Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 502 del 14/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/01/2010, (ud. 09/11/2009, dep. 14/01/2010), n.502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21462/2008 proposto da:

M.A., titolare della trattoria denominata “La Lampara”,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALLUSTIANA 26, presso lo

studio dell’avvocato IPPOLITO GIULIO RAFFAELE – Studio TOSATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato AZZARELLO Enrico, giusta procura

alle liti a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CALIULO

Luigi, ANTONIETTA CORETTI, LELIO MARITATO, giusta mandato speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 88/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

24/01/08, depositata il 14/02/2008;

udito l’Avvocato Ippolito Giulio Raffaele, (delega avvocato Enrico

Azzarello), difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex art. 380 bis c.p.c..

Si espone nella sentenza ora impugnata che il Tribunale di Catania, previa riunione dei due giudizi, rigettava le opposizioni proposte da M.A. contro la cartella esattoriale avente ad oggetto la somma di L. 91.811.499 pretesa dall’Inps a titolo di contributi e somme aggiuntive per il periodo maggio 1994 – marzo 1999, nonchè contro un’ordinanza ingiunzione emessa dall’Inps (per sanzioni amministrative) relativamente alle stesse omissioni.

Il soccombente proponeva appello e l’impugnazione era rigettata dalla Corte d’appello di Catania. La Corte in particolare riteneva di dare credito a quanto risultante dal verbale di accertamento di data 15.6.1999, sulla base di valutazioni evidenzianti la maggiore attendibilità delle dichiarazioni rese da taluni lavoratori ai pubblici ufficiali in occasione della compiuta ispezione, rispetto a quelle rese successivamente in sede di deposizione testimoniale.

La Corte motivava anche circa il carattere subordinato del rapporto intrattenuto da M.G., nonostante il vincolo di parentela, stante l’osservanza di un orario di lavoro nello svolgimento delle mansioni di cuoco, il percepimento di una retribuzione settimanale e il godimento di ferie, e circa la sussistenza di un analogo rapporto tra il Ma. e l’appellante.

Il M. ricorre per cassazione. Nella relativa esposizione dello svolgimento del processo sostiene che in primo grado l’opposizione relativa alla ordinanza ingiunzione avente ad oggetto la somma di L. 2.030.000 per sanzioni amministrative era stata accolta in primo grado e che il relativo capo non era stato appellato. L’Inps resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Deve preliminarmente rilevarsi che, come risulta dagli atti, la sentenza di primo grado (Tribunale Catania 2.12.2003), ha accolto l’opposizione all’ordinanza ingiunzione per la sanzione amministrativa, rigettando invece la (sola) opposizione alla cartella esattoriale, compensando le spese, sicchè l’appello ha avuto espressamente ad oggetto solo il mancato accoglimento di quest’ultima opposizione.

Il ricorso per cassazione ora all’esame deve ritenersi inammissibile per la inidonea esposizione dei fatti di causa (requisito previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1) e in particolare per il pressochè totale mancato riferimento alle rationes decidendi della sentenza censurata, rispetto a cui è individuabile solo qualche frammentario e insufficiente cenno nell’ambito della esposizione del terzo motivo, nonchè per la inidoneità dei singoli motivi.

Infatti anche la formulazione dei tre motivi comporta la loro inammissibilità. Infatti con il primo si fa valere la tesi apodittica secondo cui i compensi percepiti dal figlio del titolare costituivano partecipazione agli utili e il relativo quesito ex art. 366 bis c.p.c., è inidoneo in quanto contiene l’affermazione, da intendersi come riferibile esclusivamente alla specie, secondo cui “le competenze percepite dal convivente figlio del titolare dell’azienda non costituiscono retribuzione assoggettabile all’assicurazione obbligatoria INPS”.

Il secondo motivo è analogamente puramente assertivo circa la prestazione solo occasionale di opera da parte di Ma.

B., nipote del titolare.

Il terzo motivo, deducente violazione degli artt. 116 e 416 c.p.c., contiene una esposizione non chiaramente articolata di doglianze circa la decadenza dell’Inps da attività probatoria, in quanto tardivamente costituito in primo grado, e circa l’inidoneità probatoria in sè dei verbali ispettivi. Esso è sicuramente inammissibile per l’inidoneità del conclusivo principio di diritto, così formulato: “la tardiva costituzione in giudizio dell’Inps determina la decadenza dai mezzi di prova a sostegno delle dichiarazioni contenute nel verbale ispettivo”, privo del carattere della astrattezza e generalità e di decisività.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio vengono regolate in base al criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Inps le spese del giudizio in Euro 30,00 per esborsi, oltre Euro duemila per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010

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