Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4974 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 24/02/2021), n.4974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO A. Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2370/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12

– ricorrente –

contro

Doma s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Mancini, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Vincenzo Ioffredi, sito in Roma,

via Gramsci, 34;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Molise, n. 62/2/12, depositata il 5 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata il 5 dicembre 2012, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Doma s.r.l. per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione presentata per l’anno 2003 e recuperata la maggiore i.v.a. detratta;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo muoveva dalla contestazione della contabilizzazione di fatture per operazioni passive ritenute, alcune, soggettivamente inesistenti, altre oggettivamente e soggettivamente inesistenti;

– il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha respinto l’appello erariale evidenziando che le prestazioni di servizi oggetto delle fatture (esecuzione di lavori in appalto) erano state eseguite, i relativi pagamenti erano stati regolarmente effettuati, la contabilità della contribuente non presentava alcuna irregolarità e, inoltre, che l’atto impositivo era motivato con riferimento a verbali ispettivi redatti nei confronti di altri soggetti (le imprese emittenti le fatture) senza che tali atti fossero stati messi a conoscenza della contribuente;

– il ricorso è affidato a otto motivi;

– resiste con controricorso la Doma s.r.l..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 17, 19, 54 e 56, L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e delle norme in materia di onere della prova, per aver la sentenza impugnata ritenuto illegittimo l’atto impositivo in quanto motivato, per relationem, con riferimento ad accertamento eseguiti nei confronti di altri operatori, senza che i relativi processi verbali di constatazione fossero stati messi a conoscenza della contribuente;

– il motivo è inammissibile per difetto di specificità;

– parte ricorrente invoca il principio, consolidato presso la giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’avviso di accertamento può essere motivato per relationem, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, purchè, laddove tali atti o documenti non vengano allegati ovvero non siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione, nell’atto impositivo ne venga riprodotto il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (cfr. Cass., ord., 23 febbraio 2018, n. 4396; Cass. 25 luglio 2012, n. 13110; Cass. 25 marzo 2011, n. 6914);

– omette, tuttavia, di riprodurre i passi dell’avviso di accertamento necessari al fine di poter effettuare il richiesto sindacato sul giudizio espresso dalla Commissione regionale sulla (in)sussistenza di un’adeguata motivazione dell’atto impositivo e, dunque, di verificare la fondatezza del motivo, non essendo possibile procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte;.

– la resistenza della ratio decidendi rappresentata dalla carenza di motivazione dell’atto impositivo rende del tutto irrilevante l’esame dei motivi residui con cui si aggredisce l’altra ratio costituita dall’esistenza delle operazioni, sotto i contestati profili oggettivi e soggettivi, in quanto in nessun caso la fondatezza di tali motivi potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (cfr., sul punto, Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7931; vedi anche, Cass., ord., 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3633);

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 12.000,00, oltre rimborso spese forfettario nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

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