Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4988 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 01/03/2011), n.4988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26509-2008 proposto da:

G.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dagli avvocati D’AMBROSIO GUGLIELMO, SALLUSTRI GIOVANNI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., quale incorporante del Sanpaolo IMI S.P.A.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 108, presso lo studio

dell’avvocato SCONOCCHIA BRUNO, rappresentata e difesa dall’avvocato

BARBAGALLO FILIPPO giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4882/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/04/2008 r.g.n. 2761/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2010 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

Udito l’Avvocato BARBAGALLO FILIPPO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7/6/2007 la Corte d’Appello di Napoli – sezione Lavoro respinse l’appello proposto il 18/3/06 da G. G. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Napoli del 2-11/22-12-2005, con la quale gli era stata rigettata la domanda avente ad oggetto le seguenti richieste: declaratoria della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato col Banco di Napoli a far tempo dal marzo del 1999; riconoscimento del diritto all’inquadramento nella 3^ area professionale (primo livello retribuivo) o, quanto meno, nella 2^ area professionale (terzo livello retribuivo) in base al c.c.n.l. di settore; condanna dell’istituto bancario al pagamento delle differenze retributive;

accertamento della nullità ed inefficacia del licenziamento orale intimatogli e condanna dell’istituto convenuto alla corresponsione della retribuzione dal licenziamento alla reintegra o, in subordine, al pagamento del TFR e dell’indennità sostituiva del preavviso.

La Corte partenopea addivenne a tale decisione dopo aver ritenuto che la Spa San Paolo Imi, che aveva incorporato il precedente istituto convenuto Spa Banco di Napoli, era da considerare costituita nel giudizio di prime cure e che l’esito delle prove raccolte nella precedente fase di giudizio si era rivelato sfavorevole alle tesi sostenute dal ricorrente a sostegno della domanda.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il G. affidando l’impugnazione a sette motivi di censura.

Resiste con controricorso l’Intesa San Paolo spa che ha nelle more incorporato il San Paolo Imi spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 36 c.p.c., (commi 4 e 5), artt. 73 e 74 disp. att. c.p.c., (commi 1, 2 e 4), nonchè artt. 83, 416 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ponendo il quesito diretto ad accertare se integri il vizio di violazione di legge la sentenza che, nella prosecuzione del giudizio interrotto per sopraggiunta fusione per incorporazione della società convenuta (Banco di Napoli spa), ritiene valida e rituale come costituzione in giudizio la mera comparsa del nuovo soggetto giuridico (San Paolo IMI spa) sorto dalla fusione, benchè quest’ultimo atto difensivo fosse privo, come nella fattispecie, del timbro dei suo avvenuto deposito in cancelleria e della sua annotazione nell’indice degli atti del fascicolo d’ufficio, deducendo la ritualità di una siffatta costituzione dalla sola circostanza che, comunque, era stata rinvenuta nel fascicolo dell’originaria resistente una memoria di costituzione della società subentrata.

Il motivo è infondato: invero, la corte d’appello valutò la bontà della costituzione alla luce di una serie di elementi logici, oltre che formali, assolutamente ineccepibili. Anzitutto, fu accertato che la memoria di costituzione del nuovo soggetto giuridico, subentrato all’originario istituto convenuto per effetto della fusione societaria per incorporazione, era in ogni caso di data successiva all’istanza di riassunzione del giudizio, posto che nel corpo della stessa memoria, recante la data del 24/9/03 successiva alla predetta istanza, era contenuto il riferimento all’udienza successiva dei 16/10/03; inoltre, si verificò che era stata autorizzata la presentazione di note che risultavano depositate dal subentrato San Paolo IMI spa, in data 8/11/05, nel fascicolo d’ufficio di primo grado; infine, si appurò che sulla copertina del fascicolo d’ufficio, nella parte indicante i soggetti della causa, era stata riportata l’iscrizione del San Paolo Imi spa esattamente sotto quella originaria del Banco di Napoli spa.

A quest’ultimo riguardo non può non osservarsi che l’indicazione delle parti sulla copertina del fascicolo d’ufficio è prevista come adempimento di cancelleria anche dall’art. 36 disp. att. c.p.c., comma 3.

Quindi, se da un lato vengono evidenziati gli elementi formali della mancanza del timbro dell’avvenuto deposito della memoria di costituzione e della mancata annotazione della stessa nell’indice degli atti del fascicolo d’ufficio, d’altro canto non risultano scalfite le argomentazioni logiche fatte dal giudice d’appello ai fini della ritenuta validità della costituzione che, di fatto, trovano riscontro nel dato, anch’esso formale, dell’annotazione dell’indicazione del nuovo soggetto processuale sulla copertina del fascicolo d’ufficio, dato, questo, indubbiamente rispettoso del summenzionato precetto normativo.

2. Col secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e/o della falsa applicazione dell’art. 36 disp. att. c.p.c., (commi 4 e 5), artt. 73 e 74 disp. att. c.p.c., (commi 1, 2 e 4), nonchè artt. 83, 416 e 250 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ponendo il quesito di diritto volto ad accertare se integri il vizio di nullità della sentenza o del procedimento l’aver acquisito e valutato una prova testimoniale resa da testi citati da una parte (San Paolo IMI spa) non ritualmente costituita e, perciò, non interessata ai sensi dell’art. 250 c.p.c..

Anche tale motivo è infondato: invero, non solo il contraddicono poteva ritenersi validamente ripreso per effetto della costituzione del nuovo soggetto incorporante il precedente Banco di Napoli, con conseguente interesse della parte resistente a citare i testi ammessi, ma la stessa prova orale era stata autorizzata ancor prima della interruzione del processo e di tutto ciò è data ampia contezza nella sentenza impugnata con argomentazioni logiche che si sottraggono, in quanto tali, a censure di legittimità.

3. Oggetto del terzo motivo è la violazione dell’art. 2697 c.c., 2094 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Attraverso tale motivo il ricorrente censura l’omessa disamina e l’omessa motivazione in ordine a quelle parti delle prove testimoniali rese dal R. e dal D., riportate testualmente come nell’originario terzo motivo dell’atto d’appello, dalle quali si evincerebbe, a suo giudizio, il dato decisivo della continuità del rapporto ai fini della configurabilità della invocata subordinazione. Il motivo è infondato.

Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav.

n. 2272 del 2/2/2007), “il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”. Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure di omessa disamina mosse col presente motivo di doglianza.

4. Per le stesse ragioni, finora esposte nel terzo motivo appena posto all’esame di questa Corte, vanno disattesi il quarto, il quinto ed il sesto motivo di censura. In particolare, col quarto motivo il G. censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo genericamente l’omessa motivazione sulla asserita inattendibilità dei testi F. e B., così come illustrata nel terzo motivo d’appello al capo 4.

Col quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per contraddittoria motivazione sulle mansioni espletate, come riferite dal teste R.; infine,col sesto motivo il G. si duole della violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione in ordine all’esistenza di una duplice imputazione di pagamento relativa a due distinte attività lavorative da egli svolte per il medesimo datore di lavoro, vale a dire l’una di archivista, esercitata di mattina, e l’altra di pulizia, eseguita il pomeriggio, il tutto con particolare riferimento al requisito della continuità della prestazione in ragione del numero delle ore giornaliere lavorate.

Orbene, non va dimenticato che “in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce a giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e a concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti)”. (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04).

Nella fattispecie, la Corte d’appello di Napoli ha attentamente valutato con argomentazioni logiche e ben motivate in ordine ai riscontri eseguiti, immuni da vizi giuridici, l’ampio materiale istruttorio raccolto, per cui le doglianze appena riferite non ne scalfiscono la relativa “ratio decidendi”.

7. Infine, il ricorrente denunzia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1 nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto costituire eccezione nuova la sua richiesta attraverso la quale egli aveva invocato l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato attraverso la diversa qualificazione della fattispecie dedotta in giudizio come ipotesi di interposizione fittizia di mano d’opera.

Anche quest’ultimo motivo è infondato: invero, è assolutamente corretta la decisione della Corte territoriale di ritenere nuova, come tale inammissibile, la questione della verifica della sussistenza degli estremi di una presunta violazione della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1 rispetto alla quale, secondo il ricorrente, il primo giudice avrebbe omesso di pronunziarsi. Infatti, giustamente la Corte d’appello di Napoli ha rilevato che era sufficiente constatare che nel ricorso di primo grado una tale violazione non era nemmeno adombrata, per cui non potevano sussistere dubbi sul fatto che in appello si fosse in presenza di un inammissibile mutamento di causa petendi.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Motivi di equità dovuti alla natura della controversia ed alle questioni trattate inducono la Corte a ritenere compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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