Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5003 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 24/02/2021), n.5003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26659-2019 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MICHELE MARRA;

– ricorrente –

contro

BOSTON TAPES SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO, 20, presso lo studio

dell’avvocato LUCA DI PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO CASTIGLIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1592/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Napoli, nel confermare la pronuncia del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, ha rigettato la domanda di B.A., dipendente della Boston Tapes s.p.a., diretta al riconoscimento del livello impiegatizio superiore a quello operaio d’inquadramento, per asserito svolgimento di mansioni superiori esercitate dal 1/1/1995, con condanna alle differenze retributive maturate, nonchè del diritto al risarcimento del danno derivante dal successivo demansionamento subito a far data dal 9/7/2005 in seguito allo spostamento dalla portineria al reparto taglio;

la Corte territoriale, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, ha affermato che dalle testimonianze rese in giudizio era risultato come le mansioni affidate ad B.A. fossero meramente esecutive ed elementari, e si svolgessero senza l’esercizio di nessuna autonomia operativa e discrezionalità;

quanto al preteso danno da demansionamento la Corte d’appello ne ha accertato l’insussistenza, sul presupposto che entrambe le prestazioni (portineria e reparto taglio) rientrassero perfettamente nello stesso livello F del CCNL gomma e plastica, applicabile alla fattispecie;

la cassazione della sentenza è domandata da B.A. sulla base di due motivi;

la società Boston Tapes spa ha depositato controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta acquisizione della prova dell’autonomia gestionale e del maneggio di denaro da parte del ricorrente”; denuncia la mancata valutazione della testimonianza resa dal teste R. in merito al materiale possesso di un fondo da parte dell’appellante con cui venivano effettuati dei pagamenti e le cui spese egli era tenuto a giustificare (p. 10 ric.), nonchè altre testimonianze, che avrebbero provato l’autonomia della prestazione, ma che non sarebbero state prese in considerazione dalla Corte d’appello;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta la mancata revoca della condanna alle spese del primo grado del giudizio di merito, con riferimento all’art. 3 Cost., comma 2, e alla sentenza della Corte costituzionale; sostiene che il giudice avrebbe dovuto compensare le spese del doppio grado di giudizio per l’assoluta incertezza su questioni di fatto riconducibili ad elementi decisivi posti nella disponibilità del solo datore di lavoro;

il primo motivo è inammissibile;

secondo il costante orientamento di legittimità “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.” (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);

il secondo motivo è inammissibile;

il ricorrente non trascrive e non produce il ricorso in appello da cui possa ricavarsi la rituale proposizione della domanda di riforma della sentenza di primo grado nel capo in cui aveva condannato la parte soccombente alle spese del giudizio, in ossequio al principio di specificità del motivo di ricorso per cassazione;

in narrativa della sentenza impugnata, nel riportare le conclusioni dell’appellante, la Corte d’appello richiama invero la domanda di riforma della sentenza di primo grado formulata con richiesta di condanna della società al pagamento delle spese legali del doppio grado di giudizio, senza fare menzione della proposizione di un’eventuale domanda subordinata di compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, per il caso di soccombenza;

secondo il consolidato orientamento di legittimità, “Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 132 del 2014, e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2” (cfr. Cass. n. 4696 del 2019);

se, genericamente, nel secondo motivo si afferma che il lavoratore, soggetto già “debole”, ha promosso il giudizio senza poter conoscere elementi rilevanti decisivi nella disponibilità del solo datore di lavoro…) (ric. p. 24), ciò significa che parte ricorrente intendesse riferirsi alla ragione di compensazione che la giurisprudenza di legittimità definisce quale “situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso”, dovendo escludersi la sussistenza di altre cause di legittima compensazione quali soccombenza reciproca o novità della questione sollevata in giudizio;

in proposito, questa Corte, nel pronunciarsi sulla ragione derivante dall’obiettiva incertezza in merito al diritto controverso, ha affermato che quest’ultima, in quanto nozione elastica, può essere invocata come una grave ed eccezionale ragione di compensazione (Cass. n. 21157 del 2019);

nel caso di specie, tuttavia, il principio non è utilmente invocabile, atteso che la motivazione della Corte d’appello non lascia aperto nessuno spiraglio interpretativo per affermare che sussista una qualche obiettiva incertezza sul diritto controverso, avendo il giudizio di merito accertato inequivocabilmente come non vi fosse stato nè svolgimento di mansioni superiori, nè danno da demansionamento a carico di B.A.;

l’odierno ricorrente, nelle conclusioni, chiede altresì la cassazione del capo della sentenza d’appello che, condannandolo all’ulteriore importo del contributo quale conseguenza della legge ratione temporis applicabile, ha affermato che “Esula dunque dalle valutazioni di competenza del giudicante il tema dell’eventuale sussistenza di condizioni (soggettive) di esenzione”;

la doglianza risulta generica, non avendo il ricorrente allegato dove, come e quando, abbia posto in appello la questione della sussistenza dei presupposti di legge per l’esenzione dal pagamento del cd. doppio contributo;

inoltre, nel merito, l’affermazione resa dalla Corte territoriale è incontestabile, atteso che, così come stabilito dalle Sezioni Unite con la recente decisione n. 4315 del 2020, l’ulteriore importo del contributo unificato che la parte impugnante è obbligata a versare allorquando ricorrano i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ha natura di debito tributario, in quanto partecipa della natura del contributo unificato iniziale ed è volto a ristorare l’amministrazione della Giustizia dei costi sopportati per la trattazione della controversia; da ciò questa Suprema Corte ha fatto conseguire che la questione circa la sua effettiva debenza rimane estranea alla cognizione della giurisdizione civile ordinaria, facendo parte della giurisdizione del giudice tributario;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3.500 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

 

 

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