Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5003 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 01/03/2011), n.5003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19627-2008 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA

235, presso lo studio dell’avvocato DI GIOIA GIULIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato D’ANDREA SERGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INPS, ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, BIONDI

GIOVANNA, PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA giusta delega in atti;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 5362/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/08/2008, R.G.N. 8934/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2011 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda proposta da C. C. nei confronti dell’INPS per l’accertamento del proprio diritto ad ottenere, quale invalida civile, la pensione di inabilità e l’indennità di accompagnamento ritenendo insussistenti il requisito reddituale necessario al riconoscimento del trattamento pensionistico nonchè i requisiti sanitari prescritti per l’erogazione della indennità di cui alla L. n. 18 del 1980.

Proponeva appello la C. censurando esclusivamente l’erroneità del giudizio emesso dal primo giudice in ordine alla interpretazione del D.L. n. 663 del 1979, art. 14 septies, comma 4, (convertito nella L. n. 33 del 1980) e sostenendo che una corretta esegesi della norma induceva ad escludere la cumulabilità del reddito personale dell’invalido con quello del coniugo ai lini dell’attribuzione della pensione prevista in favore degli inabili totali.

Con la sentenza, indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli ha respinto l’impugnazione. La Corte ha evidenziato che soltanto con la L. n. 33 del 1980, art. 14 septies è stata introdotta una differenza tra pensione di inabilità e assegno di invalidità quanto alle condizioni economiche rilevanti; mentre, infatti, la normativa, precedente aveva sempre parificato le due prestazioni prevedendo, per l’invalido coniugato, che il limite reddituale dovesse essere determinato cumulando il reddito individuale con quello del coniuge.

la disposizione in parola stabilisce ma con esclusivo riferimento all’assegno (comma 5) – che debba tenersi conto del solo reddito personale dell’invalido, con esclusione del reddito percepito dagli altri componenti del nucleo familiare. Secondo il giudice d’appello il dato testuale della norma è tale da non poterne desumere l’intenzione del legislatore di modificare anche la disciplina previgente della pensione di inabilità; anzi la sua chiara formulazione è indicativa dell’opposta volontà di razionalizzare la distinzione legislativa tra le due prestazioni, già attuata dalla L. n. 29 del 1977 che. con disposizione (art. 7) poi ripetuta nell’art. 14 septies (comma 4), aveva raddoppiato – ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – il limite di reddito previsto per l’erogazione della pensione di inabilità, determinando così il venir meno della iniziale condizione di identità dei requisiti economici richiesti dalla legge per le due prestazioni, che giustificava anche l’unitarietà della disciplina, relativa ai limiti reddituali.

C.C. ricorre per la cassazione di questa sentenza con due motivi, illustrati con successiva memoria. L’INPS ha depositato la procura speciale ai propri difensori che hanno poi partecipato all’udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13 e della L. n. 33 del 1980, art. 14 septies in relazione all’art. 112 c.p.c. sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe illegittimamente esaminato di ufficio la questione relativa alla necessità di aver riguardo anche al reddito del coniuge per l’assegnazione della pensione di inabilità civile, non avendo l’INPS sollevato alcuna specifica eccezione al riguardo.

2. Nel secondo motivo, sempre con deduzione di violazione e/o falsa applicazione delle norme sopra citate in relazione agli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., si sostiene che è irragionevole e si presta a dubbi non infondati di illegittimità costituzionale la interpretazione della normativa in materia suggerita dalla sentenza impugnata ne senso che per la pensione di inabilità, continua a trovare applicazione la disciplina per cui il reddito personale dell’invalido si cumula con quello del coniuge.

3. Il primo motivo non è fondato.

Al riguardo e sufficiente rilevare che dalla sentenza impugnata risulta che era stata la stessa invalida appellante a contestare la interpretazione fornita dal giudice di primo grado del D.L. n. 663 del 1979, art. 14 septies così introducendo nel giudizio di appello la relativa “questio iuris” e suscitando l’obbligo del giudice di pronunciare sulla medesima.

4. Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento.

La questione portata all’esame della Corte va risolta tenendo presente la vicenda legislativa delle due prestazioni di assistenza – pensione di inabilità e assegno mensile – che vengono in considerazione nella presente controversia.

Nel dettare una nuova disciplina delle provvidenze a favore dei mutilati e invalidi civili, la L. 30 marzo 1971, n. 118 previde la concessione – a carico dello Stato e a cura del Ministero dell’Interno – di una pensione di inabilità, per i soggetti maggiori di 18 anni nei cui confronti fosse stata accertata una totale inabilità lavorativa (art. 12) e la corresponsione, per i periodi di incollocamento al lavoro, di un assegno mensile ai soggetti di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno, con capacità lavorativa ridotta in misura superiore a due terzi (art. 13).

Le condizioni economiche richieste dalla legge per l’assegnazione di entrambe le descritte prestazioni erano le medesime: invero l’art. 12, comma 2 fa riferimento a quelle stabilite dalla L. n. 153 del 1969, art. 26 e, a sua volta, l’art. 13, comma 1 prevede che l’assegno mensile è concesso “con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo precedente”.

Pertanto, considerando quanto previsto dalla L. n. 153 del 1969, art. 26 (norma, quest’ultima che stabilisce le condizioni economiche richieste per la pensione sociale), l’invalido, per aver diritto alla pensione di inabilità come pure all’assegno mensile, non doveva essere “titolare di redditi, a qualsiasi titolo, di importo pari o superiore a L. 156.000 annue” (così il testo originario dell’art. 26 della Legge citata).

Successivamente il D.L. 2 marzo 1974, n. 30 (convertito nella L. 16 aprile 1974, n. 114) interviene per elevare l’importo annuo della pensione di inabilità e quello mensile dell’assegno (art. 7) ribadendo (art. 8) che le condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili – si tratti della pensione di inabilità ovvero dell’assegno mensile – “sono quelle previste nel precedente art. 3 per la concessione della pensione sociale” e, nel contempo, stabilendo (appunto nell’art. 3 dettato in parziale sostituzione della L. n. 153 del 1969 cit., art. 26) che le condizioni economiche necessarie per la concessione della pensione sociale consistono nel possesso di redditi propri per un ammontare non superiore a L. 336.050 annue, ovvero, in caso di soggetto coniugato, di un reddito, cumulato con quello del coniuge non superiore a L. 1.320.000 annue.

Con il successivo intervento di cui alla L. 21 febbraio 1977, n. 29, articolo unico (che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 23 dicembre 1976, n. 850) i limiti di reddito di cui al D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (che come già detto, richiama quelli previsti dal l’art. 3 dello stesso Decreto Legge per la concessione della pensione sociale, a loro volta aumentati, per effetto della L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 3 a L. 1.560.000 per il reddito cumulato e a L. 505.050 per il reddito personale) sono elevati a L. 3.120.000 annui, ma esclusivamente (per quanto qui interessa) per la pensione di inabilità: testuale è invero, il riferimento fatto dal legislatore “agli invalidi civili assoluti di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12” mentre nessuna menzione la norma contiene degli invalidi parziali di cui al successivo art. 13.

Per questi ultimi devono quindi, per il momento, ritenersi ancora vigenti i limiti reddituali previsti dal ripetuto D.L. n. 30 del 1974, art. 3 come modificati dalla L. n. 160 del 1975, art. 3. E nel contempo, in difetto di una qualsiasi esplicita previsione in tal senso, o, quantomeno, di un sia pure implicito riferimento al D.L. n. 30 del 1974, art. 3 non vi è neppure spazio per una interpretazione del testo normativo che porti ad argomentarne l’intento del legislatore di modificare, per la pensione di inabilità, la disciplina previgente, adottando come parametro di verifica del superamento del limite reddituale il (solo) reddito personale dell’invalido assoluto, ancorchè coniugato. In definitiva, anche l’intervento legislativo in parola non incide sul principio di sistema, per cui il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi sia per la pensione che per l’assegno, mutando soltanto ed esclusivamente per la pensione di inabilità – l’importo massimo da considerare ai tini della verifica del superamento (o meno) del suddetto limite.

Evidentemente resosi conto dei limiti di ragionevolezza di una scelta che portava a raddoppiare, per questa sola prestazione assistenziale, il limite di reddito da prendere a riferimento, il legislatore, nel convertire il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 con la L. 29 febbraio 1980, n. 33 ha aggiunto la disposizione dell’art. 14 septies, con la quale, nel mentre vengono ancor più elevati i limiti di reddito di cui al il D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (portati a L. 5.200.000 annui rivalutabili annualmente) (comma 4), contestualmente (comma 5), si stabilisce che, per l’assegno mensile in favore dei mutilati e invalidi civili di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 17 (l’art. 17, poi abrogato dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 6 disciplinava l’assegno di accompagnamento per gli invalidi minori di 18 anni), il limite di reddito da considerare è (issato nell’importo di L. 2.500.000 annue, anch’esso rivalutabile annualmente e “da calcolare con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”.

Ritiene la Corte che la norma in parola non possa essere interpretata nei sensi di cui alle sue recenti pronunce n. 7259 del 2009, 20426 del 2010 (citate anche nella memoria della odierna ricorrente) e n. 18825 del 2008, nelle quali si è affermato che. dopo la introduzione dell’art. 14 septies citato anche per la pensione di inabilità deve farsi esclusivo riferimento al reddito personale dell’assistito, ma debba, invece, condividersi il principio, espresso da un più risalente indirizzo (vedi, in particolare, Cass. n. 16363 del 2002, n. 16311 del 2002, 12266 del 2003, 14126 del 2006, n. 13261 del 2007). secondo cui “Ai fini dell’accertamento del requisito reddituale previsto per l’attribuzione della pensione di inabilità prevista dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, deve tenersi conto anche della posizione reddituale del coniuge dell’invalido, secondo quanto stabilito dalla L. 29 febbraio 1981 n. 33, art. 14 septies, comma 4, in conformità con i generali criteri del sistema di sicurezza sociale, che riconoscono alla solidarietà familiare una funzione integrativa dell’intervento assistenziale pubblico, non potendo invece trovare applicazione la regola – stabilita dal successivo comma 5 dello stesso art. 14 septies solo per l’assegno mensile di cui alla L. n. 118 del 1971 citata – della esclusione dal computo dei redditi percepiti da altri componenti del nucleo familiare dell’interessato”.

Ciò per le seguenti ragioni.

Come sopra accennato, l’intervento attuato dal legislatore con l’art. 14 septies, comma 5 è chiaramente un intervento inteso a riequilibrare le posizioni dei mutilati e invalidi civili, a seguito dell’innalzamento del limite reddituale previsto ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – dalla L. n. 29 del 1977.

Significativo di tale intento è che per l’attribuzione dell’assegno è. bensì, preso a riferimento il solo reddito individuale dell’assistito, ma l’importo da non superare per la pensione di inabilità (comma 4) corrisponde a più del doppio di quello stabilito per rassegno (L. 5.200.000 annue a fronte di L. 2.500.000 annue) (attualmente la divaricazione si è notevolmente ampliata in quanto, secondo le tabelle INPS. il limite reddituale stabilito per la pensione agli invalidi civili totali è quasi tre volte superiore a quello indicato per rassegno mensile agli invalidi civili parziali a parità di importo mensile della prestazione).

La norma, inoltre, rappresenta una deroga all’orientamento generale della legislazione in tema di pensioni di invalidità e di pensione sociale, in base al quale il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi (vedi Corte cost.

sent. n. 769 del 1988 e n. 75 del 1991; vedi anche Corte cost. n. 454 del 1992, in tema di insorgenza dello stato di invalidità dopo il compimento del 65 anno) e, di conseguenza, non esprime un principio generale con il quale dovrebbero essere coerenti disposizioni particolari. Del resto la sua stessa formulazione letterale, che fa menzione del solo assegno – fino a quel momento equiparato alla pensione di inabilità quanto alla regola del cumulo con i redditi del coniugo – non può che far concludere nel senso che la prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti a questa regola sia rimasta assoggettata.

E difatti, anche successivamente, nella L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 12 (da titolo “requisiti reddituali delle prestazioni ai minorati civili”) la distinzione tra le due prestazioni continua ad essere mantenuta, disponendo la norma che con effetto dal 1 gennaio 1992 ai fini dell’accertamento, da parte del Ministero dell’Interno della condizione reddituale per la concessione delle pensioni assistenziali agli invalidi civili si applica il limite di reddito individuale stabilito per la pensione sociale, con esclusione, tuttavia, degli invalidi totali.

Si aggiunga (così dovendosi ritenere manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla odierna ricorrente) che il giudice delle leggi (cfr. in particolare le citate sent. n. 769/88, n. 75/91) ha, in più occasioni, affermato che il realizzare l’omogeneizzazione tra i livelli reddituali idonei ad individuare lo stato di bisogno di soggetti aventi diritto a prestazioni assistenziali a carico della collettività, così come il por mano all’opportuno adeguamento dei livelli di prestazione appartiene alla discrezionalità del legislatore. Del pari, al paradigma del principio di uguaglianza non può farsi ricorso quando le disposizioni della legge ordinaria, dalle quali si pretende di trarre il tertium comparationis, si rivelino derogatorie rispetto alla regola desumibile dal sistema normativo e perciò insuscettibili di estensione ad altri casi, pena l’aggravamento, anzichè l’eliminazione, dei difetti di coerenza con esso. E, sempre sul piano del sistema costituzionale. mette conto rilevare come l’attribuzione al reddito del coniugo (e dei vari componenti il nucleo familiare tenuti all’assistenza dell’invalido) di un rilievo preclusivo dell’intervento di sostegno a carico della collettività discende dal riconoscimento, nel vigente sistema di sicurezza sociale, di meccanismi di solidarietà particolari, concorrenti con quello pubblico e ugualmente intesi alla tutela dell’uguaglianza e della libertà dal bisogno, in attuazione dell’art. 3 Cost., comma 2.

Non possono considerarsi ostativi alla suesposta interpretazione le affermazioni contenute nella motivazione di alcune sentenze della Corte costituzionale (vedi, in particolare Corte cost. n. 88 del 1992 e n. 400 del 1999 citate nelle sentenze di questa Corte più sopra indicate e qui non condivise), secondo le quali gli interventi legislativi succedutisi nel tempo avrebbero equiparato le condizioni reddituali richieste per la pensione di inabilità e per l’assegno mensile, eliminando, per entrambe, la capacità ostativa del reddito del coniugo (quale che ne fosse il livello); trattasi, intatti. di affermazioni fatte incidentalmente in sentenze riguardanti il requisito reddituale di accesso dell’ultrasessantacinquenne alla pensione sociale (ovvero all’assegno sociale sostitutivo della prima della L. n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 6), ossia una questione del tutto diversa da quella all’esame di questa Corte e che, d’altronde, presuppongono proprio il cumulo dei redditi, tanto da sollecitare il legislatore alla creazione (sempre per la pensione sociale) di un meccanismo differenziato in considerazione delle differenti esigenze di assistenza dell’ invalido e della necessità, pertanto, di una valutazione differenziata del ragionevole punto di equilibrio circa il concorso tra la solidarietà coniugale e quella collettiva.

Infine, non può non rilevarsi che la L. n. 118 de 1971, art. 13 – che come sopra ricordato, disciplina l’assegno mensile di invalidità – è stato recentemente sostituito ad opera dell’alt. 1, comma 35, della L. 24 dicembre 2007, n. 247 (disposizione non tenuta presente nelle citate decisioni di questa Corte), il quale, testualmente, stabilisce che “agli invalidi civili di una compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di Euro 242.84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’art. 12”.

Si tratta, all’evidenza, di un intervento con il quale viene ripristinato il collegamento tra le due prestazioni assistenziali quanto alle “condizioni” (comprese, quindi, quelle economi che) richieste per la loro assegnazione. Ma il prendere a riferimento, a tal fine, le “condizioni” stabilite per l’assegnazione della “pensione di cui all’art. 12”, determinare cioè una equiparazione che si vuole modulata sulla disciplina propria della prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti, è di per sè, indicativo del fatto che tale disciplina – anche per quanto riguarda le condizioni reddituali rilevanti – è diversa da quella nel frattempo dettata (si ripete, con la L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 5) per l’assegno mensile – non avendo senso, invero, una simile formulazione normativa ove le condizioni reddituali richieste per la pensione di inabilità fossero le stesse previste per l’assegno e, dunque, si dovesse dar rilevo al solo reddito personale dell’invalido, ancorchè coniugato, piuttosto che al reddito di entrambi i coniugi.

5. Deve, in conclusione, ritenersi giuridicamente corretta l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito reddituale per l’assegnazione della pensione di inabilità agli invalidi civili assoluti, di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 assume rilievo non solamente il reddito personale dell’invalido ma anche quello (eventuale) del coniuge del medesimo, onde il beneficio va negato quando (come nella concreta fattispecie) l’importo di tali redditi, complessivamente considerali, superi il limite determinato con i criteri indicati dalla norma in parola.

6. Il ricorso va, quindi, rigettato.

7. Non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo precedente le modificazioni apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (convertito nella L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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