Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5012 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. II, 24/02/2021, (ud. 09/10/2020, dep. 24/02/2021), n.5012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22801/2019 proposto da:

S.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’

11, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrentee –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI TORINO SEZIONE DI GENOVA, PUBBLICO MINISTERO

PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 101/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 24/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.J.T.O., cittadino della (OMISSIS), propose innanzi alla Commissione Territoriale di Genova domanda di protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario.

1.1. L’opposizione fu respinta dal Tribunale ed il provvedimento di diniego venne confermato dalla Corte d’Appello di Genova.

1.2. Per quel che ancora rileva in sede di legittimità, la Corte distrettuale richiamò il rapporto Easo per escludere un conflitto indiscriminato nell’Edo State, regione di provenienza del ricorrente. Quanto alla protezione umanitaria, ritenne che vi ostava l’assenza di vulnerabilità e la mancata integrazione nel tessuto sociale del Paese ospitante.

2. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso S.J.T.O. sulla base di due motivi.

2.1. Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura l’erronea, carente e contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16, in quanto la Corte di merito non avrebbe tenuto conto che in Nigeria vi era una situazione di violenza indiscriminata e di sistematica violazione dei diritti umani, sottratta al controllo delle Autorità Governative. Tanto risulterebbe dal sito (OMISSIS) del Ministero degli Esteri e dal report di Amnesty International oltre che da numerosi precedenti di merito.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. La Corte d’appello ha escluso, sulla base del rapporto EASO – che costituisce fonte qualificata, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – che in Nigeria, nell’Edo State, fosse ravvisabile una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), facendo applicazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018).

1.3. Con le citate pronunce, la Corte di Giustizia ha affermato che i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un Paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c) della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

1.4. L’accertamento circa la sussistenza, in concreto, di siffatto tipo di conflitto implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

1.5. Quanto, poi, alla censura concernente l’inattendibilità delle fonti consultate, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Corte di legittimità l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. civ., sez. I, 21/10/2019, n. 26728). Sotto tale profilo, l’accertamento del giudice di merito non è scalfito dal richiamo alle informazioni tratte dal sito di Amnesty International nè, a fortiori, dalle informazioni tratte dal sito “(OMISSIS)”, rivolto a fornire informazioni ai turisti ed avente, pertanto, scopi e funzioni che non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti nei procedimenti di protezione internazionale (Cassazione civile sez. III, 12/05/2020, n. 8819).

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 2 Cost. e del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 ratificato con la L. n. 881 del 1977 e dell’art. 19, in relazione all’art. 5, comma 6, TU Immigrazione e del D.P.R. n. 399 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c) ter, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 e dell’art. 19 del TU Immigrazione, per avere la Corte di merito negato la protezione umanitaria nonostante la grave instabilità politica del Paese di provenienza e la compromissione dei diritti umani fondamentali, correlati alle condizioni di estrema povertà. Inoltre il giudice di merito avrebbe omesso di valutare il periodo di permanenza in Libia.

2.1. Il motivo è inammissibile

2.2. Il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

2.3. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

2.4. La Corte distrettuale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha puntualmente valutato entrambe le condizioni menzionate, ritenendo che il percorso di integrazione sociale nel territorio italiano fosse limitato alla partecipazione ad un corso di lingua italiana di livello elementare, all’attività di volontariato presso la struttura ospitante e ad altre attività interne alla struttura di accoglienza, non integranti un effettivo radicamento sul territorio. Inoltre, non ha ravvisato nelle condizioni del ricorrente una situazione integrante la condizione dei “seri motivi” di carattere umanitario, derivante dalla compromissione dei diritti umani fondamentali, il cui accertamento è presupposto indefettibile per il riconoscimento della misura citata (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/01/2020, n. 625; Cass. civ., Sez. 6 – 1, n. 25075 del 2017).

2.5. L’allegazione da parte del richiedente che in Libia, Paese di transito, si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il Paese di transito potrà, tuttavia, rilevare (direttiva Ue n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (ex multis Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21145).

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

3.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

3.2. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

3.3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

 

 

 

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