Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5004 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 25/02/2020), n.5004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11396/2014 R.G. proposto da

N.T. e M.R., rappresentate e difese dall’Avv.

Raffaele Bacchetta ed elettivamente domiciliate in Roma, via Luigi

Capuana 207, presso lo studio dell’Avv. Marcello Bacci;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano,

n. 137/06/13, depositata il 29 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre

2019 dal relatore Dario Cavallari.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.T. e C. hanno proposto ricorso contro l’avviso

di accertamento con il quale l’Agenzia del Territorio di Como aveva determinato il classamento e la rendita catastale di un immobile adibito a negozio di loro proprietà a seguito di denuncia di variazione DOCFA, attribuendo la classe 14 e la rendita di Euro 4.950,00.

La CTP di Como, con sentenza n. 183/3/12, ha respinto il gravame.

T.N. e M.R., quale erede di N.C., hanno proposto appello.

La CTR di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 137/06/13, ha rigettato l’impugnazione.

T.N. e M.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese, ma si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le contribuenti lamentano la violazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 58, del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, del D.L. n. 70 del 1988, art. 11, comma 1, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè il mancato esame della documentazione da loro prodotta in appello e la mancata risposta ad alcuni dei loro motivi di impugnazione.

In particolare, esse deducono che la P.A. avrebbe omesso di compiere un sopralluogo presso i luoghi di causa e che non avrebbe motivato l’avviso di accertamento.

La doglianza è infondata.

Innanzitutto, si rileva che, in tema di estimo catastale, la revisione delle rendite catastali urbane in assenza di variazioni edilizie non richiede la previa visita sopralluogo dell’ufficio, nè questa è necessaria quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente, atteso che le esigenze sottese al sopralluogo ed al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d’ufficio giustificato da specifiche variazioni dell’immobile (Cass., Sez. 6-5, n. 374 del 10 gennaio 2017).

Nella specie, la CTR ha accertato che la classe di merito 14 è stata attribuita proprio in seguito alla denuncia di variazione delle contribuenti datata 9 febbraio 2012, il che rendeva non necessario un sopralluogo.

Inoltre, si sottolinea che, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass., Sez. 6-5, n. 31809 del 7 dicembre 2018).

Nel caso in esame, la nuova classificazione e la rideterminazione della rendita sono avvenute in seguito all’adesione della P.A. al contenuto della citata denuncia di variazione delle parti, con la conseguenza che non vi è stata una “diversa valutazione degli elementi di fatto”, ma solo “una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni”.

2. Con il secondo motivo le contribuenti lamentano la violazione del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, del D.L. n. 70 del 1998, art. 11, comma 1, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, perchè la CTR non avrebbe considerato che all’immobile in oggetto era stato attribuita nel 2000 la classe 10, sulla base di tariffe d’estimo aggiornate ed ancora oggi utilizzate, che non vi erano stati importanti lavori di ristrutturazione, che non vi era stata alcuna comparazione con altre unità della zona, che non rilevava la posizione centrale del negozio e che gli altri cespiti siti nello stesso fabbricato presi in considerazione presentavano delle peculiarità non valutate.

Inoltre, era contestata la ritenuta congruità dell’accertamento in relazione ai valori di mercato.

La doglianza è infondata.

Infatti, la sentenza ha tenuto conto della precedente attribuzione della categoria 10, ma ha pure dato atto che vi era stata una nuova denuncia che aveva comunicato come vi fossero stati “importanti lavori di ristrutturazione del negozio che hanno inciso su una diversa distribuzione degli spazi interni, sul miglioramento della qualità strutturale ed estetica interna dell’immobile migliorando le finiture dello stesso come dichiarato dalla stessa parte la quale ha aggiunto che gli interventi erano finalizzati all’adeguamento alla nuova attività che si andava insediando per cui è stato realizzato anche un piccolo vano ad uso spogliatoio per la prova di capi di abbigliamento”.

La contestazione concernente la posizione centrale è generica, poichè tale profilo, di certo rilevante, ha assunto importanza anche in ragione dei summenzionati nuovi interventi e delle ulteriori caratteristiche specifiche del bene, dotato di entrata e vetrina sulla strada di passaggio pedonale.

In ordine alla comparazione con altri beni della zona, si sottolinea che questa è avvenuta, essendo state prese in esame, secondo la sentenza, oltre 60 unità immobiliari con destinazione commerciale analoga poste nella stessa zona, che erano risultate possedere classe di merito 14 o superiore.

Quanto ai cespiti identificati con i subalterni 28 e 701, collocati nello stesso fabbricato, si osserva che, comunque, la CTR ha preso posizione al riguardo, sottolineando che essi avevano classe uguale o superiore.

Nessuna valutazione in concreto ha poi compiuto il giudice del merito in relazione ai valori di mercato.

Gli ulteriori profili evidenziati nel ricorso concernono, infine, aspetti di puro merito che, con evidenza, non possono essere posti all’attenzione del giudice di legittimità.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la mancanza di motivazione quanto alla liquidazione delle spese di lite.

La doglianza è inammissibile.

Infatti, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto in quella di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass., Sez. 1, n. 19613 del 4 agosto 2017).

Nella specie, le contribuenti non hanno dedotto la violazione dei massimi tariffari e, quindi, il motivo si presenta inammissibile.

4. Il ricorso è respinto.

Alcuna statuizione deve essere assunta in ordine alle spese di lite, stante la condotta processuale dell’Agenzia delle Entrate, che non ha svolto difese, ma si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, l’art. 13, comma 1 quater, dell’obbligo, per le ricorrenti, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 Sezione Civile, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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