricorso notificato il 27 marzo 2018 N.B. ricorre avverso la sentenza numero 6004-2017 emessa dalla Corte d’appello di Roma, depositata il 28 novembre 2017 con la quale, in accoglimento dell’appello, è stata condannata al pagamento di un indennizzo ex art. 2047 C.C., comma 2 in favore di No.Ig.Te., che l’aveva convenuta in un giudizio, unitamente al datore di lavoro, Ministero degli Affari Esteri, per ottenere il risarcimento per le lesioni provocatele allorchè la ricorrente, in preda a una crisi di schizofrenia da cui era affetta e per la quale aveva temporaneamente sospeso le cure in vista di una gravidanza, l’aveva violentemente colpita sul luogo di lavoro, mentre entrambe si trovavano nei servizi igienici, procurandole un danno biologico valutato nella misura del 14% (frattura cervicale L1), per un totale di Euro 15.000 commisurato al risarcimento di Euro 46.229,00. Il ricorso è affidato a 3 motivi.

Per lo stesso fatto la ricorrente era stata assolta in sede penale perchè il fatto era stato commesso in stato di incapacità di intendere e di volere. Ne nasceva il giudizio civile volto ad accertare, alternativamente e in via gradata, l’addebitabilità del fatto all’incapace ex art. 2046 c.c., per avere indotto detto stato di incapacità interrompendo volontariamente le cure cui da tempo era sottoposta, il diritto della danneggiata a un indennizzo ai sensi dell’art. 2047 c.c., comma 2, ovvero l’accertamento di una responsabilità ex art. 2049 c.c. in capo al Ministero, quale datore di lavoro dell’incapace e dell’infortunata.

Nel primo grado di giudizio il giudice riteneva l’infondatezza della domanda. In riferimento all’azione di cui all’art. 2047 c.c., comma 2, riteneva che fosse stata tardivamente esperita la domanda, logicamente “presupposta”, nei confronti del Ministero ai sensi dell’art. 2047 c.c., comma 1 in veste di soggetto avente la sorveglianza sull’incapace, perchè formulata solo in sede di memoria ex art. 183 c.c., ritenendo quindi inammissibile la domanda di indennizzo rivolta all’incapace ex art. 2047 c.c., comma 2, in considerazione del suo carattere sussidiario rispetto alla fattispecie considerata al comma 1.

La Corte d’appello, adita dalla danneggiata, riteneva invece che la domanda di indennizzo ex art. 2047 c.c. svolta nei confronti dell’incapace era stata correttamente proposta nei confronti del Ministero sin dall’atto di citazione, rilevando che detta azione residuale sia ammissibile anche nel caso in cui non vi sia alcun soggetto cui imputare un onere di sorveglianza sull’incapace, come nel caso di specie. Pertanto, condannava l’incapace al versamento di un indennizzo alla danneggiata, dopo avere comparato le condizioni economiche delle parti; riteneva che, dato che lo stato di incapacità naturale era correlato a una malattia psichica diagnosticata, non potesse imputarsi all’incapace, ex art. 2046 c.c., una piena responsabilità per il fatto di avere interrotto volontariamente le cure; infine riteneva che non potesse essere riconosciuta una responsabilità ex art. 2049 c.c. al Ministero, per culpa in vigilando, dato che le lesioni erano avvenute nel corso di una pausa di lavoro, nei servizi igienici, e dunque non sussisteva un nesso di occasionalità necessaria fra il fatto di prestare servizio all’interno dell’edificio e l’aggressione indirizzata verso un’altra lavoratrice.

La parte controricorrente No. resiste con controricorso notificato, mentre il Ministero non ha partecipato al giudizio. La resistente propone anche ricorso incidentale condizionato in ordine alla ritenuta non applicabilità dell’art. 2046 c.c. che le darebbe diritto a ottenere un pieno risarcimento nei confronti dell’incapace, laddove il giudice considerasse che la ricorrente si è procurata lo stato di incapacità interrompendo volontariamente le cure che ne mantenevano l’equilibrio psicologico, al fine di portare a termine una gravidanza, nonostante il contrario parere del medico che la seguiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Nel caso in esame si pone la questione se la domanda del danneggiato di ricevere un indennizzo dall’incapace che ha determinato un danno ingiusto presupponga o non il previo esperimento di un’azione di accertamento positivo o negativo della responsabilità del sorvegliante ex art. 2047 c.c., comma 1, nell’ipotesi in cui tale figura risulti assente.

2. La Corte d’appello, infatti, ha accolto la domanda di indennizzo del danneggiato, esperita ex art. 2047 c.c., comma 2, nei confronti della danneggiante incapace, dopo avere accertato che il datore di lavoro convenuto non potesse essere considerato al pari di un sorvegliante dell’incapace, e dunque non fosse legittimato passivamente a ricevere una richiesta risarcitoria per il fatto dell’incapace, nè nel caso in questione potesse trovarsi una figura equivalente a un sorvegliante contro cui agire per ottenere il risarcimento del danno provocato dall’incapace. Pertanto, ragionando in tali termini, la Corte di merito ha ritenuto correttamente dedotta la domanda di indennizzo direttamente nei confronti della incapace sin dal primo atto difensivo, superando l’argomentazione dell’appellata, accolta dal giudice di primo grado, in ordine al fatto che il requisito previsto dalla norma ai fini dell’accoglimento della domanda di indennizzo non si fosse realizzato, perchè la domanda era stata esplicitata nei confronti del Ministero, tardivamente, solo nella prima memoria difensiva e nell’atto di appello, valendo essa quale condizione per svolgere la domanda di indennizzo contro l’incapace ex art. 2047 c.c., comma 2.

3. In merito alla suddetta questione si riscontrano alcuni precedenti della giurisprudenza di merito, tra loro discordanti, mentre mancano pronunce del giudice di legittimità. Conseguentemente, data la novità della questione, appare opportuno rinviare la controversia a nuovo ruolo affinchè venga discussa in pubblica udienza con la presenza del Pubblico Ministero.

P.Q.M.

La Corte rinvia il procedimento a nuovo ruolo, affinchè venga discussa in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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