Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5012 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 25/02/2020), n.5012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20666-2014 proposto da:

MONDOFIN SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 19,

presso lo studio dell’avvocato LUCILLA LENTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRA CLERICI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 506/2014 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 29/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO ANGELO.

Fatto

Mondofin s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento catastale per revisione del classamento e della rendita n. (OMISSIS) notificatole dal locale Ufficio dell’Agenzia del Territorio, con il quale veniva rettificata, con riferimento all’immobile sito in (OMISSIS), censito in catasto al fl. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), subalterno (OMISSIS), la rendita, portata da Euro 5.300, proposta con la dichiarazione Docfa del 21/9/2011, ad Euro 11.511.

Con il provvedimento impugnato, l’Ufficio riportava la rendita a quella stabilita con la sentenza n. 130/2009 della Commissione tributaria provinciale di Lecco, in quanto il cambio di destinazione d’uso dell’immobile (da parcheggio a deposito), dal quale originò la proposta di modifica della rendita con la procedura Docfa, era avvenuto in via di fatto senza che fosse realizzata alcuna opera edile.

Sia in primo grado che in appello le doglianze della società sono state disattese.

Con atto notificato in data 4/8/2014 all’Agenzia delle Entrate – Territorio, la società ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, avverso la sentenza della CTR della Lombardia, depositata in data 29/1/2014, mai notificata.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La contribuente ha depositato una memoria difensiva a ridosso dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Nella camera di consiglio del 21/11/2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

1. Con il primo motivo, rubricato “Nullità della sentenza – Motivazione apparente – Violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato”, la contribuente ha censurato la sentenza impugnata in quanto non rispettosa dei dettami dell’art. 111 Cost.: in particolare, il giudice del merito avrebbe omesso di indicare in sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, o comunque li avrebbe indicati senza una approfondita disamina logico-giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logica del ragionamento.

Secondo la società ricorrente, il giudice di appello si sarebbe limitato ad affermare che “l’avviso di accertamento è adeguatamente motivato come si ricava dal fatto che la contribuente ha proposto un ricorso puntuale ed esaustivo in ogni sua parte”.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Deve rivelarsi che lo stesso ricorso, nella parte in cui si dedica all’esposizione dello svolgimento dei gradi di merito, riporta la motivazione addotta dalla CTR a sostegno della reiezione dell’appello proposto dalla contribuente: “La Commissione Tributaria Regionale ritiene di dover respingere l’appello della contribuente per tre ordini di motivi. Il primo, in quanto l’avviso di accertamento è adeguatamente motivato, come si ricava dal fatto che la contribuente ha proposto un ricorso puntuale ed esaustivo in ogni sua parte.

Il secondo, in quanto l’Ufficio, non condividendo la proposta di variazione della destinazione dell’immobile in questione, da autorimessa a deposito, fatta dalla contribuente con il DOCFA in data 21/9/2011, ha mantenuto ferma la categoria D1, portando la rendita catastale da Euro 5.300 ad Euro 11.511, precedentemente determinata con sentenza conciliativa n. 1340/2009 dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco.

Il terzo, in quanto non è possibile procedere alla modifica della rendita catastale soltanto cambiando la destinazione di un immobile mantenendo la medesima tipologia e le stesse caratteristiche precedenti e senza aver fatto alcuna opera edilizia. Infatti, in sede di classamento, bisogna tener conto di ogni possibile destinazione potenziale e non di quella contingente”.

L’apparato motivazionale a corredo della sentenza impugnata, dunque, esiste ed è congruo; ed in relazione ad esso, come testè trascritto, nessuna deduzione specifica ha svolto la società ricorrente.

2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sul motivo afferente la infondatezza della pretesa. Motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, la società ricorrente, dopo aver riportato uno stralcio della motivazione della sentenza di appello, in cui si dà atto che l’Ufficio non aveva condiviso, in sede di verifica della rendita proposta dalla contribuente con procedura Docfa, il nuovo classamento, riportandolo legittimamente a quello originario, conseguito alla sentenza n. 1340/2009 della CTP di Lecco, ha dedotto che l’Amministrazione non avrebbe dato la prova dei presupposti della modifica del classamento dell’immobile in questione, non essendo sufficiente, all’uopo, il richiamo della citata sentenza della CTP di Lecco.

La ricorrente, inoltre, reitera la denuncia del vizio di motivazione apparente da cui sarebbe affetta la sentenza impugnata.

2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Con riferimento al dedotto vizio di motivazione apparente, già si è detto nell’esame del primo motivo.

Con riferimento, invece, alla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., deve rilevarsi che i fatti sui quali si è basata la modifica del classamento proposto dalla contribuente non sono controversi tra le parti, sicchè in relazione ad essi non può porsi un problema di onere della prova e, di conseguenza, di violazione della norma che ne disciplina il riparto. Infatti, l’Ufficio non ha disconosciuto il cambio di destinazione d’uso dell’immobile (da autorimessa a deposito) rispetto al classamento attribuito con la sentenza della CTP di Lecco n. 1340/2009, ma ne ha escluso la rilevanza in quanto effettuato in assenza di opere edili e senza mutare le caratteristiche strutturali ed ontologiche dell’immobile in questione.

Sicchè, sulla rilevanza del cambio di destinazione d’uso dell’immobile ai fini della modifica del classamento, la sentenza impugnata ha chiaramente affermato che il contribuente, con il Docfa, “non può procedere alla modifica della rendita catastale soltanto cambiando la destinazione di un immobile mantenendo la medesima tipologia e le stesse caratteristiche precedenti e senza aver effettuato alcuna opera edilizia”, dovendosi, in sede di classamento, tener conto di ogni possibile destinazione potenziale e non di quella contingente.

2.2 Orbene, tale ratio decidendi, che può compendiarsi nel principio che il cambio di destinazione d’uso cui non si accompagnino modifiche strutturali dell’immobile non comporta alcuna modifica del classamento catastale, non è stata fatta oggetto, con riguardo alla sua conformità al diritto oggettivo, di contestazioni da parte della odierna ricorrente, che di fatto si è limitata, inammissibilmente, a contrapporre ad essa il suo assunto secondo il quale anche un cambio di destinazione d’uso senza opere edilizie determinerebbe una modifica del classamento dell’immobile.

3. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la società ricorrente a rimborsare all’Amministrazione le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro quattromila per onorari, oltre al rimborso delle spese generali e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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