Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5018 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. II, 24/02/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 24/02/2021), n.5018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23809/2019 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO

RIBOTY, 23, presso lo studio dell’avvocato VALERIA GERACE, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimata –

avverso il PROVVEDIMENTO N. CRONOL. 8425/2019 del TRIBUNALE di

ANCONA, depositato il 25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il giudizio trae origine dalla domanda presentata da A.S., cittadino proveniente dal (OMISSIS), con la quale chiedeva alla Commissione Territoriale di Ancona il riconoscimento della protezione internazionale nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o umanitaria.

1.1. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal Bangladesh perchè in pericolo per via delle persecuzioni perpetrate dai vicini di casa e per aver contratto debiti che non era in grado di saldare.

1.2. Il Tribunale di Ancona, con ordinanza n. 8425/2019, confermando l’orientamento precedentemente espresso dalla Commissione territoriale, rigettava il ricorso in quanto, anche a voler ritenere credibili le dichiarazioni, i fatti dallo stesso denunciati a sostegno della domanda risultavano confinati nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune e potevano trovare adeguata tutela nel paese d’origine stante la generale efficienza del sistema giudiziario ivi operante. Il Tribunale escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria disciplinata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non sussistendo nel paese di provenienza una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato sulla base di una pluralità di fonti internazionali atte ad escludere che la sola presenza di civili nell’area in questione potesse costituire un pericolo per la loro vita ed incolumità. Quanto, poi, all’istanza di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il Tribunale concludeva per l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento di tale forma di tutela dal momento che, dal quadro delineato mediante il richiamo alle COI consultate, non poteva ritenersi configurabile una situazione, nel Paese d’origine del richiedente, di compromissione del nucleo fondamentale dei diritti umani. A ciò si aggiungeva poi il difetto dell’ulteriore condizione richiesta per il riconoscimento della misura in esame – integrazione del richiedente nel Paese di destinazione – non avendo il ricorrente alcun impiego in Italia e non rappresentando la patologia dallo stesso documentata con certificato medico un motivo ostativo al rimpatrio forzoso.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione A.S., sulla base di tre motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951 nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per avere il Tribunale, nel ritenere insussistenti i presupposti per la concessione delle misure di protezione invocate, violato il dovere di cooperazione istruttoria sullo stesso gravante di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avvalendosi di fonti inattendibili.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura l’omesso e/o errato esame della storia del ricorrente in relazione alla situazione di violazione dei diritti umani in Bangladesh, per aver il Giudice di merito rigettato le domande di protezione internazionale senza, tuttavia, verificare l’effettiva situazione di sistematica violazione dei diritti umani in essere nel Paese d’origine del richiedente.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della Direttiva Europea 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’onere probatorio, per aver il Tribunale rigettato le misure di protezione internazionale invocate facendo unicamente leva sull’elemento della non credibilità del ricorrente – giudizio, peraltro, contestato da parte ricorrente -, con ciò risultando inadempiente al dovere normativamente prescritto di cooperazione istruttoria.

3. I motivi, che, per la loro connessione, meritano una trattazione congiunta, sono inammissibili.

3.2. In primo luogo, osserva il collegio che il Tribunale non ha messo in discussione la credibilità del racconto ma ha ritenuto che la vicenda posta a fondamento della richiesta di protezione internazionale avesse carattere privato. Il ricorso non coglie, pertanto, la ratio decidendi e si diffonde nel richiamo di principi di diritto e massime giurisprudenziali del tutto avulse dal caso concreto.

3.3. Con riguardo allo status di rifugiato, la vicenda narrata non identifica quindi alcuno degli atti di persecuzione indicati dal D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 7.

3.4. Quanto alla protezione sussidiaria, va precisato che la nozione di trattamento umano e degradante è in evoluzione nella giurisprudenza di legittimità nel senso che non può essere confinata al caso in cui il pericolo di danno grave provenga da agenti non statali ma anche da soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26823). 3.5. Nel caso di specie, il ricorrente non ha allegato di aver investito le autorità del paese di provenienza in relazione ai fatti denunciati ed il giudice di merito ha comunque accertato la generale capacità del sistema giudiziario ivi operante, come emergente dal rapporto di Amnesty International 2017-2018, non specificamente contestato dal ricorrente.

3.2. La situazione è radicalmente diversa per la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), per la quale sussiste sempre il dovere di cooperazione istruttoria, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente (Cass. civ., sez. 1, ord. 10826, del 29.05.2020). Ebbene, in attuazione di tale dovere, il Tribunale ha adempiuto all’obbligo di cooperazione istruttoria officiosa allo scopo di escludere l’esistenza nel paese di origine del richiedente di una condizione di tensione interna derivante da conflitti armati di tale intensità da esporre ad un danno grave la vita di chiunque per il solo fatto della presenza in quel luogo, e lo ha fatto correttamente attingendo le informazioni sul paese d’origine del richiedente da fonti internazionali (pag. 2, 3 e 5 sentenza), in ossequio a quanto previsto dalla previsione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Il Tribunale ha fatto espresso riferimento al rapporto EASO 2017 ed al Country Policy and Information Note, che escludevano come la sola presenza di civili nell’area in questione potesse costituire un pericolo per la loro vita ed incolumità.

3.3. Quanto, poi, alla censura concernente l’inattendibilità delle fonti consultate, preme richiamare l’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire al Corte di legittimità l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. civ., sez. I, 21/10/2019, n. 26728).

3.4.Infine, con riguardo alla misura avente ad oggetto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, nell’applicare la disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, il Tribunale ha fatto corretta applicazione delle condizioni cui è subordinato il rilascio di siffatta misura, concludendo per l’insussistenza di una situazione di vulnerabilità in capo a parte ricorrente. In particolare, sulla base delle informazioni sul paese di provenienza, il Tribunale ha ritenuto l’inesistenza del rischio, in capo al ricorrente, di essere immesso, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili. Nel corroborare siffatta conclusione, il Tribunale evidenziava altresì il difetto dell’ulteriore condizione richiesta per il riconoscimento della misura in esame integrazione del richiedente nel Paese di destinazione – non avendo il ricorrente alcun impiego in Italia. Quanto alle ragioni di salute, il Tribunale ha accertato che la patologia risultante dal certificato medico non era ostativa al rimpatrio forzoso ed il ricorso non solo non allega il contenuto del certificato medico ma non contesta in modo specifico la decisione adottata dal primo giudice, limitandosi a ribadire i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Nel pervenire alla conclusione di rigetto, quindi, il Tribunale ha applicato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass. civ., sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

4.1. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

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