Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 50 del 04/01/2022

Cassazione civile sez. I, 04/01/2022, (ud. 07/07/2021, dep. 04/01/2022), n.50

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21476/2020 proposto da:

K.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Visentin, come

da procura in calce al ricorso per cassazione, elettivamente

domiciliato presso il suo studio, in Roma, via Cunfida, n. 16;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, nella persona del Ministro in carica,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e

domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di ROMA n. 803/2020,

pubblicata in data 3 febbraio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 3 febbraio 2020, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da K.C., nato a (OMISSIS), in (OMISSIS), averso l’ordinanza del Tribunale di Roma del 18 giugno 2018, che aveva confermato il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale.

2. Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il paese di origine perché lo zio dal quale era stato cresciuto, dopo la morte del padre, non gradiva che lui avesse abbracciato la fede cristiana; che lo zio, che voleva farlo convertire alla religione musulmana, un giorno aveva tentato di ucciderlo, mettendo del veleno nel cibo e che lui si era rivolto ad un altro parente, creando, tuttavia, dei contrasti familiari.

3. Contro la sentenza della Corte di appello di Roma, K.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; il primo motivo, invero, riguarda la tempestività del ricorso in cassazione, alla luce della sospensione disposta dal 9 marzo all’11 maggio 2020 D.L. n. 18 del 2020, ex art. 83, comma 2, convertito con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020.

4. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e il difetto di motivazione e travisamento dei fatti, per assenza di istruttoria sui problemi di alcolismo cronico e per assoluta assenza di motivazione sulla domanda di protezione umanitaria in relazione alle critiche mosse alla statuizione del giudice di prima istanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19 e dell’art. 10 Cost., avendo la Corte di appello rifiutato il permesso di soggiorno, omettendo l’esame delle fonti informative relativamente alla parte concernente la situazione economica e sociale del paese e delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria.

2.1 I motivi che vanno trattati insieme, perché riguardano ambedue la domanda di protezione umanitaria, sono inammissibili.

2.1 Premessa l’inammissibilità del primo motivo, formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), deve evidenziarsi che il dedotto difetto di motivazione non sussiste perché la Corte di appello ha affermato, peraltro con una ratio decidendi che non è stato minimamente censurata dal ricorrente, che la posizione dell’appellante non era assimilabile a nessuna delle categorie di soggetti affetti da fragilità psichica fisica o psichica; né che, in caso di rientro, potevano essere compromessi i suoi diritti fondamentali; inoltre, non risultava dimostrata alcuna forma di integrazione sociale, culturale, lavorativa o familiare sul territorio italiano.

2.2 E ciò tenuto conto dei principi affermati da questa Corte secondo cui il potere-dovere del giudice di accertare, anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel paese straniero di origine dell’istante, si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda sorge nel caso in cui colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge (Cass. 28 giugno 2018, n. 17069) e che l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti né rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

2.3 Il primo motivo difetta, inoltre, di autosufficienza, laddove non specifica con quale modalità e in quali termini sia stato sottoposto ai giudici di secondo grado la censura sulla condizione di alcolismo cronico del richiedente, circostanza questa necessaria tenuto conto della natura del giudizio di appello, che non è strutturato come un giudizio nuovo, ma di revisione delle domande proposte (Cass., 12 maggio 2020, n. 8819).

2.4 In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, perché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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