Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4995 del 21/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2019, (ud. 11/10/2018, dep. 21/02/2019), n.4995

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20761-2017 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAZIO

20-C, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO COGGIATTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADRIANO SCAPATICCI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 854/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 22/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’11/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato ad un unico motivo, B.E. ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Brescia, resa pubblica in data 22 settembre 2016, che (in sede di riassunzione ex art. 392 c.p.c.) ne rigettava il gravame da essa interposto avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, il quale aveva, a sua volta, respinto la domanda proposta, nei confronti del Ministero della Salute, al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti dall’attrice per avere contratto nel 1983 infezione da HCV, dovuta a cinque trasfusioni di sangue infetto a seguito di intervento chirurgico presso gli Ospedali Civili di Brescia;

che la Corte territoriale, in dichiarato contrasto con la sentenza n. 581 del 2008 delle Sezioni Unite di questa Corte, osservava: 1) che il primo test idoneo ad individuare il virus HCV era stato messo a punto solo nel 1988 mentre le trasfusioni di sangue per cui è causa erano state poste in essere nel 1983; 2) che pur avendo la comunità scientifica imposto fin dal 1966 accurati controlli e misure di prevenzione la fine di individuare la presenza di malattie epatiche non ancora identificate, successivamente, la stessa era pervenuta alla conclusione della sostanziale inutilità della determinazione delle transaminasi ai fini di screening dei donatori, posto che i soggetti portatori di HCV potevano avere valori di transaminasi del tutto nella norma e avere una malattia con decorso asintomatico; 3) che, alla luce delle conoscenze mediche disponibili in quel periodo, non sussisteva responsabilità da parte dell’amministrazione per il danno conseguente alla trasfusione con sangue infetto in assenza di test idonei ad accertare la possibile presenza nel sangue dei donatori di virus 1-IIV/I-ICV non solo prima della scoperta del virus dell’epatite B nel 1978, ma anche in seguito; che resiste con controricorso il Ministero della Salute;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato che, con unico mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., per avere la Corte d’appello rigettato la domanda proposta dall’odierna ricorrente sul presupposto che il virus LICV non fosse riconosciuto come prevedibile in epoca antecedente al 1988;

che il motivo è manifestamente fondato;

che nella giurisprudenza di legittimità si è consolidato l’orientamento – da cui si è discostata la Corte territoriale con argomentazioni non condivisibili e già oggetto di confutazione in questa sede di legittimità – secondo cui il Ministero della Salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine alla pratica terapeutica di trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati e risponde ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi (Cass., 23/1/2014, n. 1355; Cass., n. 26152 del 2014; Cass., Sez. Un., 11/1/2008 n. 576; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584; Cass., 29/8/2011, n. 17685);

che, sotto il profilo della responsabilità del Ministero della Salute per omessa vigilanza, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi, il giudice, accertata l’omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata, infine, l’esistenza di una patologia da virus HIV, HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la verificazione dell’evento”;

che, inoltre, nello specificare il criterio per la delimitazione temporale della responsabilità dell’Amministrazione, le Sezioni Unite hanno puntualizzato che già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B sussiste la responsabilità della stessa anche per il contagio degli altri due virus, i quali non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati da sangue infetto. Pertanto non sussistono tre eventi lesivi, autonomi e indipendenti, ma un unico evento lesivo, vale a dire la lesione dell’integrità fisica, per cui unico è anche il nesso causale: sangue infetto – contagio infettivo – lesione dell’integrità (in riforma del precedente orientamento espresso da Cass., 31/5/2005, n. 11609, secondo cui fino a quando non fossero stati conosciuti dalla scienza medica i virus dell’HBV, HIV E HCV, cioè, rispettivamente, fino al 1978, 1985 e 1988, doveva essere esclusa la responsabilità del Ministero, non potendo lo stesso conoscere la capacità infettiva di detti virus prima ancora della comunità scientifica);

che il Ministero della Salute è, dunque, tenuto anche anteriormente alle date sopra riportate, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati sia esente da virus e che i donatori non presentino alterazioni delle transaminasi, in adempimento di obblighi specifici posti dalle fonti normative speciali (Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581);

che il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che dovrà pronunciarsi sul gravame della B. applicando i principi di diritto sopra enunciati, oltre a dover provvedere alla regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta-Terza Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2019

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