Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5002 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 01/03/2011), n.5002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA VIALE EUROPA 175 presso la

DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato URSINO ANNA MARIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6824/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/03/2006, r.g.n. 1722/05;

udita la relazione defila causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato URSINO ANNA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 28 febbraio 2007, la s.p.a. Poste Italiane chiede, con un unico articolato motivo, la cassazione della sentenza depositata il 1 marzo 2006, con la quale la Corte d’appello di Lecce, riformando la decisione del giudice di primo grado, ha condannato la società, a seguito dell’accertamento della nullità del termine apposto – ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, così come integrato dall’accordo 25 settembre 1997, “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi ed in attuazione del progressivo completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” – al contratto di lavoro intercorso con V.M. decorrente dal 9 marzo al 30 aprile 1998, al ripristino de rapporto e a risarcire al lavoratore il danno, rapportato alle retribuzioni perdute dalla notifica del ricorso introduttivo del giudizio.

In particolare, la società ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23; dell’art. 1362 e ss. c.c. degli artt. 1217 e 1233 c.c..

L’intimata non si è costituita nel presente giudizio di cassazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato nel primo motivo, assorbito il secondo (relativo alle conseguenze economiche della nullità del termine).

Va infatti ricordato che. secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata, quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti.

Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di Tatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr. ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063).

Quanto al tipo di contrattazione collettiva autorizzata a tale ampliamento, la L. n. 56, citato art. 23 si esprime in termini di “apposizione di un termine … consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.

Nel caso in esame, come ricordato dalla ricorrente, con raccordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali, era stata introdotta nel testo dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) il caso di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Inoltre, in pari data, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle condizioni legittimanti la stipula del contratto a termine per affrontare il processo di ristrutturazione e con successivi accordi attuativi avevano accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998.

Orbene, con numerose sentenze questa Corte suprema (cfr., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866, 28 novembre 2008 n. 28450 e 20 marzo 2009 n. 6913), decidendo in ordine a fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicale, ha ripetutamente confermato, con orientamento ormai consolidato, le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato legittimo il termine apposto ai contratti di lavoro stipulati (quantomeno fino al 30 aprile 1998) per la causale in parola, negando, sulla base della considerazione dell’autonomia delle ipotesi aggiuntive la cui previsione è affidata ai contraenti collettivi indicati, la necessità che tale causale debba essere per legge contenuta in limiti temporali predeterminati e rilevando che tali limiti erano stati peraltro introdotti dai medesimi contraenti collettivi con individuazione di un termine finale al 30 aprile 1998.

Da tale consolidato orientamento non è ragione di discostarsi, anche in ragione della necessaria fedeltà della Corte ai propri precedenti (ancorchè non intesi nel caso di specie in senso tecnico, trattandosi della interpretazione di contralti collettivi di diritto comune, il cui controllo in sede di legittimità non è diretto, come poi stabilito per le sentenze depositate successivamente al 1 marzo 2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 e art. 27, comma 2), sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

La decisione impugnata, relativa all’accertata illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro del resistente per la causale indicata relativamente al periodo dal 9 marzo al 30 aprile 1998, non si è attenuta ai principi e regole enunciati.

Il ricorso è pertanto fondato e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Bari, che provvedere altresì a valutare la legittimità dei termini apposti ai contratti del 15.6. e del 27.10.1998 nonchè a quello del 2 maggio 2002, anch’essi impugnati col ricorso introduttivo del giudizio e le cui questioni sono state ritenute assorbite dai giudici di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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