Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4977 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. II, 25/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 25/02/2020), n.4977

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorsi riuniti (iscritti al N. R.G. 386/’17 al N. R.G.

10927/2017) sotto il n. R.G. 386/2017 proposti da:

M.F., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in forza

di procura speciale in calce ad entrambi i ricorsi, dagli Avv.ti

Mario Perantoni e Andrea Panzarola ed elettivamente domiciliata

presso lo studio del secondo, in Roma, v. San’Angela Merici, 96;

– ricorrente –

contro

ARST S.P.A., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a

margine di ambedue i controricorsi, dall’Avv. Giuseppe Macciotta ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Paola Fiecchi,

in Roma, v. P. Falconieri, 100;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Sassari n. 6/2015,

depositata il 9 gennaio 2015 (per il ricorso di cui n. R.G.

386/2017) e avverso la sentenza della Corte di appello di Sassari n.

539/2016 (per il ricorso iscritto al n. R.G.10927/2017);

udita la relazione delle cause svolta nell’udienza pubblica del 13

novembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per

l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

uditi gli Avv.ti Andrea Panzarola, per la ricorrente, e Fiecchi Paola

(per delega), nell’interesse della controricorrente.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 1176/2013 il Tribunale di Sassari dichiarava che la sig.ra M.F. era divenuta proprietaria per intervenuta usucapione del tratto di terreno ubicato in (OMISSIS), in catasto al foglio (OMISSIS), di ha 0.15.42, ordinando al competente Conservatore dei RR.II di provvedere alla conseguente trascrizione della sentenza stessa, oltre a condannare la convenuta ARST s.p.a. al pagamento delle spese giudiziali.

2. Avverso detta sentenza proponeva appello e, nella costituzione dell’appellata, la Corte di appello di Sassari, con sentenza n. 6/2015 (adottata ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.), accoglieva, per quanto di ragione, il gravame e, per l’effetto, rigettava la domanda di usucapione formulata dalla M. con riferimento alla sopra richiamata porzione di terreno.

A fondamento dell’adottata decisione, la Corte sassarese, premessa la configurabilità dell’istituto della sdemanializzazione tacita, riteneva, tuttavia, che non potevano considerarsi – diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure – sussistenti le condizioni per far luogo all’accoglimento della formulata domanda di usucapione, non essendo stata raggiunta la prova univoca sul possesso utile “ad usucapionem”, sia con riferimento alle modalità dell’addotto esercizio di esso che alla sua necessaria durata ultraventennale.

3. Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la M.F., resistito con controricorso dall’intimata ARST s.p.a. (già Arst Gestione FDS s.r.l.).

4. La stessa Corte di appello di Sassari, con sentenza n. 539/2016 respingeva l’impugnazione per revocazione proposta dalla M.F. – ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, – avverso la citata sentenza di secondo grado n. 6/2015.

La medesima M. ha formulato un autonomo e successivo ricorso per cassazione anche contro la menzionata sentenza della Corte sassarese, riferito a due motivi. L’intimata ARST s.p.a. si è costituita con controricorso anche in questo secondo giudizio di cassazione, instando per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza del ricorso.

Con ordinanza interlocutoria n. 9118/2018 la Sesta Sezione civile di questa Corte – stante la pendenza del richiamato ricorso avverso la sentenza della Corte territoriale oggetto dell’impugnazione per revocazione – ha disposto la trasmissione del ricorso contro la sentenza che aveva pronunciato sulla revocazione alla Sezione ordinaria per l’adozione del conseguenti provvedimenti in ordine alla riunione tra i due suddetti ricorsi.

I difensori di entrambe le parti hanno anche, rispettivamente, depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. con riferimento ad entrambi i ricorsi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

In via pregiudiziale il collegio dispone – stante l’evidente connessione ed interdipendenza tra gli stessi – la riunione tra i due procedimenti sotto il n. R.G. 386/2017 (meno recente come iscrizione a ruolo).

Ciò premesso, si passa all’esame, in modo distinto, dei due ricorsi.

A) RICORSO PRINCIPALE AVVERSO LA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI SASSARI N. 6/2015.

1. Con il primo motivo di detto ricorso la ricorrente ha denunciato – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità dell’impugnata sentenza n. 6/2015 per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e dei principi generali in tema di specificità dei motivi di appello avanzati dall’ARST s.p.a.

1.2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 329 c.p.c., comma 2, artt. 324,342 c.p.c. e art. 115 c.p.c., comma 1, e dei principi generali in tema di acquiescenza, giudicato interno, effetto devolutivo e non contestazione.

1.3. Con la terza doglianza la ricorrente ha prospettato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti, nonchè – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

B) RICORSO AVVERSO LA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI SASSARI N. 539/2016.

1. Con il primo motivo di questo secondo ricorso la difesa della M. ha denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, e dei principi generali in tema di errore di fatto revocatorio, per aver la Corte di appello di Sassari escluso che il vizio dedotto da essa ricorrente con l’impugnazione per revocazione integrasse un errore di fatto revocatorio.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, – la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., nonchè il mancato esame di un fatto decisivo per il giudizio per aver la Corte di appello omesso di motivare sul perchè il vizio prospettato non integrasse un errore di fatto revocatorio.

C) Osserva il collegio che – sul piano della priorità logico -giuridica – deve essere esaminato per primo il ricorso formulato avverso la sentenza che si è pronunciata sull’impugnazione per revocazione.

Infatti, secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 14442/2008 e Cass. n. 7568/2014), i ricorsi per cassazione separatamente proposti contro la sentenza di merito resa in grado di appello e contro quella pronunciata dallo stesso giudice d’appello nel successivo giudizio di revocazione possono essere riuniti, in quanto le due sentenze, integrandosi reciprocamente, definiscono inscindibilmente un unico giudizio e, pertanto, in sede di legittimità, possono essere oggetto di esame contestuale e di un’unica decisione; in tale evenienza, occorre, però, esaminare prioritariamente il ricorso avverso la sentenza del giudizio di revocazione, assumendo le relative questioni carattere pregiudiziale.

D) I due motivi relativi al ricorso avverso la sentenza di revocazione – che possono essere affrontati congiuntamente siccome all’evidenza connessi – sono destituiti di fondamento e vanno respinti.

In particolare, la prima censura è manifestamente infondata perchè la Corte di appello ha compiutamente motivato sull’insussistenza, nella specifica fattispecie, di una ipotesi di errore propriamente revocatorio, spiegando puntualmente le ragioni del suo convincimento in risposta ai formulati motivi. In special modo, la Corte sassarese ha dato conto – riportando anche (per quanto rilevante) i passaggi delle deposizioni testimoniali oggetto di critica – di come il giudice di appello avesse esaminato tutte le dichiarazioni dei testimoni (indicati da entrambe le parti), ravvisando, da un lato, il difetto di specificità in ordine ad alcuni fatti controversi (con riguardo, soprattutto, alla prova delle attività di esercizio del vantato possesso da parte della M.) e, dall’altro lato, anche l’emergenza di un contrasto di versioni conseguente all’assunzione delle prove orali.

Sulla scorta delle rappresentate doglianze, la Corte sassarese ha legittimamente – conformandosi alla pacifica giurisprudenza di questa Corte escluso motivatamente (senza, quindi, che si sia configurato alcun vizio implicante la supposta inesistenza della motivazione della sentenza o l’apparenza di essa) che, nel caso di specie, ricorresse il denunciato errore revocatorio, dovendo ritenersi, invece, che la dedotta critica era stata, piuttosto, rivolta a contestare un preteso errore di giudizio, ovvero una incongrua valutazione delle risultanze probatorie.

Al riguardo, infatti, deve sottolinearsi come sia pacifico l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 17443/2008, Cass. n. 22080/2013 e Cass. n. 8828/2017) secondo cui l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi un una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione delle risultanze processuali, con la conseguenza che il vizio con il quale si imputa alla sentenza un erroneo apprezzamento delle prove raccolte è, di per sè, incompatibile con l’errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di giudizio.

E) Anche il ricorso proposto avverso la sentenza n. 6/2015 oggetto dell’impugnazione per revocazione è integralmente infondato.

E.1). In ordine alla prima doglianza deve, innanzitutto, osservarsi come, nella fattispecie, trova applicazione, “ratione temporis”, il testo novellato nel 2012 dell’art. 342 c.p.c., poichè l’appello risulta proposto dopo l’11 settembre 2012. Con riguardo alla portata di tale norma le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 27119/2017, hanno chiarito che il citato art. 342 (come l’art. 434) c.p.c., nel testo innovato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012 (con specifico riferimento al testo di cui al comma 1), n. 2 va interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (in senso conforme v., successivamente, Cass. n. 13535/2018).

Orbene, dal contenuto dei motivi riportato in controricorso si evince chiaramente che l’ARST s.p.a., quale appellante, aveva contestato l’incompleta e lacunosa ricostruzione delle circostanze fattuali come apprezzate dal primo giudice, ponendo in evidenza come quest’ultimo avesse proceduto ad un’apparente e, comunque, inidonea valutazione delle risultanze istruttorie, oltre a non tenere debitamente conto della documentazione offerta in produzione, procedendo ad individuare i passaggi delle deposizioni testimoniali dai quali non poteva evincersi l’emergenza della prova del possesso ultraventennale così come vantato dalla M..

Allo stesso modo, l’attuale controricorrente, quale appellante, aveva preso posizione sulla sdemanializzazione tacita del bene oggetto di controversia, sia avuto riguardo all’asserita violazione degli artt. 822,823,829 c.c., deducendo anche l’ulteriore violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione della pronuncia di prime cure, giustificando argomentatamente le inerenti doglianze.

Del resto, dagli stessi stralci dell’atto di appello come riprodotti nel controricorso si desume che, in modo univoco, l’ARST s.p.a., nella qualità di appellante, aveva inteso impugnare la sentenza del Tribunale anche con riferimento al difetto di prova sulla durata ultraventennale assunto come esercitato dalla M. e, oltretutto, la medesima sentenza di secondo grado (v., in particolare, pag. 1) lo attesta nei richiamati termini sul presupposto dedotto appropriatamente dalla stessa appellante – che dalla prova testimoniale non fosse emerso un riscontro probatorio univoco sull’anzidetta circostanza necessaria ai fini della dichiarazione dell’acquisto per usucapione del fondo controverso da parte della stessa M..

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. n. 3115/2018) ha anche affermato che l’appellante, il quale intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado, può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare “ex novo” le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sè l’inammissibilità dell’appello.

E.2). Dalla reiezione del primo motivo sull’insussistenza dell’addotto difetto di specificità dei motivi di appello deriva, per consequenzialità logico-giuridica, l’infondatezza del secondo motivo, non essendosi formata alcuna acquiescenza alle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado sull’usucapione (la cui contestazione – come posto in risalto – era stata ritualmente devoluta al giudice di appello) e, quindi, senza che possa ravvisarsi la configurazione di alcun giudicato al riguardo.

E.3). Anche il terzo ed ultimo motivo si palesa del tutto infondato non sussistendo affatto la prospettata apparenza della motivazione della sentenza impugnata (tale da comportarne l’asserita nullità) sul fatto (effettivamente decisivo) relativo alla data di inizio del possesso vantato dalla M. come esclusivo. Nel percorso logico-giuridico dell’impugnata sentenza (v., soprattutto, pag. 2) il menzionato fatto risulta, invero, esaminato in modo diretto ed adeguato, ponendosi specifico riferimento anche ai riscontri probatori a tal proposito.

Pertanto non può discorrersi certamente di “omesso esame” del suddetto fatto decisivo ma, a tutto concedere, della prospettazione di una insufficiente motivazione (che, in effetti, si risolve in una “mancata condivisione” della stessa), come tale non più ammissibile a seguito della nuova versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 “ratione temporis” applicabile nel caso di specie (cfr., per tutte, Cass. S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014).

Del resto è pacifico che il ricorso per cassazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento.

Ovviamente – per quanto reiteratamente già rimarcato – è fuori discussione che la sentenza di appello risponde ai requisiti prescritti dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).

F) In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, entrambi i ricorsi devono essere respinti, con la conseguente condanna della ricorrente – per ognuno dei giudizi incardinati – al pagamento delle spese processuali, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ciascun ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di ambedue i giudizi di cassazione, che si liquidano, unitariamente, in complessivi Euro 3.400,00, di cui Euro 400,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ciascun ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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