Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5001 del 02/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5001 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 24857-2016 proposto da:
SOCIETA’ ARAGONESE DI MASSA PAOLA S.A.S., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza
Cavour, presso la Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli
avvocati Vittorio Di Meglio e Pasquale Pacifico;
– ricorrente contro
TRANI CONCETTA, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Crociferi
41, presso lo studio dell’avvocato Raffaele Buono, rappresentata e
difesa dall’avvocato Filippo Di Costanzo;

controrkorrente

avverso la sentenza n. 3429/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,
depositata il 12/08/2015;

Data pubblicazione: 02/03/2018

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/11/2017 dal Consigliere LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.

FATTI DI CAUSA

s.a.s. di Massa Paola, chiedendone la condanna al risarcimento del
danno patito per la perdita di panorama e di soleggiamento derivata al
suo fabbricato (nel comune di Ischia) dalla sopraelevazione asseritamente abusiva – del complesso alberghiero “Hotel Aragonese”.
Nella resistenza della società convenuta, il Tribunale di Napoli
(Sezione distaccata di Ischia) accolse la domanda attorea e condannò
la Società Aragonese al risarcimento del danno in favore dell’attrice.
2. – Sul gravame proposto dalla società convenuta, la Corte di
Appello di Napoli confermò la pronuncia di primo grado.
3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso
la Società Aragonese sulla base di quattro motivi.
Trani Concetta ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt.
112 e 342 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di
esaminare il primo motivo di appello, col quale la Società Aragonese
aveva denunciato il vizio di ultra ed extrapetizione della sentenza di
primo grado.
Il motivo è inammissibile.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema
Corte, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di
merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error
in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di
censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a

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1. – Trani Concetta convenne in giudizio la Società Aragonese

pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla
sentenza impugnata, indicando puntualmente i fatti processuali posti
alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere
contenuta nello stesso ricorso per cassazione (Cass.,
Sez. 1, 20/09/2006, n. 20405; Cass., Sez. 3, 16/10/2007, n. 21621;
Cass., Sez. 6-2, 07/09/2016, n. 17739, in motiv.; Cass., Sez. 5,

specificità, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata
pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi
non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì
da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non
siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover
procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass.,
Sez. 2, 20/08/2015, n. 17049).
Nella specie, la ricorrente non ha riprodotto il motivo di gravame
che la Corte territoriale – a suo dire – non avrebbe esaminato, né ha
precisato i termini della dedotta extrapetizione, soprattutto in rapporto
alla motivazione del giudice di appello (non considerata nel motivo di
ricorso) che ha negato la sussistenza della denunciata ultra ed extra
petizione (v. p. 4 della sentenza impugnata).
Sul punto, va ricordato che la mancata considerazione delle
motivazioni poste a base del provvedimento impugnato comporta la
nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel
giudizio di cassazione, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi
dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., Sez. 3,
31/08/2015, n. 17330; Cass., Sez. 5, 31/05/2011, n. 11984).
Il motivo risulta perciò inammissibile per difetto di specificità, sotto
il duplice profilo della mancata menzione del motivo di appello
asseritamente trascurato dalla Corte di merito e della mancata
considerazione della motivazione della sentenza impugnata sul punto.

29/09/2017, n. 22880). Pertanto, è inammissibile, per difetto di

2. – Col secondo motivo, si deduce poi la violazione degli artt. 871,
872 e 2697 cod. civ., per avere la Corte di Appello ritenuto provato il
pregiudizio patito dall’attrice.
La censura è inammissibile, risolvendosi essa in una censura di
merito relativa all’accertamento dei fatti compiuto sulla base degli
elementi probatori acquisiti, accertamento che è insindacabile in sede

impugnata sul punto (p. 4-5) non apparente né manifestamente
illogica (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053);
3. – Col terzo motivo, si deduce ancora la violazione degli artt. 112
e 342 cod. proc. civ. per avere la Corte di Appello omesso di esaminare
il motivo di gravame col quale si lamentava l’erroneità della
determinazione del danno da parte del C.T.U.
Anche questo motivo, come il primo, è inammissibile per difetto di
specificità, sia perché la ricorrente non ha riprodotto il motivo di
gravame che – a suo dire – non sarebbe stato esaminato dal giudice di
appello, sia perché, in ogni caso, la doglianza si risolve in una censura
di merito sulla valutazione della C.T.U., senza che peraltro la ricorrente
abbia considerato la motivazione della sentenza impugnata (p. 5-6) sul
punto.
4. – Col quarto motivo, si deduce infine la violazione degli artt.
871, 872, 2697, 2043, 1226 cod. civ., per avere la Corte di Appello
liquidato equitativamente il danno in modo arbitrario.
Questa censura è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 in
relazione all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.
Sul punto, che attiene ad una delicata questione di diritto relativa
all’ammissibilità del ricorso, il Collegio ritiene di doversi soffermare nei
termini che seguono.
4.1. – Va premesso che, con la sentenza n. 7155 del 21 marzo
2017, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, superando il proprio
precedente del 2010, hanno affermato che, in presenza della

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di legittimità, risultando peraltro l’ampia motivazione della sentenza

situazione ipotizzata dall’art. 360

bis n. 1 cod. proc. civ. (ossia

«quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in
modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi
non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della
stessa»), il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile, e non
rigettato per manifesta infondatezza.

di una forma di inammissibilità di carattere “meritale” (o “sostanziale”),
che dipende dalla manifesta infondatezza del ricorso (di cui la
situazione prevista dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. sarebbe una
particolare figura), che si contrappone alla tradizionale forma di
inammissibilità di carattere processuale, dipendente dalle forme con le
quali è posta in essere l’attività processuale della parte.
4.2. – Nella menzionata sentenza n. 7155 del 2017, le Sezioni
Unite hanno richiamato, convalidandolo, anche il seguente principio di
diritto:
«La condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360 bis
n. 1 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 47 della legge 69 del 2009, non
è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in
contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano
individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento
contestato si fonda» (Cass., Sez. 6-3, 08/02/2011, n. 3142).
Si tratta di un principio di diritto che attiene al modo di
“formulazione del motivo” e che configura un “onere argomentativo” a
carico del ricorrente, direttamente scaturente dal disposto dell’art. 360
bis n. 1 cod. proc. civ., che trovasi, peraltro, affermato anche nei
seguenti precedenti di legittimità:
– «Secondo quanto indicato nell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., al
fine di richiedere alla Corte di cassazione di rivedere la propria
giurisprudenza è necessario offrire argomenti che siano univocamente
rivolti a provocare un superamento dell’orientamento contestato

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Con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno riconosciuto l’esistenza

attraverso valutazioni critiche dell’indirizzo predetto, non essendo
sufficiente il riferimento ad altri non uniformi orientamenti della Corte
stessa» (Cass., Sez. 6-3, 16/06/2011, n. 13202; cfr. anche Cass., Sez.
U, 19/04/2011, n. 8923);

«Il ricorso per cassazione che non offra elementi per modificare

la giurisprudenza di legittimità, a cui la sentenza impugnata è

dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., che, nell’evocare un presupposto
processuale, ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità, in
luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto, ponendo a
carico del ricorrente un “onere argomentativo”, il cui parametro di
valutazione è costituito dal momento della proposizione del ricorso»
(Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23586).
4.3. – Orbene, premesso quanto sopra, il problema esegetico che si
profila ora, a seguito della richiamata pronuncia delle Sezioni Unite n.
7155 del 2017, è quello di stabilire in quali termini si configuri l’onere
di specificità del motivo, ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., in
rapporto a quanto preteso dall’art. 360 bis cod. proc. civ.
Sul punto, va osservato che la qualificazione – da parte delle
recenti Sezioni Unite – dell’inammissibilità di cui all’art. 360 bis n. 1
cod. proc. civ. come inammissibilità di carattere “meritale” o
“sostanziale”, non esclude affatto che, accanto a tale forma di
inammissibilità, si collochi l’ordinaria inammissibilità di carattere
“processuale” per difetto di specificità del motivo (prevista dall’art. 366
n. 4 cod. proc. civ.) rispetto a quanto preteso dall’art. 360 bis n. 1 cod.
proc. civ.
La configurabilità di questa duplice forma di inammissibilità – l’una
di carattere “meritale”, che guarda al merito degli argomenti svolti nel
motivo, e che ricorre nel caso in cui tali argomenti risultino
manifestamente infondati; l’altra di carattere “processuale”, che
guarda al “modo di formulazione” del motivo e che ricorre quando il

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conforme, deve essere rigettato in rito e non nel merito ai sensi

motivo è incompleto o difetta di specificità – consente di risolvere, a
giudizio del Collegio, il problema più spinoso che si è profilato, fin
dall’inizio, nell’interpretazione dell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.
Si tratta del problema del possibile mutamento della giurisprudenza
della Corte nell’arco temporale che va dal momento della proposizione
del ricorso a quello della sua decisione e, quindi, della eventualità che il

giurisprudenza allora vigente) nel momento fu proposto, risulti poi
fondato (alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale) nel
momento in cui venga deciso.
Questo problema è stato molto bene risolto dalle citate Sezioni
Unite n. 7155 del 2017, laddove esse, costruendo l’inammissibilità di
cui all’art. 360 bis cod. proc. civ. come una forma di inammissibilità
meritale (derivante da un particolare caso di “manifesta infondatezza”
del ricorso), hanno affermato la necessità che la manifesta
infondatezza del ricorso rispetto alla giurisprudenza della Corte – e
dunque l’esistenza della detta inammissibilità “meritale” – sia valutata
con riferimento al momento della decisione e non con riferimento al
momento della proposizione del ricorso; cosicché, scrivono le Sezioni
Unite, «possono darsi casi di ammissibilità sopravvenuta, dei quali la

Corte dovrà evidentemente tener conto nella sua decisione».
Ma, se il problema del possibile mutamento della giurisprudenza e
della fondatezza sopravvenuta del ricorso è stato risolto dalle Sezioni
Unite all’interno della figura della inammissibilità “meritale” da esse
enucleata, rimane da stabilire – come si è detto – in qual guisa si
configuri, per il ricorrente, l’onere di specificità del motivo, previsto
dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., rispetto al dettato dell’art. 360 bis n.
1 cod. proc. civ.; onere il cui mancato adempimento, attenendo al
modo in cui il potere di impugnazione è esercitato, determina – com’è
noto – una inammissibilità di carattere strettamente “processuale”.

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ricorso, pur essendo manifestamente infondato (sulla base della

Sul punto, va ricordato che, nell’interpretare l’art. 366 n. 4 cod.
proc. civ., in tema di specificità del motivo di ricorso, questa Corte ha
già affermato che

«Il motivo d’impugnazione è costituito

dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si
traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal
fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento

motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio
di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con
l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.»

(Cass., Sez. 3,

31/08/2015, n. 17330; Cass., Sez. 5, 31/05/2011, n. 11984); ed ha
ancora affermato che

«La proposizione, mediante il ricorso per

cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della
sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per
mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di
cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.; dovendo i motivi
per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità,
completezza e riferibilità alla decisione impugnata, contenere, a pena
di inammissibilità, oltre all’esatta individuazione del capo di pronunzia
impugnato, l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed
esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto» (Cass.,
Sez. 5, 03/08/2007, n. 17125).
Orbene, posto che – alla stregua della richiamata sentenza delle
Sezioni Unite n. 7155 del 2017 – l’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.
condiziona l’ammissibilità del motivo alla sua non manifesta
infondatezza rispetto alla giurisprudenza della Corte, risulta evidente
che non può ritenersi idoneo al raggiungimento del suo scopo e,
dunque, specifico, un motivo che non contenga gli elementi cui il detto
art. 360 bis n. 1 àncora l’ammissibilità del ricorso sul piano meritale.
Da qui l’insorgere di un onere processuale, di carattere contenutistico,

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stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del

che attiene al modo, alla tecnica, con cui il motivo deve essere
formulato.
In altre parole, se è vero che la conformità della decisione
impugnata alla giurisprudenza della Corte e la mancata esposizione di
argomenti per confermare o mutare l’orientamento della stessa
determina – ai sensi dell’art. 360

bis

n. 1 cod. proc. civ. –

specificità del motivo, ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., va
declinata attraverso l’esame della decisione impugnata alla luce della
giurisprudenza della Corte e, nel caso in cui la decisione risulti
conforme a tale giurisprudenza, attraverso la proposizione di
argomenti per mutarla o confermarla; in mancanza, il motivo risulterà
non specifico, non idoneo al raggiungimento dello scopo, e si
infrangerà – prima di tutto – nella inammissibilità processuale prevista
dall’art. 366 n. 4 letto in relazione all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.
Sul punto, non è inutile considerare che il testo attualmente
vigente dell’art. 366 cod. proc. civ. è stato introdotto dall’art. 5 del
d.lgs. n. 40 del 2006, allo scopo di rafforzare la funzione nomofilattica
della Corte e che il primo comma n. 4 di tale articolo prevede tuttora
che i motivi debbono essere formulati

«secondo quanto previsto

dall’art. 366 bis» (disposizione introdotta dal medesimo decreto, col
titolo «Formulazione dei motivi»). Vi è dunque un onere argomentativo
alla base della genesi del vigente testo dell’art. 366, primo comma, n.
4 cod. proc. civ., un onere che verte sulle modalità di formulazione dei
motivi.
È naturale allora che, una volta intervenuta l’abrogazione dell’art.
366 bis cod. proc. civ. (ad opera del d.l. n. 69 del 2009), l’art. 366
primo comma n. 4 cod. proc. civ. deve essere ora reinterpretato in
funzione del contenuto precettivo della disposizione che ha preso il
posto del detto art. 366 bis, ossia dell’art. 360 bis cod. proc. civ.

l’inammissibilità del ricorso sul piano meritale, ne deriva che la

In definitiva, non sembra dubbio la specificità del motivo, prescritta
dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., vada calibrata in relazione alla
previsione dell’art. 360 bis cod. proc. civ.
4.4. – Quanto sopra detto, vuol dire ogni motivo col quale si
denunzi una “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” (ai
sensi dei numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc.

“sostanziali”) non può, in forza del disposto dell’art. 360 bis n. 1 cod.
proc. civ., essere formulato richiamando esclusivamente la norma
giuridica che si assume violata, ma deve essere articolato in una serie
di argomenti coerenti con quanto preteso dall’art. 360 bis n. 1 cod.
proc. civ.
A tal fine, va chiarito che non si tratta di pretendere dal ricorrente
una illustrazione fine a se stessa della giurisprudenza di legittimità, che
– ovviamente – è ben nota alla Corte; si tratta invece di prendere atto
della necessità che il ricorrente, nella formulazione del motivo e ai fini
della specificità dello stesso, provveda a raffrontare la decisione
impugnata con tale giurisprudenza, al fine di dimostrare come la prima
si ponga in contrasto con la seconda, e – qualora tale contrasto non vi
sia – offra alla Corte argomenti che puntino a sollecitare un mutamento
dell’orientamento giurisprudenziale esistente.
L’art. 366 n. 4, letto in correlazione con l’art. 360 bis n. 1 cod.
proc. civ., impone al ricorrente, nel formulare il motivo, di tener conto
della giurisprudenza della Corte, rafforzando in tal modo il principio
dello stare decisis, che si fa strada nel nostro ordinamento in funzione
del potenziamento della funzione nomofilattica della Corte suprema e
di uniformazione delle decisioni giurisdizionali, presupposto
indispensabile per assicurare l’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla
legge (art. 3 Cost.).
In particolare, deve ritenersi che l’onere di specificità del motivo,
prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., si articola

civ., a seconda che si tratti di norme “processuali” o di norme

nei seguenti elementi che ogni motivo di ricorso deve contenere:
a) Innanzitutto, il motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360
primo comma nn. 1, 2, 3 o 4 cod. proc. civ., deve contenere
l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate (come
espressamente prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 n. 4
cod. proc. civ.); il che implica la necessità che il ricorrente esamini il

violazione. Non è consentita la nuda elencazione di articoli di legge che
si sostiene essere stati violati, senza che – nel corpo del motivo – ne
sia considerato il contenuto precettivo (cfr. Cass., Sez. 6-5,
15/01/2015, n. 635). Ed è ovvio che il contenuto precettivo della
norma di cui si denunzia la violazione deve essere individuato in
coerenza col “diritto vivente”, ossia col significato riconosciuto alla
norma dalla giurisprudenza della Corte suprema.
b) Il motivo poi, per essere specifico, deve considerare quanto
preteso dall’art. 360

bis

n. 1 cod. proc. civ. ai fini della sua

ammissibilità “meritale”. È necessario, perciò, che il motivo prima
individui innanzitutto la ratio decidendi della sentenza impugnata ed
operi poi un “raffronto” tra la regola giuridica applicata dai giudici di
merito e la giurisprudenza della Corte suprema. Tale raffronto sarà
sufficiente ai fini della specificità del motivo ex art. 366 n. 4 cod. proc.
civ. ove dimostri che il giudice di merito si è discostato dalla
giurisprudenza di legittimità; ove, al contrario, il detto raffronto
dimostri che il giudice di merito ha deciso in modo conforme a tale
giurisprudenza, il motivo sarà inidoneo al raggiungimento del suo
scopo, sarà perciò non specifico, se il ricorrente non completi la
censura con l’ulteriore elemento (espressamente indicato dall’art. 360
bis) di cui alla lettera che segue.
e) Il motivo, per essere specifico, nel caso in cui la pronuncia
impugnata risulti conforme alla giurisprudenza di legittimità, deve
contenere ancora argomenti per contrastare l’indirizzo

contenuto precettivo di ciascuna delle norme di cui denunzia la

giurisprudenziale adottato dai giudici di merito.
Deve ritenersi che, ove il motivo non contenga gli elementi appena
illustrati, in coerenza con quanto previsto dall’art. 360 bis cod. proc.
civ., lo stesso sarà non specifico, inidoneo al raggiungimento dello
scopo e, dunque, inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc.
civ.

violazione o falsa applicazione di norme di diritto, senza prendere
chiaramente in esame il contenuto precettivo delle norme che si
assumono violate, lette alla luce dell’interpretazione della
giurisprudenza della Corte; oppure un motivo che, pur tenendo conto
di tale giurisprudenza, non si curi però di raffrontare con essa la ratio

decidendi della decisione impugnata; oppure un motivo che, pur
avendo operato tale raffronto, all’esito del quale risulti che la sentenza
impugnata ha deciso in modo conforme alla giurisprudenza della Corte,
ometta poi del tutto di offrire argomenti per contrastarla.
In tutti questi casi, il motivo formula critiche non intellegibili,
perché non consente di comprendere in cosa risieda il preteso errore di
diritto del giudice a quo, in cosa consista la denunciata violazione della
legge sostanziale o processuale. Il motivo, pertanto, dovrà essere
dichiarato inammissibile per difetto di specificità ai sensi dell’art. 366
n. 4 cod. proc. civ., risultando esso inidoneo (con riferimento a quanto
preteso dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.) al raggiungimento del suo
scopo, quello di ottenere la cassazione della decisione impugnata.
Tale inammissibilità non dipende dalla manifesta infondatezza del
motivo rispetto alla giurisprudenza della Corte, come quella di
carattere “meritale” prevista dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.; essa
dipende, invece, dalla incompleta redazione del motivo, che risulta
privo del carattere della “specificità” necessario per costituire una
“vera” ed “intellegibile” critica della decisione impugnata: si tratta,

Difetta perciò di specificità un motivo che si limiti a denunciare la

dunque, di una inammissibilità di carattere “processuale”, che discende
dalla violazione del precetto di cui all’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.
In questa direzione, d’altra parte, si pongono già diversi precedenti
di questa Corte:
– «Quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o
falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto

a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., non
solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente
violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese
motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in
diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente
giurisprudenza di legittimità» (Cass., Sez. 3, 16/01/2007, n. 828;
Cass., Sez. 6-5, 15/01/2015, n. 635).

«Il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per

cassazione comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare
ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi
di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta
alla pronuncia di merito» (Cass., Sez. 1, 18/10/2013, n. 23675), in
quanto «è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione
che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della
censura»

(Cass., Sez. 1, 05/04/2006, n. 7882; Cass., Sez. 1,

30/03/2007, n. 7981).
In definitiva, il Collegio ritiene che, quando col ricorso per
cassazione sia denunciata una violazione o falsa applicazione di una
norma giuridica sostanziale o processuale (art. 360, primo comma, nn.
1, 2, 3 e 4 cod. proc. civ.), l’onere di specificità dei motivi di cui all’art.
366 n. 4 cod. proc. civ. deve essere letto alla luce del disposto dell’art.
360 bis n. 1 cod. proc. civ.

– 13 –

dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto,

Pertanto, il ricorrente, nel formulare il motivo, ha l’onere, a pena di
inammissibilità dello stesso, non solo di esaminare il dettato delle
norme di diritto di cui assume la violazione o falsa applicazione (lette
secondo l’interpretazione giurisprudenziale di legittimità), ma anche di
operare un raffronto tra la regola giuridica applicata dai giudici di
merito e la giurisprudenza della Corte suprema, sì da dimostrare come

pronuncia impugnata risulti conforme alla giurisprudenza di legittimità
– ha l’ulteriore onere di addurre argomenti per contrastare l’indirizzo
giurisprudenziale adottato dai giudici di merito.
La mancanza di uno di tali elementi costitutivi del motivo, ne
determina l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 in relazione all’art.
360 bis n. 1 cod. proc. civ.
Trattandosi di una inammissibilità che attiene alla forma-contenuto
dell’atto (il ricorso per cassazione) e dipende dalla carenza degli
elementi costitutivi necessari del motivo, essa ha carattere
strettamente processuale; la stessa, pertanto, va valutata con
riferimento al momento della proposizione del ricorso, non potendo
l’inammissibilità iniziale essere sanata successivamente con la memoria
presentata, a seconda dei casi, ai sensi degli artt. 378 o 380 bis e
segg. cod. proc. civ.
Sul punto, va enunciato, ai sensi dell’art. 384 primo comma cod.
proc. civ., il seguente principio di diritto:

«Ove col ricorso per cassazione si denunci la violazione o la falsa
applicazione di norme di diritto, processuali o sostanziali, il principio di
specificità dei motivi di cui all’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc.
civ. deve essere letto in correlazione col disposto dell’art. 360 bis n. 1
cod. proc. civ.; è pertanto inammissibile per difetto di specificità, ai
sensi dell’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art.
360 bis n. 1 cod. proc. civ., il motivo di ricorso che, nel denunciare la
violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi

– 14 –

la prima si ponga in contrasto con la seconda; e – nel caso in cui la

della sentenza impugnata con la giurisprudenza della Corte e, ove la
prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per
mutare giurisprudenza».
4.5. – Orbene, premesso quanto sopra e tornando all’esame del
quarto motivo, va rilevato come il ricorrente, nel dolersi del fatto che la
Corte territoriale abbia liquidato equitativamente il danno in modo

giurisprudenza della Corte sul punto

(ex plurimis, Cass., Sez. 1,

15/03/2016, n. 5090; Cass., Sez. 3, 04/04/2013, n. 8213; Cass., Sez.
3, 13/10/2017, n. 24070) e non ha verificato la sua conformità o meno
ad essa, con particolare riferimento al principio della insindacabilità
dell’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare
il danno in via equitativa allorquando – come nella specie (p. 6 della
sentenza impugnata) – la decisione impugnata abbia dato
adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà ed abbia indicato il
processo logico e valutativo seguito.
Il motivo, pertanto, risulta non specifico e, conseguentemente,
inammissibile ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4 in relazione
all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.
5. – Poiché tutti i motivi risultano inammissibili, il ricorso va
dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte
ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese
processuali, liquidate come in dispositivo.
6. – Ricorrono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater
D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo
unificato.
P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al
pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.300,00 (duemilatrecento)

arbitrario, non ha raffrontato la decisione impugnata con la consolidata

per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà

atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso.

Civile, addì 23 novembre 2017.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione

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