Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4992 del 02/03/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 4992 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: VALLE CRISTIANO

ORDINANZA

sul ricorso 5421-2014 proposto da:
PAVAN GIANLUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA P. TACCHINI 7, presso lo studio dell’avvocato
FABRIZIO POLESE, rappresentato e difeso dall’avvocato
ANNA-LISA RENDA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
2017
4705

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 02/03/2018

avverso la sentenza n. 874/2013 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 19/08/2013 R.G.N. 1296/2011.

N\

Udita all’adunanza camerale non partecipata del 23 novembre 2017 la relazione
del giudice designato dr. Cristiano Valle;
rilevato che:
la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale della
stessa sede, di rigetto della domanda, proposta da Gianluigi Pavan, volta ad

conclusi, tra lo stesso e Poste Italiane s.p.a., ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis,
del d.lgs. n. 368 del 2001, per stipulati il 14 luglio 2006, il 1 febbraio 2007, il 20
giugno 2007 ed il 10 novembre 2007;
la sentenza è stata impugnata da Gianluigi Pavan con due motivi, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione all’art. 2, comma 1 bis, del
d.lgs. n. 368 del 2001 in relazione alla violazione della percentuale del 15% e
dell’art. 5 della Direttiva UE n. 1999/1970;
Poste Italiane s.p.a. si è difesa con controricorso;
ritenuto che:
i motivi di impugnazione possono essere trattati congiuntamente, stante la loro
connessione;
essi sono infondati, in quanto le ragioni di dissenso, rispetto alla pronuncia di
appello, da essi prospettate, sono state tutte disattese dalla costante
giurisprudenza di questa Corte, che, anche nella sua massima espressione
nomofilattica (Sez. U sentenza n. 11374 del 2016), ha ritenuto che “le assunzioni
a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore
delle poste, che presentino i requisiti specificati dal comma 1 bis dell’art. 2 del
d.lgs. n. 368 del 2001, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del comma 1
dell’art. 1 del medesimo d.lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione
sulla sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal
legislatore” ed ha altresì precisato che “in tema di rapporti di lavoro nel settore
delle Poste, la stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato
nel rispetto della disciplina di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, e successive
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ottenere la dichiarazione di nullità dei quattro contratti a tempo determinato

integrazioni, applicabile ratione temporis, è legittima, dovendosi ritenere la
normativa nazionale interna non in contrasto con la clausola n. 5 dell’Accordo
Quadro, recepito nella Direttiva n. 1999/70/CE, atteso che l’ordinamento italiano
e, in ispecie, l’art. 5 del d.lgs. n. 368 cit., come integrato dall’art. 1, commi 40
e 43, della I. n. 247 del 2007, impone di considerare tutti i contratti a termine
stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi

violazione comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto”;
in relazione all’erronea applicazione della clausola di contingentamento, perché
il suo rispetto dovrebbe essere verificato sull’intero organico e non soltanto sul
personale addetto al servizio postale, occorre fare riferimento esclusivo, in tema
di contratto di lavoro a tempo determinate ed ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis
d.lgs. n. 368 del 2001, alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione
– quelle concessionarie di servizi e settori delle Poste – e non anche alle mansioni
del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta
legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata
nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio
universale” postale, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 261 del 1999, di
attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa
flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinate, pur
sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore (si
veda Cass. n. 13609 del 2015);
il collegio ritiene di dare continuità ai suddetti orientamenti;
inoltre, ancora con riferimento al motivo concernente il mancato rispetto della
clausola di contingentamento del 15%, deve rilevarsi che esso è in parte
inammissibile, stante la mancata indicazione, da parte della difesa del ricorrente,
della specifica proposizione della relativa impugnativa ~t=r3nitteei+e

non

risultando in alcun kbdo individuato in quale parte del ricorso in primo grado il
tema della violazione della clausola del 15% sia stato posto – ed alla mancata
contestazione specifica dei dati esposti nella produzione documentale di Poste

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intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima (36 mesi), la cui

Italiane s.p.a., effettuata sin dalla costituzione dinanzi al tribunale, cui la
sentenza impugnata conferisce rilievo determinante;
il ricorso per cassazione, inoltre, non contiene alcuna specifica ragione di
dissenso rispetto alla motivazione addotta dalla sentenza impugnata, fondata
sulla riscontrata incongruità del criterio di computo proposto nell’atto di appello,
consistente in un raffronto tra dati eterogenei, ossia considerando i dipendenti

sempre “per testa”, anche qualora il loro rapporto fosse a tempo parziale e
considerando computabili, quale dividendo, i soli addetti al recapito;
il ricorso è, conclusivamente, rigettato;
le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
stante l’integrale rigetto del ricorso deve, altresì, darsi atto dei presupposti, ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, per il versamento
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere a Poste Italiane s.p.a. le spese di lite, che
liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese
forfetarie al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del* ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione

totali attraverso la riduzione rispetto al rapporto full time e gli assunti a termine

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