Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5012 del 02/03/2018


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Cassazione civile, sez. II, 02/03/2018, (ud. 19/12/2017, dep.02/03/2018),  n. 5012

Fatto

Con sentenza n. 735/2010 (depositata il 3 maggio 2010) il Tribunale di Udine aveva accolto, per quanto di ragione, la domanda proposta dal sig. M.A. nei confronti del sig. Fa.Am. e, per l’effetto, aveva accertato e dichiarato che l’attore aveva diritto di accesso all’unità immobiliare di proprietà del convenuto al fine di eseguire lavori di allacciamento nella sua unità immobiliare sita al (OMISSIS) del Condominio “(OMISSIS)” alle colonne idriche condominiali di adduzione dell’acqua calda e fredda (secondo le modalità esecutive di cui all’allegato D2 della perizia del 6 giugno 2008 redatta dal geometra D.B.), ordinando al medesimo convenuto di consentire la realizzazione dei relativi lavori con ripristino integrale dello stato antecedente, nel mentre veniva respinta la correlata domanda di risarcimento dei danni.

Decidendo sull’appello avanzato dal Fa.Am. (cui resisteva l’appellato), la Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 513/2012 (depositata il 7 agosto 2012), accoglieva il gravame e, di conseguenza, rigettava la domanda originaria così come formulata dal M., che veniva condannato alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte triestina osservava che la soffitta di proprietà del M. era, in effetti, risultata dotata di impianto di adduzione idrica, ancorchè non in via autonoma, ragion per cui l’esecuzione delle opere richieste con l’originaria domanda dedotta citazione (accolta dal primo giudice) avrebbe determinato una illegittima costituzione coattiva di servitù di acquedotto, che sarebbe stato possibile riconoscere solo in mancanza del predetto impianto, precisando, altresì, che non sussisteva alcuna condizione per consentire i lavori sollecitati dallo stesso M. in presenza di soluzioni alternative fattibili indicate dal medesimo c.t.u. nella sua relazione (ribadite anche nell’audizione a chiarimenti dinanzi alla stessa Corte territoriale) tali da comportare minori disagi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Avverso la suddetta sentenza di appello il M.A. ha formulato tempestivo ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, al quale hanno resistito con controricorso gli eredi di Fa.Am. (nelle more deceduto), in persona dei figli F.M. e F.A., che hanno instato per il rigetto del ricorso.

I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione dell’art. 1102 c.c., sul presupposto dell’erroneo mancato riconoscimento, con la sentenza impugnata, del suo diritto di allacciare la propria unità immobiliare alla rete idrica comune, che si veniva a tradurre nella negazione, a suo svantaggio, del diritto a servirsi della cosa comune senza alterarne la destinazione (poichè già prima della realizzazione di due distinte unità immobiliari la soffitta di sua proprietà era dotata di rete idrica) e senza che l’utilizzo da parte dello stesso potesse impedire agli altri condomini di farne parimenti uso.

Con la seconda censura lo stesso ricorrente ha prospettato – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione dell’art. 1031 c.c., perchè la sentenza di appello, negando il suddetto diritto di esso ricorrente ad usare delle parti comuni dell’edificio, aveva implicitamente finito per costituire una servitù di acquedotto “nolente domino”.

Con la terza doglianza il medesimo ricorrente ha censurato la pronuncia impugnata – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 assumendo la violazione degli artt. 843,1102,1031 e 1122 c.c., nonchè la sussistenza del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, rappresentando che la Corte triestina aveva erroneamente riferito il requisito della necessità imposto dal citato art. 843 c.c. alle opere da eseguire invece che all’accesso al fondo altrui, ritenendo, peraltro, in modo semplicistico, che, essendo possibile realizzare aliunde l’allacciamento alla rete condominiale, per ciò stesso avrebbe dovuto essere negato allo stesso appellante l’accesso alla proprietà F., incorrendo, perciò, anche nell’addotto vizio motivazionale per effetto della circostanza che il giudice di appello non aveva proceduto ad alcun esame comparativo dei costi e dei disagi che il richiedente il passaggio (e, quindi, lo stesso M.) avrebbe dovuto sostenere nell’eventualità in cui esso fosse stato negato.

Con il quarto ed ultimo motivo la difesa del M. ha denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione dell’art. 1037 c.c., nonchè il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sul presupposto che, anche a voler ricondurre la fattispecie dedotta in giudizio nell’ambito delle servitù coattive, sarebbe stato indispensabile che il giudice di seconde cure avesse valutato i contrapposti interessi anche con riguardo alla proprietà comune ed a quelle esclusive degli altri condomini, tenendo contro, infine, anche del dispendio imposto al titolare del fondo dominante dalla soluzione tecnica in concreto accolta.

Rileva il collegio che il primo e terzo dei riportati motivi – esaminabili congiuntamente siccome strettamente connessi – sono fondati nei sensi di cui in appresso.

Per come emerge dallo stesso svolgimento del processo riportato nella sentenza di appello la domanda proposta originariamente dal M. era diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto a poter eseguire un allacciamento delle due soffitte soprastanti di sua proprietà esclusiva direttamente alle colonne condominiali e, a tal fine, si rendeva necessario accedere alla terrazza di pertinenza dell’unità immobiliare sottostante di proprietà di Fa.Am., ove erano presenti sul muro perimetrale del fabbricato le colonne idriche poste al servizio dell’intero condominio.

Alla stregua della delimitazione nei precisati termini del petitum dedotto con la domanda del M. si prospetta evidente che la relativa azione proposta era da ricondursi all’applicabilità dell’art. 843 c.c., essendo preordinata al soddisfacimento dello scopo di consentire allo stesso attore l’accesso al terrazza dell’appartamento del convenuto (che, in precedenza, formava un unico complesso con quello dell’attore, prima che quest’ultimo lo alienasse) per effettuare i lavori di allacciamento della sua proprietà esclusiva alle condutture condominiali e, in tal senso, era stata, in effetti, accolta dal giudice di primo grado, previa valutazione di tutti i presupposti previsti dalla suddetta norma per individuare la soluzione più idonea per contemperare le contrapposte esigenze.

Pertanto, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dal giudice di appello, l’azione esercitata dal M. non tendeva al riconoscimento di una costituzione coattiva di servitù ma era indirizzata al riconoscimento di un’obbligazione “propter rem” in capo al convenuto in funzione dell’esercizio del diritto dell’attore riconducibile all’art. 1102 c.c., ovvero a consentire l’allacciamento della propria unità immobiliare alla rete idrica comune, senza che, a tal proposito, potesse avere rilevanza la circostanza che l’immobile di proprietà dell’odierno ricorrente fosse dotato di impianto di adduzione idrica, anche perchè, come è risultato pacificamente, esso non era autonomo ma collegato a quello dell’appartamento sottostante con il quale, prima che i due immobili venissero separati, costituiva un solo complesso immobiliare. Di conseguenza, fermo restando il rispetto dei presupposti previsti dal citato art. 843 c.c., comma 1, la frapposizione del divieto – da parte del Fa.Am. nei confronti dell’attore – ad esercitare il suddetto diritto di allacciamento all’impianto idrico posto a servizio della collettività condominiale aveva comportato anche l’impossibilità per il M. di servirsi legittimamente di un bene comune, senza che dall’esecuzione dell’attività dallo stesso richiesta (impregiudicato l’eventuale riconoscimento di un’adeguata indennità in caso di danno all’immobile interessato dall’accesso) derivasse un’alterazione della rete idrica condominiale o un nocumento per gli altri condomini, rimanendo inalterata la facoltà reciproca di farne parimenti uso.

La sentenza impugnata è, quindi, incorsa specificamente nella violazione degli artt. 843 e 1102 c.c., dal momento che, in punto di diritto, vanno statuiti (e riconfermati) i principi (ai quali il giudice di rinvio dovrà conformarsi) per cui:

– da un lato, gli accessi e il passaggio che, ai sensi dell’art. 843 c.c., il proprietario deve consentire al vicino per l’esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, dando luogo a un’obbligazione “propter rem”, non determinano la costituzione di una servitù, ma si risolvono in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo per una utilità occasionale e transeunte del vicino e che ha per contenuto la prestazione del consenso all’accesso ed al passaggio, che il soggetto obbligato – nella sussistenza delle inerenti condizioni – è tenuto ad adempiere (cfr. Cass. n. 10474/1998; Cass. n. 17383/2004 e Cass. n. 1908/2009);

– dall’altro lato, l’allacciamento di un’unità immobiliare – facente parte di un edificio condominiale – alla rete idrica comune (realizzabile anche attraverso l’accesso ad un immobile contiguo, ove ne sia riconosciuta la necessità in concreto, ai sensi del citato art. 843 c.c.) è da ritenersi legittimo, quando consiste in un uso conforme all’art. 1102 c.c., senza, cioè, limitare o condizionare l’analogo uso degli altri comunisti e senza modificare la destinazione del bene comune.

Va, peraltro, aggiuntivamente precisato che – sul presupposto che la necessità, a cui il menzionato art. 843 c.c. subordina il diritto del vicino di accedere nel fondo altrui per costruire o riparare un muro od altra opera propria o comune, non deve essere riferita all’opera da compiere ma all’accesso ed al passaggio – ai fini del riconoscimento di detta indispensabilità, occorre che il giudice del merito proceda ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato immobile altrui) sia l’unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo (v. Cass. n. 1801/2007 e Cass. n. 7768/2011).

In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, devono essere accolti il primo ed il terzo motivo del ricorso, cui consegue l’assorbimento degli altri due e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste che, oltre a conformarsi ai fissati principi di diritto in precedenza enunciati, provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e terzo motivo del ricorso e dichiara assorbiti il secondo e il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2018

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