Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4966 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 24/02/2021), n.4966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21532 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui

uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimato –

e nei confronti di:

Equitalia Sud s.p.a.,

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, n. 399/27/2014,

depositata in data 18 febbraio 2014;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 13 novembre

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: Equitalia Sud s.p.a. aveva notificato a M.G., titolare della ditta esercente l’attività di bar e simili, una cartella di pagamento relativa all’atto di definizione con adesione per l’anno di imposta 2009, conseguente alla comunicazione, da parte dello stesso contribuente, della volontà di aderire, ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5-bis, ma limitatamente alle annualità 2009 e 2010, al processo verbale di constatazione redatto dai funzioni dell’Agenzia delle entrate per i periodi di imposta 2009, 2010, 2011 e 2012; la cartella era stata emessa in quanto all’atto di definizione notificato dall’Agenzia delle entrate non aveva fatto seguito il pagamento da parte del contribuente di quanto richiesto; il contribuente aveva quindi proposto ricorso avverso la cartella di pagamento che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Foggia; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate e Equitalia Sud s.p.a.;

la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, ha accolto l’appello del contribuente, in particolare, per quanto di interesse, ha ritenuto che: era fondato il motivo di appello con il quale il contribuente si doleva della violazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5-bis, in quanto la previsione in esame richiede che l’adesione del contribuente debba avere ad oggetto esclusivamente il contenuto integrale del verbale di constatazione e, nella fattispecie, mentre il processo verbale di constatazione riguardava una verifica fiscale a carattere generale per i periodi di imposta 2009, 2010, 2011 e 2012, il contribuente aveva comunicato l’atto di adesione unicamente per i periodi di imposta 2009 e 2010, sicchè l’atto di definizione era da considerarsi nullo e la conseguente cartella di pagamento doveva essere annullata per carenza del presupposto; era fondato, inoltre, l’ulteriore motivo di appello con il quale il contribuente lamentava il mancato riconoscimento dei costi a fronte dei maggiori ricavi accertati;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura;

M.G. e Equitalia Sud s.p.a, sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 57, del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5-bis, e dell’art. 109, TUIR, per avere deciso su questioni nuove, relative, in particolare, alla illegittimità dell’atto di adesione in quanto la volontà del contribuente non era estesa al contenuto integrale del processo verbale di constatazione, nonchè alla deducibilità dei costi, non prospettate dal contribuente con il ricorso introduttivo del giudizio;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, difetta di autosufficienza, non avendo parte ricorrente riprodotto o allegato il ricorso introduttivo del giudizio nonchè l’atto di appello del contribuente al fine di consentire a questa Corte di potere apprezzare la rilevanza della questione, in particolare di potere verificare che, rispetto al thema decidendum, come delimitato dal contenuto del ricorso di primo grado, il contribuente avesse, successivamente, esteso la materia del contendere ad ulteriori ragioni non riconducibili all’oggetto della controversia, nei limiti imposti dallo stesso contenuto del ricorso introduttivo;

in realtà, parte ricorrente si limita a descrivere solo genericamente il contenuto dell’originaria ragione di contestazione prospettata dal contribuente e dei successivi atti con i quali si sarebbe ampliato l’oggetto della controversia, ma in tal modo non più dirsi assolto l’onere di specificità del motivo di ricorso, come invece richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6);

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5-bis, per avere ritenuto che l’atto di definizione per adesione al processo verbale di constatazione fosse illegittimo in quanto il contribuente non aveva manifestato la volontà di aderire integralmente al contenuto del verbale di constatazione, ma solo relativamente ai periodi di imposta 2009 e 2010, mentre il processo verbale di constatazione era riferito anche alle ulteriori annualità 2011 e 2012;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che l’art. 5-bis, cit., quando prevede che l’adesione può avere ad oggetto esclusivamente il contenuto integrale del verbale di constatazione, non va inteso con riferimento a tutte le annualità oggetto di rilievo, ma ai rilievi afferenti alle specifiche violazioni sostanziali e formali contestate, tenuto conto della autonomia che ogni annualità di imposta assume rispetto ad altra ai fini accertativi;

il motivo è fondato, per quanto di ragione;

in generale, va precisato che l’istituto dell’adesione al processo verbale di constatazione, di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5-bis, attribuisce al contribuente, in caso di notifica nei suoi confronti di processi verbali di constatazione relativi a violazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto che consentano l’emissione di accertamenti parziali, la facoltà di definire celermente il rapporto tributario conseguente alla constatazione delle dette violazioni sicchè, qualora il contribuente si avvalga di tale facoltà, il procedimento accertativo, di tipo “parziale”, resta ancorato ai contenuti del processo verbale di constatazione e si traduce nella integrale trasfusione dei contenuti medesimi nell’atto di definizione dell’accertamento parziale il quale, una volta notificato, costituisce anche titolo per l’iscrizione a ruolo delle somme dovute;

all’interesse dell’amministrazione finanziaria di definire in tempi più rapidi l’accertamento fondato sul processo verbale di constatazione e sull’assenso del contribuente e di evitare, in tal modo, la fase dell’eventuale contraddittorio, fa da contrappeso il vantaggio riconosciuto al contribuente consistente nella riduzione delle sanzioni nonchè nella possibilità di rateizzare il pagamento delle somme dovute senza la prestazione di garanzie;

in particolare, per quanto di interesse, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2, cit., l’adesione “può avere ad oggetto esclusivamente il contenuto integrale del verbale di constatazione”;

diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente con il presente motivo di ricorso, il tenore letterale della norma non può non indurre a ritenere che l’adesione del contribuente determini l’accettazione da parte del medesimo della effettiva sussistenza di tutte le violazioni contestate, dovendosi, quindi, fare necessario riferimento a tutti gli eventuali periodi d’imposta interessati dalle violazioni medesime e non solo a taluni di essi;

tuttavia, il motivo di censura in esame, laddove enuncia la violazione della previsione di cui all’art. 5-bis, cit., ponendo l’attenzione sulla circostanza che la volontà di adesione del contribuente dovrebbe essere rapportata all’autonomia di ciascuna annualità oggetto di contestazione nel processo verbale di constatazione, induce a valutare se e in che misura la volontà esternata dal contribuente con l’atto di adesione abbia o meno rilevanza in sede di successiva contestazione giudiziale;

va quindi osservato che il procedimento disegnato dall’art. 5-bis, cit., si articola in diversi passaggi, consistenti: nella consegna del processo verbale di constatazione; nella successiva adesione del contribuente entro il termine di trenta giorni; nella comunicazione dell’Agenzia delle entrate, entro i successivi sessanta giorni, dell’atto di definizione dell’accertamento parziale recante l’indicazione, per ciascun tributo, gli elementi e la motivazione su cui la definizione si fonda, nonchè la liquidazione delle maggiori imposte, delle sanzioni e delle altre somme eventualmente dovute, anche in forma rateale; infine, il comma 4 prevede che “In caso di mancato pagamento delle somme dovute di cui al comma 3 il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate provvede all’iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle predette somme a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 14”;

ne deriva che, una volta che il contribuente ha manifestato la volontà di aderire al processo verbale di constatazione e l’amministrazione ha emesso l’atto di definizione dell’accertamento, lo stesso è vincolante per il contribuente, sicchè, ove non provveda al pagamento di quanto in esso indicato, l’amministrazione finanziaria può legittimamente iscrivere l’importo a ruolo, con conseguente successiva notifica della cartella di pagamento;

questa Corte, invero, ha precisato, seppur in materia di accertamento con adesione, ma i cui principi sono estendibili anche al caso, quale quello di specie, dell’adesione al processo verbale di constatazione, atteso che, in entrambi, risulta rilevante la volontà del contribuente ai fini della validità del successivo atto dell’amministrazione finanziaria, che: “In materia tributaria, una volta che sia stato definito l’accertamento con adesione, ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, con fissazione anche del “quantum debeatur”, al contribuente non resta che eseguire l’accordo, mediante il versamento di quanto da esso previsto, risultando normativamente esclusa la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato. E, quindi, inammissibile il ricorso contro l’avviso di accertamento proposto dopo la firma del concordato fiscale.” (Cass. civ., 21 febbraio 2020, n. 4566);

è vero che questa Corte, con la pronuncia sopra citata, ha ulteriormente precisato che “Va quindi riconosciuta al contribuente la possibilità di impugnare “l’atto di definizione” per far valere la non corrispondenza tra gli importi in esso esposti e quelli dovuti per effetto dell’acquiescenza prestata al P. v. c.. Una diversa interpretazione che precluda ogni tipo di sindacato anche quando l’Ufficio formalizzi un atto di definizione contenente contestazioni manifestamente erronee si tradurrebbe in una limitazione dei diritti del contribuente sanciti dall’art. 24 Cost.”;

va, tuttavia, osservato che il riconoscimento del diritto del contribuente, che ha manifestato la volontà di aderire al processo verbale di constatazione, di potere successivamente contestare la pretesa dell’amministrazione finanziaria: a) riguarda il successivo atto di definizione dell’accertamento parziale; b) attiene all’ipotesi in cui abbia verificato che non vi sia corrispondenza tra gli importi indicati nell’atto di definizione dell’accertamento e quelli risultanti dal processo verbale di constatazione;

in tali casi, in realtà, il diritto del contribuente di contestare il successivo atto di definizione dell’accertamento si basa proprio sulla necessità di tutelare la manifestazione di volontà dallo stesso espressa di aderire alle contestazioni di cui al processo verbale di constatazione;

diverso è il caso di specie, in cui: da un lato, non si pone una questione di tutela della volontà del contribuente, in quanto il contenuto dell’atto di definizione dell’accertamento corrisponde, relativamente agli anni indicati, alle contestazioni di cui al processo verbale di constatazione per i medesimi anni; d’altro lato, il contribuente non ha impugnato l’atto di definizione dell’accertamento, ma solo la successiva cartella di pagamento, sicchè la pretesa dell’amministrazione finanziaria si era cristallizzata secondo la misura riportata nel suddetto atto e, pertanto, non si sarebbe potuto contestarne la legittimità a seguito della notifica della successiva cartella di pagamento, emessa ai sensi dell’art. 5-bis, comma 4, cit.;

pertanto, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, potesse porsi la questione della legittimità dell’atto di definizione dell’accertamento, regolarmente notificato alla contribuente e dalla stessa non impugnato;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 109, per avere ritenuto illegittima la pretesa anche in relazione alla mancata considerazione dei costi sostenuti a fronte dei maggiori ricavi accertati;

il motivo è fondato;

si è già precisato che la peculiarità propria del procedimento delineato dall’art. 5-bis, citato, consiste nel riconoscimento al contribuente della facoltà di definire celermente il rapporto tributario conseguente alla constatazione delle violazioni contenute nel processo verbale di constatazione, sicchè, qualora il contribuente si avvalga di tale facoltà, il procedimento accertativo, di tipo “parziale”, resta ancorato ai contenuti del processo verbale di constatazione e si traduce nella integrale trasfusione dei contenuti medesimi nell’atto di definizione dell’accertamento parziale il quale, una volta notificato, costituisce anche titolo per l’iscrizione a ruolo delle somme dovute nel caso in cui il contribuente non abbia provveduto al pagamento; non correttamente, dunque, il giudice del gravame ha fondato la ragione della decisione assimilando la presente fattispecie a quella che attiene, invece, alla diversa ipotesi dell’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art., comma 2;

è vero, infatti, che questa Corte (Cass. civ., 29 settembre 2017, n. 22868) ha più volte affermato che, in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, poichè in tal caso, operando l’amministrazione finanziaria sulla base di presunzioni c.d. supersemplici, la stessa è tenuta a determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva;

ma tale riferimento, appunto, compiuto dal giudice del gravame alla necessità che, in sede di accertamento induttivo, si tenga conto anche dei costi del contribuente, in misura forfettaria, non è conferente al caso di specie in cui, come detto, la pretesa dell’amministrazione finanziaria deriva dalla adesione del contribuente alle violazioni sostanziali contestate con il processo verbale di constatazione;

in conclusione, il primo motivo di ricorso è inammissibile, il secondo ed il terzo sono fondati, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, consegue la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata e il rigetto dell’originario ricorso del contribuente;

con riferimento alle spese di lite, sussistono giusti motivi per la compensazione di quelle relative ai giudizi di merito e, relativamente alle spese del presente giudizio, l’intimato va condannato al pagamento in favore della ricorrente.

PQM

La Corte:

in accoglimento del ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dall’intimato; compensa le spese di lite relative ai giudizi di merito, condanna l’intimato al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

 

 

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