Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5016 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 02/11/2016, dep.28/02/2017),  n. 5016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11455/2014 proposto da:

V.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROSANTONIA MENNUNI, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso

per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4144/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato ROSANTONIA MENNUNI;

udito l’Avvocato dello Stato VINCENZO RAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato nel giudizio, davanti al salute, chiedendo il contagio con il virus sangue infetto da lui subite nell’anno 1974.

Aggiunse, a sostegno della domanda, che le trasfusioni si erano rese necessarie per la cura di una patologia particolarmente grave da cui era affetto (leucemia), che il contagio con il virus era stato accertato nell’anno (OMISSIS) e che aveva, in data 19 luglio 1999, inoltrato domanda amministrativa per il riconoscimento dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, accolta all’esito del procedimento.

Nel costituirsi in lite, con comparsa depositata nei venti giorni prima dalla udienza di trattazione siccome differita ex art. 168-bis c.p.c., comma 5, il convenuto Ministero eccepì la prescrizione del diritto per decorso del termine quinquennale a far data dalla presentazione della domanda di indennizzo amministrativo.

Il Tribunale di Milano, accogliendo detta eccezione, rigettò la domanda, decisione confermata dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 4144/2013.

Avverso questa pronuncia ricorre per Cassazione, affidandosi a quattro motivi, V.A.; resiste, con controricorso, il Ministero della Salute, con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e art. 168-bis c.p.c., comma 5, per avere la sentenza reputato tempestiva la eccezione di prescrizione del convenuto Ministero.

Parte ricorrente sostiene, in particolare, che, in quanto il differimento della prima udienza era avvenuto con decreto emesso oltre la data prevista per la prima comparizione, detta eccezione, non rilevabile di ufficio, doveva essere proposta con comparsa depositata entro venti giorni dalla data di udienza fissata con l’originaria citazione.

In via subordinata, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 166 c.p.c. e art. 168-bis c.p.c., comma 5, per asserito contrasto con gli artt.3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedono che il decreto di differimento dell’udienza debba essere emesso prima della udienza di comparizione indicata in citazione.

Il motivo non ha pregio.

Va al riguardo assicurata continuità all’orientamento, espresso ripetutamente in funzione nomofilattica, secondo cui il termine di cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, entro il quale il giudice designato può, con decreto motivato ai sensi del quinto comma dell’art. 168-bis c.p.c., differire la data della prima udienza, ha natura ordinatoria, in applicazione del generale principio di presunzione di tale carattere dei termini, stabilito dall’art. 152 c.p.c., comma 2. Ciò precisato, in forza del chiaro tenore testuale dell’art. 166 c.p.c., il limite per la tempestiva costituzione del convenuto e per la esplicazione delle attività difensive a pena di preclusione alla stessa correlate (domande riconvenzionali, eccezioni non rilevabili di ufficio, chiamate in causa di terzi) deve essere riferito ai venti giorni prima della data dell’udienza differita e non a quella indicata nell’atto di citazione, ed ancorchè il provvedimento di differimento sia stato adottato oltre il termine di cinque giorni dalla presentazione del fascicolo (così, in linea con Cass., 4 novembre 2003 n. 16526, cfr. Cass., 27 aprile 2005 n. 8897; Cass., 24 gennaio 2011 n. 1567; Cass., 20 febbraio 2015 n. 3459).

Nemmeno ritiene questa Corte di dover sollevare la questione di legittimità costituzionale prospettata da parte ricorrente.

Essa, in primo luogo, appare formulata con riferimento ad aspetto non rilevante nel caso in esame: la paventata lesione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa non discende infatti (come asserisce il ricorrente) dalla possibilità per il giudice di emettere il decreto di differimento anche oltre la data di udienza fissata in citazione, quanto e piuttosto dall’operatività, anche in tale ipotesi, del disposto dell’art. 166 c.p.c., ovvero dallo spostamento in avanti del termine per la costituzione del convenuto.

A tacer della notazione che precede, l’argomentazione dei ricorrenti ripropone, senza profili di reale novità o originalità, dubbi di conformità dell’art. 168-bis c.p.c.alla Costituzione già più volte sottoposti alla Consulta e da quest’ultima dichiarati manifestamente infondati: basti qui il richiamo alla diffusa motivazione della ordinanza Corte Cost. 4 luglio 2013 n. 174, la quale, muovendo dalle differenti rationes sottese alle due fattispecie di rinvio della prima udienza regolate dell’art.168 bis c.p.c., commi 4 e 5, ha reputato che con la correlazione del termine di costituzione del convenuto all’udienza fissata nell’atto di citazione ovvero all’udienza fissata a norma dell’art. 168-bis, comma 5, il codificatore “ha inteso ancorare il calcolo del termine ad un elemento certo (la data della prima udienza fissata nella citazione oppure la data differita dal giudice e comunicata dal cancelliere alle parti costituite), così rispondendo nell’esercizio di una non irragionevole discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali all’interesse pubblico di certezza delle situazioni giuridiche” (per precedenti vagli di costituzionalità dell’art. 166 c.p.c. e art. 168-bis c.p.c., comma 5, v. Corte Cost., 6 maggio 2009 n. 134; Corte Cost., 8 maggio 1998 n. 164).

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto decisivo.

Rileva il ricorrente come la sentenza gravata abbia fatto decorrere il termine di prescrizione (pacificamente quinquennale, nella specie) dalla data di presentazione della domanda amministrativa per il riconoscimento dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, senza tuttavia considerare che a quell’epoca il danneggiato, non aveva ancora conoscenza della malattia contratta e della sua causale riconducibilità alla trasfusione di sangue infetto, e quindi degli elementi integranti la invocata responsabilità aquiliana.

Con il terzo motivo di ricorso rileva, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., comma 4 e art. 2945 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, dolendosi in specie il ricorrente della mancata considerazione, ad opera della Corte di Appello, di eventi interruttivi della prescrizione successivi alla presentazione della domanda di indennizzo amministrativo e, segnatamente, della valenza interruttiva di atti del relativo procedimento amministrativo, quali il ricorso amministrativo avverso il provvedimento di diniego della istanza nonchè il ricorso giudiziario avverso il medesimo provvedimento.

I motivi, suscettibili di congiunta valutazione dacchè afferenti al medesimo tema della estinzione del diritto per prescrizione, sono infondati.

Sulla scia delle pronunce rese in sede di composizione del contrasto dalle Sezioni Unite in data 11 gennaio 2008 (dalla n. 576 alla n. 584), questa Corte ha, con indirizzo ermeneutico del tutto consolidato, affermato che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto infezioni da virus HBV, HIV e HCV per fatto doloso o colposo di un terzo (in specie, per effetto di emotrasfusioni con sangue ed emoderivati infetti) è soggetto al termine di prescrizione (quinquennale, se l’azione è spiegata nei confronti del Ministero della Salute, per essere la responsabilità di quest’ultimo di natura extracontrattuale) che decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Da questa premessa, 1’exordium praescriptionis stato, con monolitico avviso, individuato al più tardi con la proposizione della istanza amministrativa volta al riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992 (per essere in quel momento raggiunto un apprezzabile grado di consapevolezza non solo della malattia, ma anche del nesso causale tra essa e l’emotrasfusione, tanto da invocare quest’ultimo come fondamento della richiesta indennitaria) e non già con la data della comunicazione del responso della Commissione medico-ospedaliera sulla domanda di indennizzo o con gli atti successivi del relativo procedimento amministrativo, eventi riferiti alla diversa prestazione assistenziale ex lege n. 210 del 1992 e non coinvolgenti il profilo soggettivo del credito risarcitorio.

Più specificamente, la presentazione della domanda amministrativa di indennizzo segna il limite temporale ultimo di decorrenza del termine di prescrizione della pretesa risarcitoria, dacchè attesta l’esistenza, in capo all’interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria configurabile (danno, evento produttivo di esso, nesso causale): ciò – si badi – non esclude un concreto riferimento agli accertamenti in fatto (tipicamente rimessi al giudice di merito) in relazione alla consapevolezza del danneggiato, ma essa non può spostare ulteriormente in avanti il dies a quo della prescrizione sibbene rilevare in pejus per il danneggiato, qualora sia positivamente provata la conoscenza, in un’epoca precedente l’inoltro dell’istanza amministrativa, della malattia e della sua rapportabilità causale all’emotrasfusione (da ultimo, Cass., 25 marzo 2016 n. 5964; Cass., 18 novembre 2015 n. 23635; Cass., 22 maggio 2015 n. 10530; Cass., 22 maggio 2015 n. 10551; Cass., 10 dicembre 2014 n. 25964; Cass., 19 dicembre 2014, nn. 26917-26924; Cass., 19 dicembre 2013 n. 28464; Cass., 18 giugno 2013 n. 15207).

Alla stregua degli illustrati principi, si appalesa la infondatezza delle doglianze sollevate: per un verso, la Corte ambrosiana si è correttamente attenuta alla regula juris circa la decorrenza della prescrizione al momento della domanda amministrativa e, acclarato il trascorrere di oltre cinque anni rispetto all’inizio dell’azione in primo grado, in maniera del tutto ineccepibile, ha ritenuto elasso il termine prescrizione e confermato il rigetto della domanda risarcitoria; d’altro canto, le attività esplicate dal danneggiato nell’ambito del procedimento amministrativo finalizzato al conseguimento dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, non rivestono, per quanto sopra detto, efficacia (interruttiva o sospensiva) del lasso temporale prescrizionale.

3. Con l’ultimo motivo di ricorso, sub specie di violazione e falsa applicazione di norme di diritto “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 92 c.p.c.”, il ricorrente assume che “i temi trattati dall’atto di appello” avrebbero dovuto portare la Corte a compensare le spese di giudizio, “sussistendo giusti e gravi motivi”.

La censura è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

In primis, perchè la compensazione delle spese, quale deroga all’ordinario criterio di regolamento secondo soccombenza, costituisce oggetto di una valutazione discrezionale del giudice di merito, incensurabile in Cassazione, viepiù nelle ipotesi in cui si denunci la mancata compensazione; in secondo luogo, per la apoditticità del motivo come in questa sede formulato, laddove il ricorrente, limitandosi ad un insignificante richiamo ai “temi trattati dall’atto di appello” nemmeno minimamente esplicita le gravi ed eccezionali ragioni (giustificative della compensazione secondo l’art. 92 c.p.c., ratione temporis applicabile alla vicenda) asseritamente non considerate dalla pronuncia qui impugnata.

4. Disatteso il ricorso, il regolamento delle spese del giudizio di legittimità si conforma al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata, alla stregua dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): in base al tenore letterale della disposizione, il rilievo della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla integrale refusione in favore del Ministero della Salute delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nell’importo complessivo di Euro 5.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del Magistrato assistente di studio, Dott. R.R..

Così deciso in Roma, il 2 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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