Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4992 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 01/03/2011), n.4992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29035-2007 proposto da:

MITEC S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI S. COSTANZA 46, presso lo

studio dell’avvocato MANCINI LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato RIELLO VINCENZO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.D., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CAROZZA DOMENICO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5371/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/08/2006 R.G.N. 9781/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 3.3.2005 il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda proposta da P.D. con ricorso in data 2.11.2005, volta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli il 23.7.2003 dalla società Mitec srl, ritenendo che fosse inutilmente decorso il termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6.

Tale sentenza è stata riformata dalla Corte di Appello di Napoli che, accogliendo l’appello del lavoratore, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento ed ordinato la reintegrazione del P. nel posto di lavoro con le consequenziali pronunce di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Con la citata sentenza la Corte di Appello ha ritenuto, in particolare, che vi fosse in atti prova dell’avvenuto recapito della raccomandata contenente l’impugnativa del licenziamento all’indirizzo del datore di lavoro, ovvero presso la sede indicata nella lettera di licenziamento, nonchè dell’adempimento di tutte le formalità previste per il perfezionamento della notificazione nel caso di mancata consegna del piego per temporanea assenza del destinatario.

Ha affermato, inoltre, che non era stata provata la sussistenza del giustificato motivo di licenziamento, non essendo stata dimostrata, da parte della società, nè l’esistenza di una crisi dell’impresa nè quella di una riorganizzazione aziendale tale da giustificare il recesso del datore di lavoro. Ha ritenuto, infine, che il datore di lavoro non avesse dimostrato, come era suo onere, che le dimensioni dell’impresa non consentissero l’applicazione della cd. tutela reale, L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Mitec srl affidandosi a quattro motivi cui resiste con controricorso P.D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) e nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione agli artt. 112, 132 e 161 c.p.c. sull’assunto che alcune eccezioni e istanze istruttorie non sarebbero state trascritte nella sentenza impugnata e non sarebbero state prese in esame dal giudice dell’impugnazione.

2.- Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sul rilievo che la Corte territoriale non avrebbe disposto l’acquisizione di documenti (libro matricola e “visura camerale”) da ritenere indispensabili ai fini dell’accertamento della verità materiale.

3.- Con il terzo motivo di gravame la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., art. 437 c.p.c., comma 3 e art. 345 c.p.c., comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, sull’assunto che la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere l’indispensabilità della richiesta allegazione del libro matricola e ammetterne la produzione anche alla luce del mutato orientamento giurisprudenziale in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio circa la ricorrenza o meno del requisito dimensionale ai fini dell’applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18.

4.- Con il quarto motivo vengono denunciate violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 427 c.p.c. e degli artt. 1335, 2697 e 2729 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto che l’eccepita decadenza L. n. 604 del 1966, ex art. 6 non si fosse verificata, omettendo ogni esame dei documenti prodotti dalla società e non applicando correttamente il disposto dell’art. 1335 c.c..

5.- Il ricorso deve ritenersi inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e per violazione del principio di autosufficienza del ricorso (tanto a prescindere dalla considerazione della fondatezza o meno dell’eccezione di tardività del ricorso, che il resistente fonda sul mero rinvio ad alcune indicazioni contenute nell’epigrafe del ricorso per cassazione).

6.- Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, che deve essere idoneo a far comprendere alla S.C., dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 8463/2009). Per la realizzazione di tale finalità, il quesito deve contenere la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice a quo e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare alla fattispecie. Nel suo contenuto, inoltre, il quesito deve essere caratterizzato da un sufficienza dell’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto ad apprezzare la sua necessaria specificità e pertinenza e da una enunciazione in termini idonei a consentire che la risposta a esso comporti univocamente l’accoglimento o il rigetto del motivo al quale attiene (Cass. 5779/2010, Cass. 5208/2010). Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Al riguardo, inoltre, non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr.

ex plurimis, Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

7.- D’altra parte, è giurisprudenza costante che il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto, il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione di alcune risultanze istruttorie (documenti, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parte, accertamenti del consulente tecnico) ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto, anche mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, e di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (cfr. ex plurimis, Cass. 4205/2010, Cass. 15952/2007, Cass. 6679/2006, Cass. 4840/2006, Cass. 10598/2005, Cass. 17369/2004, Cass. 9711/2004, Cass. 1170/2004, Cass. 3004/2004).

8.- La norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige, peraltro, che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto;

tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui può ritenersi soddisfatta, qualora il documento sia stato prodotto nelle precedenti fasi merito, anche mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile (Cass. sez. unite 7161/2010, Cass. 29279/2008, Cass. sez. unite 28547/2008).

9.- Nella specie, nessuno dei quesiti formulati dalla ricorrente risulta adeguato a recepire l’iter argomentativo che supporta le singole censure: non quelli formulati alla fine del primo motivo, per la genericità del riferimento a “eccezioni” e “istanze Istruttorie” di cui non è dato cogliere, dalla enunciazione dei singoli quesiti, la rilevanza e la decisività; nè quelli che concludono gli altri motivi e che si risolvono in astratte petizioni di principio o in enunciazioni di carattere generale, che non consentono di cogliere il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede di affermare (e così, fra gli altri, i quesiti che si riferiscono alla indispensabilità dell’acquisizione del libro matricola e della “visura camerale” o quelli che richiedono “se il mutamento radicale dell’orientamento del giudice di legittimità, circa la ripartizione dell’onere della prova, possa applicarsi al grado di giudizio pendente, qualora si siano già verificate le decadenze processuale e se l’attestazione rilasciata dall’Ufficio Postale “abbia un valore probatorio superiore a quello attribuibile alle presunzioni semplici o a tutti gli altri documenti”). A quanto già detto si aggiunga che il contenuto dei documenti sui quali si basano le doglianze non risulta trascritto nel ricorso, nè viene indicata la sede in cui il documento sarebbe rinvenibile. Le carenze sopra indicate non offrono, inoltre, alcuna possibilità di un riscontro effettivo della decisività dei punti controversi e della rilevanza dei fatti in relazione ai quali la motivazione si assume carente, e così della correttezza e della sufficienza della stessa motivazione.

10.- Fermi restando i rilievi che precedono, e che assumono già valore decisivo e assorbente ai fini della valutazione dell’ammissibilità del ricorso, va rilevato, infine, che la doglianza della società in ordine alla non corretta applicazione nella fattispecie in esame dell’art. 1335 c.c. (e sintetizzata nel seguente quesito: “dica la Corte se in presenza di formale contestazione del destinatario di un atto recettizio circa la mancata conoscenza dell’atto stesso sia sufficiente tale attestazione rilasciata dall’Ufficio Postale per non ritenersi vinta le presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c.”) dovrebbe ritenersi comunque infondata, atteso che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui la lettera raccomandata o il telegramma – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c.. dello stesso (cfr. ex plurimis, Cass. 17417/2007, Cass. 20144/2005, Cass. 22133/2004, Cass. 10284/2001, Cass. 3908/92).

10.- Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.

11.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono distratte a favore del procuratore antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 21,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali, con distrazione a favore del procuratore del controricorrente, avv. C.D..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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