Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5006 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 05/10/2016, dep.28/02/2017),  n. 5006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9522/2014 proposto da:

D.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato ORESTE BISAZZA

TERRACINI, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AVIVA ITALIA SPA, in persona del Dott. A.A., domiciliata in

ROMA, VIA DUILIO 7, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO MARETTO,

che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

M.C., domiciliata in ROMA, VIALE TIZIANO 19, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO NIGRO, che lo rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– controricorrenti –

contro

UGF ASSICURAZIONI SPA, C.V., CA.MA.SA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 808/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato ORESTE BISAZZA TERRACINI;

udito l’Avvocato MASSIMO MARETTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 808/2014 pubblicata il 7 febbraio 2014 la Corte di Appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Viterbo n. 551/09, dichiarava che la statuizione di condanna di M.C. e C.V. in solido con la Aviva Italia S.p.A. – quali soggetti tenuti in favore di D.L. al risarcimento dei danni da circolazione stradale – non riguardava la U.G.F. Assicurazioni S.p.A., della quale escludeva ogni responsabilità anche in punto di spese di lite.

D.L. ha spiegato ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo; resistono, con controricorso, M.C. e la Aviva Italia S.p.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, rubricato “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento all’omessa pronuncia sulla richiesta risarcitoria ex artt. 2043 e 2054 c.c.”, D.L., vittima di un sinistro stradale, dichiarando espressa acquiescenza circa l’an debeatur, invoca “un giusto risarcimento del danno, liquidato in primo grado in modo illegittimamente equitativo mediante sentenza della quale, in sede incidentale in appello, si è sollecitata motivata riforma” e soggiunge che “il valore del danno dovrà essere calcolato sulla base della legge e della giurisprudenza che non consente di liquidare con l’esigua somma indicata dalla sentenza una così vistosa invalidità permanente”.

Il ricorso è inammissibile per difetto del requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nell’intendere la portata di tale requisito di contenuto – forma dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, trasposizione normativa del basilare principio di autosufficienza che informa il ricorso per cassazione, questa Corte, con indirizzo euristico orami consolidato ed al quale non vi è ragione per non assicurare continuità, ha avuto modo di precisare che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (così, ex multis, Cass., 3 febbraio 2015 n. 1926; Cass., 11 dicembre 2014 n. 26096; Cass., 5 febbraio 2009 n. 2831; Cass., 4 aprile 2006 n. 7825).

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non debba necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione dell’autosufficienza, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una rappresentazione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, cioè sia dei fatti sostanziali che hanno ingenerato la lite, sia delle vicende del processo e delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno delle posizioni delle parti del giudizio, in modo da permettere alla Corte, senza necessità di attingere a fonti diverse ed ulteriori rispetto al ricorso, il significato e la portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata (espressamente, Cass., 9 marzo 2010 n. 5660; Cass., 5 febbraio 2009 n. 2831; Cass., 12 giugno 2008 n. 15808; Cass., 23 luglio 2004 n. 13830).

In applicazione dell’illustrato principio, sono stati dichiarati inammissibili ricorsi in cui risultavano omesse la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tale fondamentale esposizione dei fatti, il ricorrente rinviato ad atti processuali estrinseci al ricorso, quale la citazione in appello o la stessa sentenza impugnata (così Cass., 27 febbraio 2009 n. 4823; Cass., 28 febbraio 2006 n. 4403).

Nella fattispecie, la struttura del ricorso non è conforme al paradigma normativo.

Invero, nel contesto dell’unico articolato motivo (privo di separata enunciazione della premessa fattuale), il ricorrente omette, in maniera radicale, la pur minima esplicazione delle vicende processuali rilevanti ai fini della invocata pronuncia.

Manca, in particolare, qualsivoglia indicazione sulla ragione causale della domanda risarcitoria in origine formulata e sulla natura e sulla tipologia dei pregiudizi lamentati nei gradi di merito di cui si invoca in questa sede il “giusto” ristoro (vi è soltanto un lapidario cenno ad una “vistosa invalidità permanente” patita; non si precisa, ad esempio, se fosse stata avanzata istanza di personalizzazione del danno per le sofferenze subite oppure deduzione di una menomazione della capacità lavorativa specifica); risulta poi obliterata la descrizione, pur sintetica, dello svolgimento del giudizio di prime cure, così come la riproduzione delle censure integranti i motivi di impugnazione proposti innanzi al giudice di appello (circostanza, quest’ultima, ex se decisiva per valutare la sussistenza della denunciata omessa pronuncia).

Una palmare lacunosità non colmata dalla compiuta trascrizione, nel corpo del libello introduttivo, delle conclusioni rassegnate dalla parte ricorrente nei due gradi di giudizio e dei dispositivi delle sentenza rese all’esito degli stessi, dacchè inidonea, nel caso concreto, a consentire una compiuta (o quantomeno sufficiente) percezione del fatto sostanziale e processuale, ineludibile presupposto per procedere all’apprezzamento delle doglianze sollevate: il ricorso per cassazione risulta pertanto irrimediabilmente inficiato per difetto di autosufficienza.

Il regolamento delle spese del giudizio di legittimità si conforma al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con condanna di parte ricorrente alla refusione in favore di ciascuna delle parti resistenti costituite ( M.C. e Aviva Italia S.p.A.), nella misura liquidata, alla stregua dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): in base al tenore letterale della disposizione, il rilievo della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per ciascuna parte controricorrente nell’importo di Euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del Magistrato assistente di studio, Dott. R.R..

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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