Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4995 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2020, (ud. 23/05/2019, dep. 25/02/2020), n.4995

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11130-2016 proposto da:

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA V. TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato CIAVARELLA ANTONIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROSSI DOMENICO;

– ricorrente –

contro

ALMO COLLEGGIO CAPRANICA, elettivamente domiciliato in ROMA V.

ANTONIO GRAMSCI 9, presso lo studio dell’avvocato MARTINO CLAUDIO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5626/2015 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 27/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. TADDEI MARGHERITA.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con l’impugnata sentenza n. 5626/VI/15, depositata il 27.10.2015, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello del Comune di Roma Capitale e confermava la decisione n. 227/41/14, della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente Almo Collegio Capranica, annullando due avvisi di accertamento ICI per le annualità 2006 e 2007.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Contro la sentenza della CTR ricorre per cassazione il Comune di Roma Capitale articolando due motivi:

1) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 1089 del 1936, artt. 1 e 3, del D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5 (convertito con modificazioni dalla L. n. 75 del 1993), del Reg. Ici del Comune di Roma, art. 7, comma 3 e dell’art. 2697 c.c. e delle norme connesse e/o correlate,(rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) Lamenta il ricorrente che la Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza impugnata, è incorsa in un’erronea interpretazione e applicazione delle disposizioni indicate, poichè il vincolo storico-culturale, che giustifica il riconoscimento dell’esenzione, su un immobile può essere sancito soltanto ed esclusivamente con Decreto Ministeriale. La CTR ha ritenuto la sussistenza del vincolo diretto alla luce di una insufficiente documentazione prodotta in giudizio da controparte, consistente nelle comunicazioni intercorse con il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali con le quali venivano rilasciati i nulla osta all’esecuzione di lavori compatibili con la tutela dell’edificio “sottoposto a vincolo ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089. La produzione documentale di controparte è inidonea a provare le caratteristiche del vincolo che per poter giustificare la riduzione di imposta – a tenore della legislazione di riferimento, deve essere diretto. In assenza dello specifico decreto ministeriale non può ritenersi che l’immobile di cui al fg. (OMISSIS) sub. (OMISSIS) sia tra quelli da ascrivere alla categoria dei beni di interesse storico ed artistico con vincolo diretto e, conseguentemente, che possa usufruire di un trattamento fiscale privilegiato ai fini ICI.

2) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in combinato disposto con l’art. 345 c.p.c. nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. e delle norme connesse e/o correlate (rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Lamenta la ricorrente che la Commissione Tributaria Regionale è chiaramente incorsa in una palese violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 laddove ha ritenuto il secondo motivo di appello di Roma Capitale inammissibile, per violazione del principio del novum, pur avendo il Comune contestato fin dal primo grado l’applicazione dell’esenzione di cui al D.Lgs n. 504 del 1992, art. 7 di cui è prova la memoria difensiva nella quali si contestava che l’Almo Collegio Capranica si fosse attivato per attestare il possesso dei requisiti, oggettivi e soggettivi, per godere dell’esenzione.

Considerato che:

Il primo motivo è del tutto infondato e inammissibile. La CTR con valutazione in fatto, ha accertato la sussistenza del vincolo diretto previsto dalla L. n. 1089 del 1939, art. 3 e succ.mod. ed ha ritenuto che il contribuente, sul quale incombeva l’onere della prova, avesse adeguatamente dimostrato che i beni di sua proprietà erano stati sottoposti a tale vincolo a mezzo della notifica dell’apposito provvedimento. Il ricorrente Comune, dunque, propone una diversa lettura degli atti di causa laddove non sussiste il dedotto vizio motivazionale, avendo la CTR affermato che ” Come emerge dalle risultanze probatorie, e in particolare dalle note del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma: (i) del giorno 11.10.1995, nella quale si legge, in risposta alla richiesta di autorizzazione ad effettuare opere di ripristino sull’immobile in questione, che lo stesso è “sottoposto a vincolo ai sensi della L.7 giugno 1939, n. 1089”; (ii) del 30.11.2011, con cui “si comunica che esistono provvedimenti di tutela diretta ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004 sui seguenti immobili: a) Via del Collegio Capranica, 1-4 relativamente a: “… il Palazzo con tutte le sue decorazioni interne ed esterne… “”; (iii) del 15.3.2013, nella quale “con il provvedimento individuato in epigrafe questa Amministrazione ha dichiarato l’immobile sottoposto alla legge di tutela attualmente vigente e pertanto ricopre interesse culturale ai sensi del D.Lgs. n.. 42 del 2004, art. 10 “, sull’immobile del quale si discute il vincolo di storicità è di tipo diretto, inerendo direttamente al bene oggetto di tutela e non ad un altro bene, che si trovi in relazione con quello di cui si discute. Non è, infatti, necessario, ai fini della sussistenza di siffatto vincolo, che i provvedimenti ministeriali facciano espresso riferimento alle previsioni normative in materia, i.e. alla L. n. 1089 del 1939, artt. 1 e 3, purchè, nella sostanza, venga applicati i principi espressi da quella normativa. Tutto questo considerato, evidentemente per l’immobile sito in Via del Collegio di Capranica n. 4 opera l’esenzione ICI di cui alla 1. 1089/1939.”A fronte della chiara decisione della CTR, il ricorrente, apparentemente denuncia il vizio di violazione di legge ma in realtà rimette in discussione l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, apprezzamento che è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di tale sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione: cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03, 7921 / 2011.In altri termini con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass.n. 29404/2017).

E’ fondato il secondo motivo di ricorso.

Innanzitutto il ricorrente ha correttamente provato di aver dedotto, come motivo di ricorso, che non era stata provata dal contribuente la sussistenza dei presupposti, sia oggettivo che soggettivo, per godere dell’agevolazione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1 lett. i), motivo che non è stato, esaminato dai giudici di merito.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i) nel testo vigente dal 01/01/2003 al 03/10/2005 disponeva l’esenzione ICI per “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), del e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”.

La disposizione è stata integrata e modificata, dal D.L. n. 203 del 2005, art. 7, comma 2-bis, convertito in L. n. 248 del 2005, che aveva esteso l’esenzione alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse. La norma ha, poi subito, un’ulteriore modificazione, con il D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito con modificazioni nella L. 248 del 2006 che, sostituendo il citato art. 7, comma 2-bis, ha stabilito che l’esenzione disposta dal D.Lgs. n. 504 del 1992 art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera “che non abbiano esclusivamente natura commerciale”. Le modifiche legislative ora riportate non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo (in questo senso Cass. n. 14530 del 2010; Cass. n. 14795 del 2015). Occorre precisare, inoltre, che le condizioni dell’esenzione sono cumulative nel senso che è richiesta la coesistenza, sia del requisito soggettivo riguardante la natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo in forza del quale l’attività svolta nell’immobile deve rientrare tra quelle previste dall’art. 7 citato;

deve trattarsi, in particolare, di immobili destinati direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività, tra le quali quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana (cfr. Cass. n. 13966 del 2016). Con riguardo alla verifica del requisito oggettivo è, pertanto, irrilevante, la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi; tale elemento, costituendo una fase successiva, non fa, infatti, venir meno il carattere commerciale dell’attività (Cass. n. 24500 del 2009).

Sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è stato affermato ed è un principio del tutto condiviso da questo collegio che “il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 6711 del 2015).

La decisione n. 17256 del 2019 ha chiarito che “Sul diverso versante della compatibilità della norma in esame con il diritto unitario, da tempo si è affermato un orientamento di legittimità secondo cui deve tenersi conto della decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012. Tale pronuncia ha verificato se il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, in particolare con l’art. 107, paragrafo 1, del Trattato, che dispone: “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. E’ stato, poi, precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato. La finalità sociale dell’attività svolta non è, dunque, di per sè sufficiente ad escluderne la classificazione in termini di attività economica.

Per escludere la natura economica dell’attività è necessario che essa sia svolta a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo simbolico. Da tali rilievi consegue l’irrilevanza delle argomentazioni sulle finalità solidaristiche che connotano le attività svolte dalla parte contribuente. Nè può tenersi conto della circolare ministeriale (29 gennaio 2009) esplicativa dei criteri utili per stabilire quando le attività di cui all’art. 7 lett. i) debbano essere considerate di natura “non esclusivamente commerciale”. La Commissione UE nella pronuncia sopra richiamata ha ritenuto, infatti, che l’applicazione dei criteri di cui alla citata circolare non vale ad escludere la natura economica delle attività interessate ed ha concluso nel senso che l’esenzione di cui all’art. 7 citato costituisce aiuto di Stato. In quella ipotesi, tuttavia, non è stato ritenuto possibile ordinare il recupero delle somme.

Tale ultimo aspetto è stato di recente affrontato e risolto dalla sentenza della CGUE del 6 novembre 2018, (cause riunite C-622/16 P – C-623/16 P, C-624/16). E’ stato chiarito, infatti, che l’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità e che diversamente si farebbero perdurare gli effetti anticoncorrenziali della misura. In questo senso è stato precisato che le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale.

Deve quindi concludersi, dando seguito a un orientamento di legittimità di recentemente espresso (Cass. n. 4066 del 2019), che l’esenzione prevista in favore degli enti non commerciali dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa dell’Unione Europea solo qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica nei termini sopra precisati: quando l’attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico.

La sentenza impugnata non si è pronunciata in ordine ai principi ora enunciati, avendo riconosciuto il ricorrere dei presupposti dell’esenzione senza in alcun modo chiarirne le ragioni, laddove avrebbe dovuto accertare se le predette attività fossero in concreto esercitate con modalità non commerciali nei termini sopra esposti.

Il ricorso va, pertanto, accolto. La sentenza va cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione per il riesame nei termini sopra esposti ed anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per il giudizio sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, Camera di consiglio, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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