Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 502 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 11/01/2017, (ud. 26/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27574-2012 proposto da:

C.N.M., (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLE CARROZZE 3, presso l’avvocato GIUSEPPE COMUNALE, che

lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., (per incorporazione della SANPAOLO IMI S.P.A.

nella BANCA INTESA S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI

15, presso l’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANGELO FIORITO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2921/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIUSEPPE COMUNALE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso e condanna alle spese;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato ANGELO FIORITO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La CARIPLO (Cassa di Risparmio delle Province Lombarde) aveva ottenuto decreto ingiuntivo per scoperto di conto corrente e accessori nei confronti dei correntisti C.N.M. e G.R., per oltre 3 miliardi di Lire. Questi ultimi, opponendosi, evidenziavano di aver ceduto, pro solvendo, alla Cariplo, il 17 dicembre 1991, un credito maturato nei confronti della s.r.l. Costruzioni Andreotti per oltre 1 miliardo di Lire a garanzia di un’apertura di credito nei loro confronti e di aver verificato che, nonostante il credito fosse esigibile dall’aprile 1992, la Cariplo non si era in alcun modo attivata per l’esazione dello stesso sino a che la stessa non era stata ammessa alla procedura di amministrazione controllata e successivamente a concordato preventivo. Tale inerzia era ingiustificata tanto più perchè la Cariplo aveva effettuato finanziamenti alla società nel periodo successivo alla cessione.

Il giudizio di merito si concluso con un rigetto dell’opposizione in ordine all’eccezione formulata nei confronti della cessionaria. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15677 del 2009 ha cassato con rinvio la sentenza d’appello affermando che nella cessione del credito ai sensi dell’art. 1198 c.c. grava sul cessionario l’onere di dare la prova al cedente dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del ceduto, mediante un’escussione infruttuosa. Deve essere provato che la mancata realizzazione del credito sia dovuta non a negligenza nell’iniziare o proseguire le istanze contro il debitore, essendo il cessionario tenuto a comportamenti volti alla tutela del credito anche mediante provvedimenti conservativi e cautelari. Doveva essere applicato, anche nella specie, il generale e consolidato principio secondo il quale il creditore deve provare ai fini della domanda di adempimento la fonte negoziale del suo diritto e il termine di scadenza mentre deve solo allegare l’inadempimento del debitore, essendo quest’ultimo gravato della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa costituito dall’esatto adempimento.

La Corte d’Appello di Milano investita, in sede di rinvio, della decisione sulla base dell’applicazione dei principi di diritto posti dalla sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la decisione di rigetto dell’impugnazione rilevando che l’onere della prova dell’adempimento spetta al debitore ma può essere assolto anche dimostrando che, pur impiegando la dovuta diligenza per adempiere alla prestazione dovuta, l’adempimento non è stato possibile per causa a lui non imputabile. Può pertanto essere provato che l’inerzia nell’esazione del credito non ha arrecato nessun danno al creditore perchè il debitore non era comunque in grado di adempiere. Secondo la Corte territoriale questo è ciò che è accaduto nella specie, essendo il debitore già insolvente quando il debito è divenuto esigibile. La società aveva scarsissima liquidità già al 31/12/91 come attestato dalle situazioni patrimoniali prodotte ed, inoltre, l’eventuale adempimento del debito sarebbe stato soggetto a revocatoria della L. Fall., ex art. 67; il finanziamento eseguito dalla CARIPLO era garantito da ipoteche prestate da terzi datori, era un credito di scopo, in quanto finalizzato all’esecuzione di un fabbricato sul quale sarebbe gravata l’ipoteca ed alla fine non venne erogato.

In conclusione secondo la Corte d’Appello l’istituto di credito ha provato che l’inerzia nell’attivarsi per il recupero del credito nessun danno ha cagionato ai cedenti.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso C.N.M. anche in qualità di cessionario del credito del G.. Ha depositato controricorso l’istituto bancario. Vi sono memorie di entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 156 e 352 c.p.c. e la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa notifica agli appellanti dell’avviso recante la fissazione della discussione orale della causa. Tale omissione determina una violazione del principio del contraddittorio idoneo a rendere invalida la decisione impugnata senza che sia necessario dedurre specificamente la lesione effettiva del diritto di difesa essendo mancata agli appellanti la possibilità di partecipare alla discussione e di replicare alla conclusionale avversaria, così ingiustificatamente perdendo una scansione necessaria del contraddittorio.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e degli artt. 1260 – 1267 c.c. per non avere la Corte d’Appello applicato i principi consolidati elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali grava sul cessionario l’onere di dare la prova dell’insolvenza del ceduto ed in particolare: che esso sia stato infruttuosamente escusso; che la mancata realizzazione del credito per totale o parziale insolvenza del debitore ceduto non sia dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o proseguire le istanze verso il medesimo debitore ed, infine, che quest’ultimo abbia tenuto un comportamento volto alla tutela del credito. Nella sentenza impugnata sono stati applicati due diversi principi non indicati dalla Corte di Cassazione. E’ stato affermato che anche usando la massima diligenza il cedente non avrebbe conseguito la soddisfazione del proprio interesse e che conseguentemente dall’inerzia non è conseguito alcun danno.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 1260 c.c. ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata per aver posto a base della decisione argomenti inconferenti in quanto estranei all’oggetto del giudizio che avrebbe dovuto incentrarsi sulla verifica della diligenza del cessionario e non sulla prevedibilità della sua inutilità. La banca ha violato gli obblighi scaturenti dalla cessione nei confronti del cedente posto che sarebbe stata tenuta ad operare diligentemente e a conservare intatte l’efficienza giuridica del credito e le possibilità di soddisfacimento anche parziale del medesimo. Anche sul piano della sufficienza delle argomentazioni nessuna circostanziata giustificazione viene addotta in ordine all’inerzia soprattutto a partire dalla scadenza del debito (4/4/92) fino all’amministrazione controllata, del dicembre. La dedotta scarsissima liquidità è meramente dichiarata e l’assoggettamento a revocatoria dell’eventuale pagamento costituisce un’argomentazione arbitraria. In conclusione la Corte ha omesso di considerare un fatto decisivo ovvero il comportamento negligente della banca che avrebbe condotto ad affermarne la responsabilità.

Il primo motivo è fondato, risultando incontestato l’omesso avviso al ricorrente dell’udienza nella quale si sarebbe tenuta la discussione orale.

Il modulo decisorio a trattazione mista, stabilito per il procedimento di cognizione di primo grado dall’art. 281 quinquies c.p.c., comma 2 è stato esteso anche al giudizio di secondo grado ancorchè con una diversa articolazione endoprocedimentale a seconda che il giudizio di appello si svolga davanti al giudice monocratico (art. 352 c.p.c., comma 5) o alla Corte d’Appello (art. 352 c.p.c., comma 2), come nella specie. In quest’ultima ipotesi a differenza che nel giudizio davanti al giudice monocratico, la discussione segue alla concessione del termine sia per il deposito delle comparse conclusionali che delle repliche. La discussione orale è fissata per un’udienza stabilito con decreto presidenziale comunicato alle parti. Nonostante la completezza delle difese scritte che caratterizzano l’assunzione del modello a trattazione mista davanti la Corte d’Appello e nonostante l’equipollenza tra i due moduli decisori e l’irrilevanza ai fini dell’effettività del diritto di difesa dell’omessa fissazione d’udienza (Cass. 18618 del 2003 e 464 del 2016), deve ritenersi che, una volta fissata con decreto l’udienza di discussione, l’omesso avviso ad una delle parti costituisce un vulnus insanabile all’esercizio del diritto di difesa in quanto produttivo di un’oggettiva alterazione della parità delle armi (Cass. 1786 del 2016 ancorchè con riferimento al procedimento di secondo grado davanti la Commissione Tributaria).

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei rimanenti.

Alla declaratoria di nullità della sentenza consegue la cassazione con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione perchè sani la violazione del diritto di difesa dovuta all’omesso avviso dell’udienza di discussione ad una delle parti e decida nel merito in sede di rinvio.

PQM

Accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche in ordine alle spese processuali del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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