Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5016 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. II, 24/02/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 24/02/2021), n.5016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24204/2019 proposto da:

A.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE BRIGANTI,

ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in FERMIGNANO (PU)

VIA R. RUGGERI 2/A;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 8437/2019 del TRIBUNALE di ANCONA del

25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.L. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere cittadino del Ghana; che all’età di 15 anni, in seguito alla prematura scomparsa dei genitori, aveva dovuto prendersi cura dei due fratelli minori; che per sostenere le spese scolastiche aveva prestato lavoro in qualità di operaio presso un’officina; che il magro stipendio lo aveva indotto a sottrarre del denaro al titolare dell’attività, dopo averne invocato il prestito, peraltro invano; che, anzichè utilizzare la refurtiva per sanare i debiti, aveva preferito impiegare tale somma per raggiungere la Libia, dove aveva lavorato come meccanico fino a quando, nel corso di un attentato dinamitardo, era stato raggiunto da una scheggia metallica che gli aveva provocato la lesione della cornea pregiudicandone la capacità lavorativa; che, nel frattempo, la persona offesa aveva rivendicato telefonicamente la restituzione di quanto indebitamente sottratto minacciandone il deferimento all’autorità giudiziaria; che, privo di titolo idoneo a soggiornare regolarmente in Libia e senza possibilità di godere delle prestazioni sanitarie necessarie a evitare di perdere la vista, maturava il proposito di raggiungere l’Italia.

Con decreto n. 8437/2019, depositato in data 25.6.2019, il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso, ritenendo che le dichiarazioni, anche laddove credibili, restavano confinate nei limiti di una vicenda di natura privata e di miglioramento socioeconomico. Si specificava che il ricorrente non fosse comparso all’udienza fissata per la sua audizione. Sulla situazione del Ghana osservava che dalle fonti internazionali risultava che nel Paese da circa 20 anni esiste una democrazia ben funzionante che tutela i diritti umani e combatte la corruzione. La domanda di riconoscimento dello status di rifugiato doveva essere rigettata in quanto il ricorrente non aveva allegato di essere affiliato politicamente, nè di appartenere a una minoranza etnica e/o religiosa, oggetto di persecuzione: i fatti riferiti, in assenza di atti persecutori diretti e personali, non erano riconducibili alle previsioni di cui alla Convenzione di Ginevra. Anche la domanda di protezione sussidiaria non poteva trovare accoglimento in quanto non veniva in rilievo alcuno dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e neppure una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato (lett. c della suddetta disposizione). Infine, anche la domanda di protezione umanitaria doveva essere respinta, in quanto in Ghana sussistevano strumenti istituzionali con funzione di protezione dei propri membri e in quanto risultava insussistente una condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, tenuto conto dell’inesistenza di problematiche soggettive come quelle tipizzate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a-d); quanto alla valutazione della vulnerabilità per lo sradicamento dal contesto socio-economico-nazionale, nulla era stato allegato.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione A.L. in base a cinque motivi. Resiste il Ministero degli Interni con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 1, art. 11 lett. a) e art. 13 e degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6″, poichè il Giudice si limitava a ritenere irrilevante la vicenda narrata, in quanto vicenda privata e di miglioramento socio-economico, senza argomentare in merito alle ragioni dell’asserita irrilevanza, in rapporto alla critica della decisione della Commissione Territoriale operata dal ricorrente in sede di ricorso e ai documenti allegati, limitandosi a un generico richiamo del provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale.

1.2. – Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la Corte distrettuale avrebbe omesso l’esame delle conseguenze dell’accusa di furto nel contesto dell’attuale sistema giudiziario e carcerario del Ghana; l’elemento di vulnerabilità della minore età al momento della partenza; l’effettivo radicamento in Libia; i problemi all’occhio; la situazione socio-economico-politica del Ghana in base a fonti internazionali aggiornate; gli elementi di vulnerabilità l’uno in rapporto all’altro.

1.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost.; L. n. 881 del 1977, art. 11; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32 e art. 35 bis, comma 9 e comma 11, lett. a) e all’art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32, nonchè agli artt. 2 e 3, anche in relazione all’art. 115 c.p.c.; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6,7 e 14 e al T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2”, poichè il tribunale affermava l’irrilevanza dei fatti narrati senza prendere in esame tutte le dichiarazioni del ricorrente, limitandosi ad affermare quanto già riportato nell’esposizione dei fatti di causa.

1.4. – Con il quarto motivo, il richiedente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 6 e 13 CEDU, all’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e all’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32”, per il ricorrente non sarebbe stato rispettato il principio di effettività del ricorso in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

1.5. – Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la “Nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 1 e 13 e degli artt. 737,135 c.p.c. e art. 136 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6; in subordine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; in ulteriore subordine, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2″, in quanto, il ricorrente partiva dal Ghana nel 2014, ancora minorenne e giungeva in Italia nel 2017, dopo essersi stabilito in Libia per circa tre anni, dove lavorava e dove si sarebbe fermato se non fosse stato ferito all’occhio a causa dei disordini che affliggevano il Paese.

1.6. – In subordine, con riguardo ai precedenti motivi di ricorso, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e T.U. n. 286 del 1998, art. 5, commi 2 ter e 6 e art. 19, comma 2, come modificati dal D.L. n. 113 del 2018”, Ove la Suprema Corte affermi l’applicabilità retroattiva del D.L. n. 113 del 2018, poichè la protezione umanitaria è stata di fatto eliminata, dovrà riconoscersi una portata autonoma del diritto di asilo ex art. 10 Cost., comma 3.

2. – I motivi sono inammissibili.

2.1. – In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 8368 del 2020).

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018; Cass. n. 19443 del 2011).

2.2. – Va, d’altronde rilevato che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa (come già detto), l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

2.3. – Dal canto suo, invece, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è specifica adeguata indicazione.

Laddove, poi, si presenta altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014); ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

2.4. – Ciò detto, va altresì posto in evidenza che i motivi, nei termini in cui sono stati formulati, risultano caratterizzati dal medesimo vizio di assoluta assenza di specificità, in quanto non si confrontano in alcun modo con l’apparato argomentativo della sentenza, limitandosi ad affermazioni di carattere generale, quanto all’interpretazione delle norme pertinenti, e della giurisprudenza anche di merito, accompagnate da mere asserzioni riferite alla specifica situazione della Nigeria (cfr. Cass. n. 18564 del 2020; cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 22980 del 2020; Cass. n. 2125 del 2020).

Viceversa, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare con chiarezza nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilemente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018).

2.5. – Resta, in conclusione, da porre in evidenza come le censure, nel loro complesso, si risolvano nella evidente sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 9275 del 2018); la qual cosa, nella specie, è ampiamente dato riscontrare.

2.6. – Quanto agli effetti del passaggio in Libia, il ricorrente non spiega quale connessione vi sia tra il suo transito per il territorio libico ed il contenuto della propria domanda di protezione internazionale, con ciò rendendo quella parte della sua vicenda effettivamente irrilevante (e altrettanto ciò va detto con riguardo agli effetti della richiesta di applicabilità retroattiva del D.L. n. 113 del 2918, sulla portata autonoma del diritto di asilo ex art. 10 Cost., comma 3). Essa, infatti, va esaminata nel suo nucleo essenziale (ossia, non quello meramente narrativo e di dettaglio) per comprendere la vicenda umana in vista dell’esame della richiesta di protezione internazionale, sicchè la memoria versata in atti fraintende proprio quel citato riferimento normativo. Quest’ultimo – nel suo contenuto precettivo – mira solo, “ove occorra” ad una ricostruzione della vicenda individuale in vista della valutazione complessiva della credibilità del dichiarante, non certo ad ottenere, in ragione del fatto che in un Paese di transito si consuma un’ampia violazione dei diritti umani, puramente e semplicemente l’accoglimento della propria domanda di protezione internazionale, viceversa da valutare considerando essenzialmente le connessioni tra la vicenda individuale con la situazione del Paese di provenienza accertata secondo le regole probatorie già enunciate da questa Corte (Cass. n. 2861 del 2018).

3. – Il ricorso è dunque inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

 

 

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