Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5000 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 24/02/2021), n.5000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26375-2019 proposto da:

D.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE COLLI

PORTUENSI, 57, presso lo studio dell’avvocato CIPRIANI FABIO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CIRCUITO CINEMA SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. VICO, 40,

presso lo studio dell’avvocato MONTARETTO MARULLO GIULIANO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1625/2019 della CORTE D’APPELLO di k,(0,boi

AP depositata il 15/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

la Corte d’appello di Roma, a conferma della sentenza del Tribunale, ha rigettato il ricorso proposto da D.R.A., dipendente della Società Circuito Cinema s.r.l., diretto all’accertamento della illegittima improvvisa interruzione da parte della società – a far data dal giugno 2013 – della corresponsione di indennità varie (superminimo non assorbibile, indennità di rischio e di condizionamento) asseritamente godute fin dal 2005 a titolo di trattamento ad personam;

la Corte territoriale ha accertato che l’interruzione dell’erogazione era conseguita alla disdetta, da parte della società, dei contratti integrativi non rinnovati, che costituivano la fonte delle pretese dell’appellante e ha stabilito che, essendo venuto a mancare uno dei presupposti fondamentali su cui fondava, fino alla disdetta, la prassi aziendale migliorativa, legittimamente la società aveva ritenuto di applicare ai dipendenti il CCNL di categoria, dal quale le predette indennità non erano contemplate;

la cassazione della sentenza è domandata da D.R.A. sulla base di quattro motivi, illustrati da successiva memoria;

la Società Circuito Cinema s.r.l. ha depositato controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, formulato in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, parte ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto del giudizio, consistente nella mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, del contenuto delle pattuizioni contenute nella lettera del 21 novembre 1997, da cui sarebbe risultato che la società aveva riconosciuto alla dipendente, oltre all’attribuzione del V livello, anche la concessione ad personam del superminimo individuale “non assorbibile”;

nel secondo motivo, formulato in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia sul motivo di appello ove sarebbe stato contestato che la fonte del superminimo potesse essere individuata nell’accordo integrativo del 13 febbraio 2005;

nel terzo motivo, formulato in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione dell’art. 2077 c.c., da parte della Corte territoriale là dove questa avrebbe stabilito che le condizioni di miglior favore concordate ad personam in favore della ricorrente potessero essere derogate da successive pattuizioni contrattuali meno favorevoli (nella specie, l’accordo sindacale del 2013 con cui era stato revocato il contratto collettivo integrativo concluso nel 2005);

il quarto motivo, sempre formulato in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta violazione degli artt. 2103 e 2099 c.c., per non avere, la Corte territoriale, adeguatamente valutato che l’interruzione dell’erogazione del cd. superminimo non assorbibile avesse determinato una riduzione della retribuzione tabellare acquisita dalla ricorrente a seguito del riconoscimento di funzioni direttive da parte della società;

il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione;

essi sono inammissibili;

la Corte d’appello, nel confermare la sentenza di prime cure, ha individuato in via definitiva la fonte della pretesa economica vantata dall’odierna ricorrente nel contratto integrativo del 2005, della cui disdetta si dà atto nel verbale di accordo sindacale del 9 settembre 2013;

la previsione, da parte di una fonte collettiva (di secondo livello), costituisce la ragione per cui al superminimo, in seguito definito straordinario forfettizzato, non possa, secondo la Corte territoriale, conferirsi una rilevanza ad personam, tant’è che, affermano i giudici del merito, quale che fosse la fonte contrattuale che ne aveva previsto l’introduzione, l’indennità era diventata parte integrante del trattamento contrattuale goduto da tutti i lavoratori;

d’altronde, la questione concernente una eventuale pattuizione ad personam diversa da quella collettiva, non considerata dai giudici del merito quale fonte degli emolumenti rivendicati dalla D.R., non è da quest’ultima ammissibilmente prospettata;

a fronte di una sentenza in cui non vi è cenno di una pattuizione individuale contenuta nella lettera del 21/11/1997, le censure di omesso esame di un fatto decisivo e di omessa pronuncia in merito ai fatti contestati risultano prive di qual si voglia allegazione circa il luogo, le modalità e la sede in cui le circostanze di cui si denuncia la mancata valutazione da parte dei giudici del merito siano state introdotte nel giudizio (cfr. per tutte, Cass. 20694 del 09/08/2018); neppure la ricorrente deduce le ragioni del rigetto della questione da parte del tribunale e i motivi di appello eventualmente proposti;

il terzo motivo è inammissibile;

la censura di violazione dell’art. 2077 c.c. appare del tutto inconferente rispetto alla statuizione per la quale, a fronte di un riconoscimento a tutti i dipendenti dell’indennità da parte del contratto collettivo integrativo del 2005, legittimamente le parti in sede di autonomia collettiva avevano esercitato l’opzione di approdare all’applicazione del CCNL di settore a partire dal 2013, disdettando il c.c. integrativo, rimasto in vigore ben oltre il suo periodo di vigenza contrattuale;

a fronte della suddetta ricostruzione, confermata in entrambi i gradi del giudizio di merito, la doglianza per la quale si sarebbe consentita una deroga in pejus rispetto al trattamento economico asseritamente riconosciuto ad personam all’odierna ricorrente, non appare idonea a configurare una violazione legge, ma si rivolge, piuttosto, a sollecitare, da parte di questa Corte, una nuova valutazione dei fatti di causa;

dalle argomentazioni sviluppate in motivazione, e non ammissibilmente confutate dalla D.R., si evince con chiarezza come il giudice dell’appello abbia escluso

l’esercizio arbitrario, da parte della società, del potere di deroga peggiorativa del 14’s

trattamento retributivo in godimento, in violazione dell’art. 2077 c.c.; il quarto ed ultimo motivo è inammissibile;

quanto all’asserita riduzione della retribuzione tabellare acquisita in base alle mansioni di livello direttivo svolte, conseguente all’interruzione dell’erogazione contrattuale, valgono le medesime osservazioni esposte in precedenza, concernenti la mancata allegazione, da parte di D.R.A. della circostanza di fatto posta a fondamento della propria prospettazione e, dunque, la sua assoluta novità in questa sede;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

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