Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4991 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 01/03/2011), n.4991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TELECOM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, Dott.ssa T.C., elettivamente domiciliata in Roma,

Via Po n. 25/B, presso lo studio dell’Avv. Roberto Pessi,

rappresentata e difesa dall’Avv. Sallustri Giovanni del foro di

Napoli per procura a margine dei ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Guglielmo Marconi n. 618, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Petti,

rappresentato e difeso, unitamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti

Romanelli Grimaldi Eugenio, Domenico Cirillo ed Ernesto Maria Cirillo

del foro di Napoli come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli n.

7901/05 del 13.12.2005/21.03.2006 R.G. n. 1179/2003;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22.12.2010 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. SEPE Ennio

Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso, depositato il 20.06.2001, D.C.V., esponeva:

– di essere stato dipendente della ASST – Azienda di Stato per i servizi telefonici – con la qualifica di “revisore tecnico” (5^ categoria professionale, poi 6^ livello ex L. n. 797 del 1981); -di essere approdato alla qualifica di “revisore tecnico coordinatore”;

-di essere stato nominato “dirigente di ripartizione” presso la S.T.T.S. di Tupputi di (OMISSIS) – centrale di prima classe con quaranta unità, dal 22.06.1988;

– di essere stato assunto dall’IRITEL ai sensi della L. n. 58 del 1992, della convenzione 29.12.1992 e degli accordi sindacali 3.02.1993 – 15.03.1993 e 8.04.1993, con inquadramento nel 5^ livello retributivo con la qualifica di “assistente di impianti di centrale”, perdendo la nomina di “dirigente di ripartizione”;

– di avere conservato con il passaggio a TELECOM ITALIA S.p.A. l’inquadramento nel 5^ livello;

– di essere stato infine inquadrato, dal 1.10.1996, nel livello “E” con profilo di “assistente senior”;

– che dal 1998 la sua posizione professionale si era ulteriormente aggravata, a seguito della riorganizzazione interna del lavoro, vedendosi relegato a compiti manuali di riordino degli archivi e di sistemazione pratiche.

Ciò premesso, lamentava dequalificazione e demansionamento, dal novembre 1993; osservava di avere diritto a conservare la professionalità acquisita – della L. n. 58 del 1992, ex art. 4, comma 5 non tenendo conto la tabella di equiparazione realizzata con accordo sindacale del patrimonio professionale acquisito.

Chiedeva in conclusione, in via principale – previa dichiarazione di nullità dell’accordo collettivo 15.03.1993 sui criteri di inquadramento del personale ASST per contrasto con l’art. 2103 cod. civ. – l’accertamento e la declaratoria di illegittimità dell’inquadramento riconosciutogli in base al CCNL TELECOM e il riconoscimento del diritto ad essere inquadrato nel 3^ livello CCNL SIP dal 1.11.1993 e livello G) del CCNL Aziende di telecomunicazioni dal IMO. 1996 (livello 7^ CCNL 2000) con adibizione a mansioni corrispondenti a quelle svolte presso l’Azienda di Stato.

Chiedeva, in via subordinata, il riconoscimento all’inquadramento nel 4^ livello SIP dal 1.11.1993 con la qualifica di “capo settore” e nel livello “F” del CCNL Aziende di telecomunicazioni dal 1.10.1996, con la qualifica di “Capo Settore”.

Chiedeva altresì la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive, nonchè al risarcimento del danno per demansionamento da liquidarsi nella misura del 50% delle retribuzioni percepite nel periodo.

La TELECOM ITALIA contestava le avverse deduzioni ed argomentazioni, sostenendo l’inapplicabilità degli artt. 2112 e 2113 cod. civ. e l’insindacabilità delle tabelle di equiparazione.

2. Il Tribunale di Napoli con sentenza del 19.1 1.2002 accoglieva la domanda subordinata e riconosceva il diritto del ricorrente all’inquadramento nel 4^ livello CCNL SIP dal 1.11.1993 e nel livello F CCNL Aziende di Telecomunicazione dal 1.10.1996, con condanna della società convenuta al pagamento delle differenze retributive;

rigettava la domanda di risarcimento danni per demansionamento.

3. Proposto appello principale da parte della TELECOM ITALIA ed appello incidentale da parte del D.C. la Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 7901 del 2005 ha rigettato il primo ed accolto parzialmente il secondo, con condanna della TELECOM ITALIA al pagamento a titolo di risarcimento danni in favore del D.C. della somma pari al 50% delle differenze tra la retribuzione spettante in base al superiore inquadramento e quella di fatto percepita per i primi tre anni dall’inizio del demansionamento.

Quanto all’appello principale la Corte territoriale ha osservato che era superflua ogni indagine istruttoria sulle mansioni in concreto svolte dal D.C. sia presso l’ente di provenienza sia presso quello di destinazione, attesa la non contestazione in primo grado da parte della Telecom. Ha ritenuto, in punto di merito, che nella valutazione dell’equivalenza, ai fini della professionalità, occorresse verificare se nello svolgimento delle nuove mansioni fossero consentiti l’utilizzazione, il perfezionamento e l’accrescimento del patrimonio professionale precedentemente acquisito. In relazione a ciò ha sostenuto che nel caso di specie il confronto delle diverse declaratorie e dei compiti in concreto affidati avevano consentito la verifica della non effettiva salvaguardia del pregresso livello di professionalità, che connotava la vicenda lavorativa del ricorrente, qualificato dall’esplicazione di funzioni specialistiche di elevato profilo con l’apporto di un contributo professionale autonomo ed innovativo. La stessa Corte ha ritenuto corretto il riconoscimento dell’inquadramento del ricorrente nel 4^ livello contratto STP. Quanto all’appello incidentale la Corte ha accolto parzialmente tale gravame circa l’esistenza di demansionamento professionale in relazione all’evidenziato svilimento della professionalità e ha liquidato, come già detto, il danno nella misura del 50% d elle differenze retributive.

4. Ricorre TELECOM ITALIA S.p.A. con due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Il D.C. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 58 del 1992, art. 4 degli artt. 2071, 2095 e dell’art. 96 disp. att. cod. civ., nonchè dell’Accordo Collettivo del 15.03.993, con il quale sono state concordate le tabelle di equiparazione tra gli inquadramenti del personale vigenti in ASST e quelli da riconoscere in IRITEL con collegato difetto di – motivazione (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5).

In particolare la ricorrente rileva che l’impostazione dell’indagine condotta dal giudice del merito risulta viziata nel suo impianto logico – giuridico dall’erronea esclusione del valore vincolante delle previsioni dell’autonomia collettiva, alla stregua delle quali avrebbe dovuto essere compiuto l’accertamento: esclusione neppure giustificata da un raffronto tra la disciplina negoziale e quella legale, tale da prospettare uno stravolgimento della “natura sostanziale” delle categorie, che si rinvengono negli artt. 2095 cod. civ. e art. 96 disp. att. cod. civ.. In sostanza, ad avviso della ricorrente, la L. n. 58 del 1992 ha affidato all’autonomia collettiva la definizione classificatoria generale delle categorie, sicchè sotto tale profilo la specifica individuazione dell’autonomia collettiva non è censurabile da parte del giudice, cui è attribuito soltanto un controllo dei criteri legali.

Il motivo è infondato.

Questa Corte, nell’affrontare analoghe fattispecie in materia di rapporti di lavoro dei dipendenti dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici, nel passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico a quello privato, ha puntualizzato che qualora le tabelle di equiparazione tra le qualifiche di provenienza e quelle previste nell’Intel e successivamente nella Telecom non siano adeguate, per mancata corrispondenza tra le mansioni da esse equiparate, le stesse possono essere disapplicate nel giudizi concernente la qualifica o livello da attribuire al lavoratore transitato all’ASST alla società concessionaria dei servizi telefonici, con l’individuazione ad opera del giudice della qualifica o livello corrispondente alle astratte previsioni di quella precedentemente rivestita, secondo le rispettive definizioni e mediante una valutazione globale e non meccanicistica di queste (cfr. Cass, n. 11936 del 22 maggio 2009; Cass. n. 10315 del 21 aprile 2008; Cass. n. 15605 del 2004; Cass. n. 12647 del 2004).

Questa Corte ha ulteriormente precisato che la legge n. 58 del 1992, nel disciplinare il processo di privatizzazione del settore delle telecomunicazioni, stabilisce il principio (in particolare all’art. 4, comma 5 della “tutela della professionalità”, acquisita dai lavoratori, e il mantenimento del trattamento economico globalmente non inferiore a quello precedentemente goduto, ed attribuisce alle organizzazioni sindacali il potere di concordare con il datore di lavoro le tabelle di equiparazione, le quali non sono destinate a disporre dei diritti dei lavoratori, ma alla conservazione delle posizioni giuridiche ed economiche di ciascuno (cfr Cass. cit. n. 10315 del 2008; Cass. cit. n. 12647 del 2004).

Orbene l’impugnata sentenza, nell’esaminare la portata ed valore delle tabelle di equiparazione, è in linea con l’orientamento, già ricordato espresso d a questa Corte, con il rimarcare che tali tabelle, realizzanti la trasposizione in regime privatistico di qualifiche esistenti presso il precedente datore di lavoro, dovevano essere elaborate dalle parti collettive non in termini di corrispondenza meccanica ed assoluta (al che non corrisponde il concetto di “equiparazione”), ma secondo un raffronto complessivo delle declaratorie dei profili di volta in volta presi in considerazione, stante l’esigenza di raccordo (non di semplice giustapposizione) tra diversi sistemi di classificazione e di inquadramento, propri del sistema pubblicistico dell’ASST e, rispettivamente, delle società che ad essa per legge si sono sostituite. Corretta è pertanto l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui in virtù della normativa di riferimento (della L. n. 58 del 1992, art. 4) le indicazioni contenute nelle tabelle di equiparazione adottate con accordo sindacale costituiscono elemento decisivo di riferimento per operare l’inquadramento presso la nuova gestione solo ed in quanto l’equivalenza delle posizioni di lavoro – messe a confronto – sussista realmente. Dal che la conseguenza della non applicabilità di tali tabelle, ove non si riscontri corrispondenza in concreto tra mansioni svolte nella fase precedente (connesse all’inquadramento e al livello prima attributo) e le mansioni riferite a qualifica e livello ottenuti in sede di passaggio all’impiego privato.

Alla stregua dell’esposto orientamento e alla luce del quadro normativo di riferimento (L. n. 58 del 1992, accordo sindacale del 15 marzo 1993, declaratorie contrattuali del CCNL SIP) il giudice di appello ha analizzato l’inquadramento del lavoratore nel passaggio dall’ASST ad IRITEL, ritenendo che il nuovo inquadramento (5^ livello CCNL SIP) attribuito al D.C. non tutelasse in maniera pregnante la professionalità da lui acquisita nella precedente esperienza lavorativa ed in relazione al precedente inquadramento presso ASST. Su tali presupposti, ed in relazione alle declaratorie contrattuali e alle mansioni in fatto espletate (cfr. pag. 10 sentenza), il giudice di appello ha ritenuto pienamente calzante la declaratoria collettiva del 4^ livello contratto SIP. A tale valutazione, poggiante su accertamento in fatto e su adeguata e coerente motivazione, la parte ricorrente si è limitata a contrapporre diverso apprezzamento anche con riferimento all’interpretazione delle norme contrattuali, non ammissibile in sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 cod. civ., nonchè vizio di motivazione sulla domanda di risarcimento danni. Le doglianze sono articolate in tre doversi profili:

a) non ravvisabilità della violazione dell’art. 2103 cod. civ., atteso che la dequalificazione – ove esistente – non trae origine dallo “ius variando, ma dall’avere adibito il lavoratore a mansioni diverse da quelle per le quali avrebbe dovuto essere assunto;

b) erroneità circa la non contestazione da parte della società resistente e necessità di una verifica delle mansioni asseritamente dequalificate;

c) erronea valutazione della prova del danno da dequalificazione.

Con riguardo al primo profilo il giudice di appello ha chiarito come l’art. 2103 cod. civ. non sia direttamente applicabile alla fattispecie, essendo stato recepito il principio di equivalenza delle mansioni dalla L. n. 58 del 1992, art. 4 con salvezza della professionalità già acquisita. Su tale aspetto si rinvia alle considerazioni già svolte in sede di primo motivo. Con riguardo al secondo profilo lo stesso giudice di appello ha evidenziato la non necessità di indagini istruttorie sulle mansioni in concreto svolte dal lavoratore, e ciò anche in relazione alla posizione della società che aveva contestato in modo generico l’articolata ricostruzione dei fatti e i compiti espletati dal D.C., da questi analiticamente indicati in sede di ricorso introduttivo;

statuizione quella della genericità della contestazione non adeguatamente censurata dalla ricorrente.

Con riguardo al terzo profilo va osservato che la Corte territoriale ha individuato il danno da dequalificazione in via presuntiva ricostruendo i compiti svolti dal lavoratore .e desumendo il pregiudizio, subito per effetto dello svilimento della professionalità, dalla sua durata e gravità, nonchè dall’anzianità di servizio dello stesso lavoratore. In tal modo la decisione del giudice di appello non si è posta in contrasto con l’orientamento espresso da questa Corte (cfr Cass. Sez. Un. n. 6572 del 24 marzo 2006), che ai fini della prova del danno da dequalificazione del lavoratore dipendente ammette il ricorso alla prova per presunzioni, desumibile da precisi elementi dedotti (come le caratteristiche, la durata, la gravità, la frustrazione di precise e ragionevoli aspettative di progressione professionale).

Con riferimento al quantum va rilevato che la sua determinazione, pari al 50% dell’ammontare delle differenze retributive, risulta ampiamente motivata e non ha formato oggetto di specifica censura da parte della società ricorrente.

3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 21,00, oltre Euro 2000/00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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