Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4975 del 02/03/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 4975 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 17392-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso

lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
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ROMANO VALENTINA,

elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GIOVANNI BETTOLO N.36, presso lo

studio

dell’avvocato LUIGI GIULIANO, che la rappresenta e
difende unitamente

all’avvocato DOMENICO AFFENITA,

giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 02/03/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 2341/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/04/2012 r.g.n.

8266/2009.

ad.za 27-09-17 l r.g. n. 17392-12

ORDINANZA
La CORTE
RILEVATO che con sentenza n. 2341/2012, pubblicata il 4 aprile 2012 e notificata il 10 maggio
2012, la Corte di Appello di Roma accoglieva per quanto di ragione il gravame interposto da
POSTE ITALIANE S.p.A. avverso la pronuncia resa il 15-10-2008 dal locale giudice del lavoro,
che aveva accolto la domanda proposta da ROMANO Valentina – assunta alle dipendenze di essa
appellante per il tramite di quattro contratti di somministrazione, il primo dei quali stipulato per

l’arco temporale 22-11-2004 / 14-01-2005, riformando quindi in parte la gravata sentenza,
dichiarando l’illegittimità del secondo contratto di somministrazione e quindi costituito tra
l’attrice e la convenuta POSTE ITALIANE un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far tempo
dal secondo contratto, ossia dal 17 gennaio 2005, confermando nel resto, cioè la condanna della
resistente – appellante al risarcimento del danno a favore della ROMANO in misura pari alle
retribuzioni contrattualmente dovute dalla costituzione in mora, oltre al pagamento delle spese,
liquidate per il secondo grado del giudizio;
che secondo la Corte territoriale non risultavano adeguatamente dimostrate le ragioni addotte
da Poste Italiane S.p.A. per ricorrere alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo

(“ragioni

di carattere organizzativo derivante dall’implementazione … del sistema gestione code”), attesa
la genericità e la non pertinenza della prova per testi in proposito articolata, senza riferimento a
dati numerici, donde l’impossibilità di verificare l’insufficienza o meno del personale in pianta
stabile a coprire le esigenze del nuovo sistema e la conseguente asserita necessità di utilizzare
personale somministrato, laddove poi nessuno specifico motivo di gravame risultava formulato
in ordine alla condanna risarcitoria;
che contro la sentenza d’appello Poste italiane S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione come
da atto in data 9 luglio 2012, affidato a quattro motivi, cui la ROMANO ha resistito mediante
controricorso dell’otto agosto 2012;
che le parti in seguito hanno depositato memorie illustrative;

CONSIDERATO
che con il primo motivo di ricorso la società denuncia la violazione e la falsa applicazione
degli artt. 20, comma 4, e 21 del DI.vo n. 276/2003, oltre che dell’art. 25 c.c.n.l. 11 luglio
2003 (circa le ulteriori causali per cui è consentito il ricorso alle prestazioni di lavoro
temporaneo, tra cui la sostituzione del personale assente, il maggiore fabbisogno di
personale connesso a situazioni di mercato congiunturali e non consolidabili, le punte di più
intensa attività cui non sia possibile far fronte con le risorse normalmente impiegate), sicché
era evidente che la impugnata decisione di merito si poneva in contrasto con la corretta
interpretazione dell’art. 20, comma 4, laddove l’allegato contratto di somministrazione ,

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ad.za 27-09-17 / r.g. n. 17392-12

stipulato con la INWORK Italia S.p.a. – agenzia per il lavoro, autorizzata all’esercizio delle
attività di cui all’art. 4, cc. 1, del dl. vo n. 276/03, stipulato in forma scritta, conteneva
chiaramente il numero dei lavoratori da somministrare, le ragioni delle assunzioni
temporanee e la data di inizio nonché la durata dello stesso contratto;
che con il secondo motivo, formulato ex art. 360 comma I n. 5 c.p.c., è stata denunciata la

avendo la Corte distrettuale erroneamente ritenuto non assolto l’onere della prova in ordine
alla ragione addotta a giustificazione del suddetto contratto di somministrazione,
segnatamente laddove era stato esaminato il solo capo 21 della memoria difensiva dì parte
convenuta inerenze alle punte di più intensa attività, sicché l’assegnazione della Romano al
servizio di sportelleria dell’ufficio postale di Fiumicino era stata giustificata proprio dalla
necessità di predisporre le condizioni, all’interno dell’ufficio di assegnazione, per
l’implementazione del sistema gestione code così come descritto, tanto più poi che con
l’appello era stata reiterata la richiesta ammissione della prova testimoniale, di cui era stato
pure lamentato l’ingiusto rigetto mediante carente motivazione in ordine alle invocate
istanze istruttorie. Dunque, il fatto controverso era rappresentato dalla mancata /erronea
valutazione di tutte le istanze istruttorie avanzate dalla convenuta – appellante, tenuto
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altresì conto dei poteri consenti Ya norma degli artt. 253, 420 e 421 c.p.c.;
che il terzo motivo è invece articolato sotto il profilo della violazione e falsa applicazione
dell’art. 27 del d.lgs. n. 276/2003, lamentandosi in proposito la costituzione di un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze di essa società utilizzatrice;
che con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 L. 183/2010,
la cui operatività era stata invece erroneamente esclusa nella specie con la sentenza

de

qua;
che, pertanto, nella specie la Corte territoriale ha fondato la sua decisione unicamente sulla
mancanza di prova della effettiva sussistenza delle ragioni addotte da Poste Italiane per far
ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro, sicché in sostanza, ciò che difettava era la

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omessa e insufficiente motivazione su di un un fatto controverso e decisivo per il giudizio,

ad.za 27-09-17 / r.g. n. 17392-12

dimostrazione del nesso causale tra l’assunzione del lavoratore e le esigenze temporanee
indicate nel contratto;
che in tema di somministrazione di manodopera, la mera astratta legittimità della causale
indicata nel contratto di somministrazione non basta, comunque, a rendere legittima
l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una
rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni

ad essa confacenti (Cass. 9/9/13 n. 20598, 1/8/2014 n. 17540, n. 27/10/2015, n. 21916,
pronunce che si pongono sulla stessa scia del precedente di Cass. n. 15610/2011, che
decidendo su di un caso di somministrazione di manodopera pone espressamente in capo
all’utilizzatore l’onere di “dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione
del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto un rapporto a tempo
indeterminato con l’utilizzatore della prestazione”);
che non appaiono conferenti, né fondate le plurime censure di cui al primo e al secondo
motivo, tra loro chiaramente connesse e perciò congiuntamente esaminabili, laddove da un
canto appare irrilevante il richiamo alle previsioni di cui agli artt. 20 e 21 del dl.vo n. 276,
nonché 25 c.c.n.l. 2003 (poiché la ratio decidendi dell’impugnata decisione non attiene a
irregolarità formali nei sensi di cui alla richiamata normativa), ma alla sola ritenuta carenza

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probatoria sostanziale, tale da poter in concreto giustificare il ricorsoavoro temporaneo
somministrato in parola, e d’altro canto, ancorché sotto il profilo dell’asserito difetto di
motivazione, si intende in effetti ottenere una rivisitazione dell’intero materiale probatorio,
però inammissibile in questa sede di legittimità, pure alla luce della precedente formulazione
dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie ratione temporis applicabile con riferimento
alla pronuncia de qua, pubblicata il 4 aprile 2012, visto poi che la scelta dei mezzi istruttori
utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa
all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, il quale, come sopra già rilevato, alla
stregua della documentazione prodotta da parte convenuta ha escluso, sotto il profilo
probatorio, con adeguata motivazione, idonea corrispondenza tra l’anzidetta causale e le

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ad.za 27-09-17 / r.g. n. 17392-12

risultanze della stessa documentazione (per le ragioni espresse specificamente a pagina tre
della sentenza);
che, come è noto, infatti, in sede di legittimità è consentito soltanto il controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni
svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le
fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne

l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando,
così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (cfr., tra le altre,
Cass. s. u. n. 5802/1998, Cass. nn. 15693/2004 e 11936/2003);
che nella specie, dunque, la Corte di merito ha espressamente e coerentemente motivato
le ragioni del suo convincimento alla luce soprattutto dei documenti depositati dalla stessa
convenuta e segnatamente con riferimento al secondo contratto di somministrazione, la cui
accertata illegittimità, travolge quindi anche i due successivi, almeno per quanto concerne
il rapporto tra l’impresa utilizzatrice e la lavoratrice somministrata, donde il rapporto di
lavoro subordinato tra queste parti fin dal 17 gennaio 2005, di modo che sussiste
indubbiamente una congrua e ragionevole nonché corretta motivazione e priva di intrinseche
illogicità, e che solo attraverso un riesame fattuale, ma inammissibile in questa sede,
potrebbe essere rimessa in discussione (peraltro, stando alla lettera delle espressioni usate
da parte della società a pag. 21 del ricorso il “fatto” di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. -secondo il
testo in vigore dal 2-3-2006, nella specie ratione temporis applicabile- non corrisponde di
certo alla “mancata/erronea valutazione di tutte le istanze istruttorie formulate …”, con ogni
conseguente inammissibilità sul punto);
che il terzo motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il
D.Igs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, stabilisce espressamente che in ipotesi di
somministrazione avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21,
comma 1, lett. a), b), c), d) ed e) il lavoratore può chiedere, mediante ricorso, notificato
anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto

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adsza 27-09-17 / r.g, n

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di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione. La
stessa efficacia “ex tune, che la norma in esame ricollega alla sentenza costitutiva
provocata da un tale tipo di ricorso rappresenta un valido elemento letterale e logico che
autorizza a ritenere che, se il legislatore avesse voluto riferirsi alla costituzione di un
rapporto diverso da quello a tempo indeterminato, non avrebbe certamente avuto ragione

somministrazione stessa. Un ulteriore ed insuperabile argomento sistematico è quello per il
quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina
limitativa del contratto a termine (Cass. n. 15610/2011, cit.; v. pure, Cass. 10/10/2014, n.
21520, e 15/12/2016, n. 25932);
che è, invece, fondato il quarto motivo di ricorso, dovendosi richiamare quanto già
condivisibilmente affermato da questa Corte con la sentenza n. 17540 del 1°/08/2014,
secondo cui in tema di somministrazione di lavoro, l’indennità prevista dall’art. 32, comma
5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (come autenticamente interpretato dall’art. 1,
comma 13, della legge 28 giugno 2012, n. 92) è applicabile a qualsiasi ipotesi di conversione
del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e, dunque, anche nel
caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che
abbia chiesto ed ottenuto l’accertamento della nullità di un contratto di somministrazione di
lavoro, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della
prestazione (cfr. altresì sul punto Cass. lav. ordinanza n. 20246 del 28/04 – 22/08/2017,
nonché Cass. sez. un. civ. 27/10/2016, n. 21691, secondo cui la censura ex art. 360, comma
1, n. 3, cod. proc. civ. può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la
pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattivamente applicabili anche ai giudizi in
corso nel caso dell’art. 32 qui in discussione, con il solo limite preclusivo derivante
dall’eventuale giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene
limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al
contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze

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di dover far riferimento ad una costituzione del rapporto con effetto dall’inizio della

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risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile in base al combinato
disposto degli artt. 329, comma 2, e 336, comma 1, c.p.c.);
che, pertanto, va accolto unicamente il quarto motivo di ricorso, con il rigetto delle altre
censure, siccome inammissibili ed infondate nei sensi anzidetti, di guisa che la sentenza de
qua deve essere in parte cassata e rinviata al giudice d’appello, che dovrà quindi limitarsi a

siccome precedentemente riconosciuto, provvedendo, quindi, all’esito anche a regolare le
spese di questo giudizio di legittimità;

P.Q. M.
La Corte accoglie il solo quarto e ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello
di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. —-

liquidare l’indennità dovuta ex art. 32 L. n. 183/2010, in luogo del risarcimento del danno

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