Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 498 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 11/01/2017, (ud. 08/06/2016, dep.11/01/2017),  n. 498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SAMBITO M. Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CIOTTI E DI BARTOLOMEO S.R.L. elettivamente domiciliata in Roma, via

G. Pisanelli, n. 40, nello studio dell’avv. Bruno Biscotto, che la

rappresenta e difende, unitamente all’avv. Piero Cantalamessa,

giusta procura speciale a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

ASUR – ZONA TERRITORIALE N. (OMISSIS) – GIA’ AUSL (OMISSIS) GESTIONE

LIQUIDATORIA EX (OMISSIS) elettivamente domiciliate in Roma, via

Panama, n. 12, nello studio dell’avv. Massimo Colarizi;

rappresentate e difese dagli avv.ti Patrizia Viozzi e Luca Forte,

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, n. 26,

depositata in data 14 gennaio 2011;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica dell’8 giugno 2016

dal consigliere Dott. Campanile Pietro;

sentito per la ricorrente l’avv. Cantalamessa;

sentito per le controricorrenti l’avv. Forte;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

Dott.ssa Zeno Immacolata, la quale ha concluso per l’accoglimento

del primo motivo, assorbito il secondo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con sentenza depositata il 4 ottobre 2004 il Tribunale di Ascoli Piceno, decidendo sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’Asl n. (OMISSIS) di San Benedetto del Tronto nei confronti della S.n.c. Ciotti e di Bartolomeo, che aveva agito in via monitoria per ottenere il pagamento della somma di Lire 295.941,00, quale corrispettivo dei lavori di straordinaria manutenzione eseguiti nell’interesse dell’opponente, dato atto che gli stessi erano stati affidati informalmente all’impresa, affermava che il difetto di forma scritta non poteva ricadere negativamente sulla ditta opposta, che, in sede di costituzione, aveva avanzato domanda di indebito arricchimento. Revocava quindi il decreto ingiuntivo, condannando l’Asl al pagamento della minor somma di Euro 52.475,32 e la gestione liquidatoria, per il periodo dall’ottobre 1994 al dicembre 1997, della somma di Euro 64.151,38.

1.1. La corte di appello di Ancona, pronunciando sui gravami proposti dalla Gestione liquidatoria e dall’Asur, ha rigettato ogni domanda, dichiarando inammissibile l’azione di indebito arricchimento. Rilevato che il rapporto non conseguiva a un contratto avente la richiesta forma scritta, e che non poteva allo stesso estendersi la validità di altro contratto, definito collaterale, avente ad oggetto l’esecuzione di altri lavori, la corte distrettuale ha richiamato l’orientamento secondo cui la domanda di indebito arricchimento non può essere validamente proposta dall’opposto in sede di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso sulla base del rapporto principale.

1.2. Per la cassazione di tale decisione la Srl Ciotti e Di Bartolomeo propone ricorso, affidato a due motivi, resistito da controricorsi, illustrati da memoria, delle intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 167, 183, 184 e 645 c.p.c. e art. 2041 c.c., la società ricorrente sostiene che in realtà in sede monitoria non era stata esercitata alcuna azione contrattuale, di tal che la richiesta delle somme a titolo di indebito arricchimento, in sede di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, andava intesa come mera precisazione della domanda. Viene in ogni caso richiamato l’orientamento secondo cui l’opposto può proporre le domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dalla controparte.

2.1. La seconda censura attiene al regolamento delle spese processuali.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. La questione posta in via preliminare, vale dire l’assenza del riferimento alla natura contrattuale della pretesa nell’originaria domanda della società esecutrice delle opere è contraddetta dall’interpretazione resane (con riferimento al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere: Cass., 7 gennaio 2016, n. 118) prima dal Tribunale e poi dalla Corte di appello: la controversa questione della mancata redazione di un contratto, sulla cui necessità o meno (che ineludibilmente rinvia alla problematica della validità del rapporto sotto il profilo della forma richiesta ad sub – stantiam) si era inizialmente incentrato il contraddittorio fra le parti, conferma la validità di tale soluzione.

D’altra parte, nessun elemento induce a ritenere – nè lo si afferma nel ricorso – che la domanda di indebito arricchimento sia stata avanzata – sia pure in nuce – all’atto del promovimento dell’azione monitoria, per altro fondata sulle fatture emesse dalla stessa impresa e, del resto, con la prima niente affatto compatibile: ove si considerino gli aspetti, anche di natura fattuale, posti alla base dell’azione di indebito arricchimento, e quindi la sostanziale peculiarità del “petitum” e della “causa petendi” di tale azione, deve ritenersi che correttamente la corte distrettuale ha ritenuto che tale domanda sia stata introdotta per la prima volta in sede di costituzione della ditta opposta nel giudizio di cognizione conseguente all’opposizione a decreto ingiuntivo.

4. L’inammissibilità della domanda fondata sull’art. 2041 c.c. è conforme ai principi affermati in proposito da questa Corte, la quale ha affermato che l’art. 183 c.p.c., comma 5 – inserito nell’ambito di un contesto normativo volto a circoscrivere, sin dal suo inizio, l’oggetto del processo attraverso un rigido sistema di preclusioni – nel consentire all’attore di formulare nella prima udienza di trattazione la nuova domanda o la nuova eccezione che siano conseguenza, oltre che della domanda riconvenzionale, dell’eccezione proposta dal convenuto con la comparsa di risposta, è rivolto unicamente a tutelare la parte attrice a fronte di iniziative difensive della parte convenuta che mutino, con la sua prima difesa, i termini oggettivi della controversia, o comunque introducano nel processo ulteriori questioni.

Pertanto la norma, ove contempla l’eccezione dell’avversario, deve intendersi riferita all’eccezione in senso stretto, non alla semplice controdeduzione del convenuto che sia rivolta a contestare le condizioni dell’azione. Rispetto a tale eccezione, inoltre, la nuova domanda o la nuova eccezione dell’attore devono presentarsi come consequenziali, e quindi configurarsi come una contro – iniziativa necessaria per replicare all’eccezione medesima (Cass. 11 marzo 2006, n. 5390; Cass., 8 luglio 2004, n. 12545).

Deve pertanto ritenersi che l’art. 183 c.p.c., comma 5, mentre consente all’attore nella prima udienza di trattazione di proporre le domande e le eccezioni, anche nuove, che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni in senso stretto del convenuto, non attribuisce alle parti la facoltà di proporre domande nuove che potessero essere proposte con la citazione o la comparsa di risposta (Cass. 2 settembre 2005, n. 17699).

Questa Corte, in conseguenza di tali principi, ha parallelamente statuito che nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, solo l’opponente, nella sua sostanziale posizione di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, mentre l’opposto, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quelle proposte con il ricorso per l’ingiunzione, essendogli consentito solamente di modificarle nei ristretti limiti del disposto dagli artt. 183 e 184 c.p.c. (Cass. 29 marzo 2004, n. 6202). Egli, pertanto, – non può proporre ulteriori domande, salvo il caso in cui siano conseguenti alle domande ed eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, il quale con l’atto di opposizione abbia ampliato il thema decidendum rispetto alla domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo (cfr. la recente Cass., 7 gennaio 2016, n. 118; Cass. 20 novembre 2002, n. 16331).

Ne consegue che, nel sistema processuale vigente, essendo la domanda di arricchimento senza causa domanda nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale, la stessa deve ritenersi, per regola generale, inammissibile ove proposta dall’opposto nel giudizio di cognizione che consegue alla proposizione di una opposizione a decreto ingiuntivo da lui richiesto per il pagamento di prestazioni professionali (Cass. 18 novembre 2003, n. 17440).

Nel caso in esame, in applicazione di tali principi di diritto, il ricorrente non poteva proporre l’azione di arricchimento nel giudizio scaturito dall’opposizione a decreto ingiuntivo, ma essendo a conoscenza dell’insussistenza della forma scritta del contratto, era ben in grado, indipendentemente dalle eccezioni in senso lato sollevate dalle parti opponenti, e, comunque, rilevabili d’ufficio, di proporla autonomamente.

5. Le superiori considerazioni non sono in contrasto con la decisione delle Sezioni unite di questa Corte n. 26128 del 27 dicembre 2010, nella quale, ribadita la sostanziale diversità del petitum e della causa petendi della domanda di indebito arricchimento rispetto all’azione contrattuale, si è affermata la possibilità, per l’opposto, di avanzarla nel giudizio scaturito dall’opposizione limitatamente alle ipotesi di reconventio reconventionis, ovvero quando “una tale esigenza nasca dall’attività processuale della parte opponente che abbia prospettato nel primo atto introduttivo del relativo giudizio (vale a dire l’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo) difese sia in fatto, sia in diritto finalizzate al rigetto della domanda, ma integranti un tema di indagine tale da giustificare, da parte dell’opposto, una domanda di ingiustificato arricchimento”.

Nella decisione richiamata, per quanto maggiormente rileva in questa sede, è stato poi opportunamente precisato: “Non sarà, viceversa, consentito alla parte opposta di proporre, nei suo primo atto difensivo (cioè la comparsa di risposta) – e ancor di più, evidentemente, nel corso del giudizio un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, neppure dato il carattere sussidiario dell’azione – cautelativamente, in via subordinata, per l’ipotesi che sia negata l’esistenza o la validità del titolo specifico, in base al quale è stata proposta la domanda principale d’ingiunzione. E ciò, per la sua veste di attore sostanziale nel giudizio fondato sull’ingiunzione proposta a tutela di una situazione soggettiva nascente da titolo contrattuale”.

Appare del tutto evidente, in altri termini, che la doverosa verifica della fondatezza della domanda azionata in via monitoria, anche sulla base delle eccezioni in senso lato dell’opponente, non comporti un ampliamento del tema d’indagine (nel senso indicato nella citata decisione n. 26128 del 2010), nè dal punto di vista giuridico, nè, tanto meno, sotto il profilo fattuale.

6. Quanto al regolamento delle spese processuali, in disparte il rilievo che il motivo sembra formulato in riferimento all’ipotesi dell’accoglimento della prima censura, non può che constatarsi la puntuale applicazione del principio fondato sulla soccombenza.

7 – Anche le spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono il criterio teste richiamato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 8 giugni 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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