Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4962 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. II, 25/02/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 25/02/2020), n.4962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26879-2017 proposto da:

CONSOB – COMMISSIONE NAZ.PER LA SOCIETA’ E LA BORSA, (OMISSIS),

elettivamente domiciliata presso la propria sede in Roma, via G.B.

Martini n. 3, rappresentata e difesa dagli avvocati STEFANIA

LOPATRIELLO, SALVATORE PROVIDENTI e GIANFRANCO RANDISI;

– ricorrente –

contro

L.G., T.M.S., G.B.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, L.GO MESSICO 7, presso lo studio

dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato EVA RAFFAELLA DESANA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 880/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 19/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e per l’assorbimento del ricorso incidentale;

uditi gli avvocati Stefania Lopatriello e Gianfranco Randisi per la

ricorrente principale e l’avvocato Eva Raffaella Desana per i

controricorrenti e ricorrenti incidentali.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.B.P., L.G. e T.M.S. proponevano opposizione avverso la Delib. 17 settembre 2015, n. 19360 con la quale la Consob aveva accertato la violazione dell’art. 149, comma 1, lett. a) TUF da parte degli opponenti nella qualità di componenti del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca per omessa vigilanza in merito all’assenza nelle relazioni sulla corporate governance relative agli esercizi dal 2009 al 2013 di informazioni rilevanti ai sensi dell’art. 123 bis, comma 1, lettera I), comma 2, lett. d) TUF, quali il riferimento ai principi di pariteticità, alternatività e tendenziale alternanza fra derivazione BPU e derivazione Banca Lombarda disciplinanti la composizione del comitato nomine e degli organi sociali della banca.

2. La Corte d’Appello rigettava i motivi di opposizione relativi alla tardività del provvedimento sanzionatorio emesso oltre il termine di conclusione di 180 giorni fissato dall’art. 4, comma 2 regolamento Consob decorrente dal 300 giorno successivo alla notificazione ai destinatari della contestazione, nonchè alla violazione dell’art. 111 Cost. in ragione del fatto che la Consob non aveva dato comunicazione della decisione di attendere l’esito dei giudizi avanti al Consiglio di Stato prima di concludere il procedimento in corso e al vizio di illegittimità del provvedimento sanzionatorio derivante dal cambiamento del regolamento in pendenza del procedimento.

2.1 La Corte d’Appello richiamava la giurisprudenza di legittimità in tema di sanzioni amministrative con la quale si era affermata l’inidoneità di un regolamento interno ad apportare variazioni alle disposizioni introdotte da una norma di rango superiore e quindi l’inidoneità a prevedere, in difetto di previsione di legge, un termine avente natura perentoria. Inoltre, sempre con riferimento alla tardività del provvedimento il motivo del ritardo era dovuto alla pendenza di due giudizi davanti al giudice amministrativo in cui era stata chiesta la declaratoria di illegittimità del regolamento sul procedimento sanzionatorio. La Consob aveva comunicato al mercato la decisione di attendere gli esiti del giudizio davanti al Consiglio di Stato prima di concludere tutti i procedimenti pendenti fra cui anche quelli a carico dei ricorrenti.

Successivamente con Delib. 29 maggio 2015, n. 19158 la Consob aveva modificato il regolamento sul procedimento sanzionatorio ampliando la possibilità di presentare deduzioni scritte e documenti e di richiedere la trasmissione della relazione con la quale l’ufficio sanzioni amministrative aveva formulato alla commissione proposta motivata di applicazione di sanzione o di archiviazione, al fine di esercitare la facoltà di presentare apposite controdeduzioni scritte, entro i 30 giorni successivi al ricevimento della medesima relazione.

Si era garantita analoga tutela anche ai procedimenti sanzionatori per i quali la fase istruttoria si era conclusa prima dell’entrata in vigore di detta delibera. Pertanto, secondo la Corte d’Appello, il differimento dell’adozione della delibera da parte della commissione era dettato da motivi di ragionevolezza ed aveva inoltre permesso agli opponenti di godere di ulteriori facoltà procedurali con un sensibile ampliamento del diritto di difesa.

2.2 La Corte d’Appello rigettava anche gli ulteriori motivi di opposizione aventi ad oggetto la violazione del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie e la violazione dei principi del giusto processo, richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia. Il medesimo organo giudicante riteneva infondata anche l’eccezione di prescrizione sollevata ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 28 sull’assunto che, il 17 settembre 2015 data di adozione della delibera oggetto di opposizione, era già spirato il termine quinquennale decorrente dal 19 marzo 2010.

Secondo La Corte d’Appello, la notifica del processo verbale di accertamento era idonea a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 c.c., in quanto ogni atto del procedimento ha la funzione di far valere il diritto dell’amministrazione alla riscossione e costituisce esercizio della pretesa sanzionatoria.

Il termine di prescrizione, dunque, era stato interrotto dalla notifica degli atti di accertamento e di conseguenza non era maturato al momento dell’adozione della delibera.

2.3 Nel merito, la Corte d’Appello, richiamata la motivazione della delibera oggetto di opposizione, al fine di chiarire i termini della contestazione dell’accertamento in base ai quali la Consob aveva applicato le sanzioni, evidenziava che la questione centrale riguardava il disallineamento fra la modifica all’art. 49 dello statuto, che nel testo novellato prevedeva che il regolamento prevedesse una disciplina del comitato nomine senza alcun riferimento ad accordi, strutture e soggetti esterni alla società e il regolamento medesimo che non era stato modificato, con la conseguente mancata adeguata comunicazione al mercato delle informazioni riguardanti la composizione del funzionamento degli organi di amministrazione di controllo e dei loro connotati sul presupposto che a seguito della modifica statutaria la versione del regolamento del 2007 di cui era stata data comunicazione doveva ritenersi superata.

Secondo la prospettiva della Consob infatti la modifica dell’art. 49 dello statuto non era stata accompagnata da coerenti modifiche del regolamento del comitato nomine che continuava nella declinazione dei principi di pariteticità, alternatività ed alternanza a far riferimento a fonti esterne quali il protocollo d’intesa stipulato al momento della fusione delle due società e, dunque, la modifica statutaria non si era tradotta in un effettivo mutamento delle regole in tema di composizione degli organi sociali e di composizione e funzionamento del comitato nomine tanto che la designazione degli organi sociali di Ubi Banca, dal 2010 sino all’ultimo rinnovo di aprile 2013, era avvenuta in sostanziale continuità con le previsioni del protocollo d’intesa e del regolamento del comitato nomine. La violazione dei doveri che incombevano sui membri del consiglio di sorveglianza doveva ravvisarsi nel deficit informativo venutosi a creare con riguardo a quelle che erano le regole di governance in concreto vigenti. Lo strumento per effettuare una piena disclosure al mercato degli effettivi meccanismi che regolano la governance avrebbe dovuto essere la relazione sul governo societario prevista e disciplinata dall’art. 123 bis TUF.

2.4 La Corte d’Appello di Milano, richiamato il contenuto dell’art. 123 bis comma 1, lett. I, e comma 2, lett. d TUF osservava che, in ragione dell’ampia formulazione dell’art. 123 bis in merito al contenuto della relazione sulla governance e in assenza di un’indicazione analitica dei contenuti della medesima, la contestazione avrebbe dovuto essere necessariamente circostanziata, in osservanza dei principi fondamentali di tipicità e determinatezza dell’illecito amministrativo.

Nella specie difettava l’indispensabile analiticità della contestazione con riferimento alla mancata informativa sulle modifiche apportate al regolamento, dal momento che la commissione a pagina 61 dell’atto di accertamento aveva fatto riferimento ad aspetti significativi del funzionamento del comitato nomine senza tuttavia indicare in alcun modo quali sarebbero state le norme del regolamento oggetto di modifica la cui mancata comunicazione al mercato avrebbe impedito la conoscenza dei rinnovati criteri di nomina. Sotto tale profilo la Corte d’Appello rilevava l’assoluta carenza di determinatezza della contestazione che precludeva ogni valutazione nel merito.

Quanto all’ulteriore contestazione relativa all’inidoneità delle comunicazioni sociali a far comprendere in alcuni tratti qualificanti le modalità di funzionamento del comitato a causa del disallineamento fra lo statuto come modificato nel 2009 e il regolamento, la Corte d’Appello riteneva che il suddetto disallineamento non fosse ravvisabile.

In vista della fusione tra Banche Popolari Unite e Banca Lombarda Piemontese era stato sottoscritto un protocollo d’intesa nel quale era stato sancito che la composizione degli organi sociali di Ubi Banca, risultante dalle fusione, sarebbe stata improntata ai principi di pariteticità fra le derivazioni BPU e Banca Lombarda Piemontese, di alternatività fra le predette derivazioni nell’accesso alle cariche apicali del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione e di tendenziale alternanza tra le predette componenti nel rinnovo delle due cariche. Tali principi, erano stati esplicitati nel regolamento comitato nomine di Ubi Banca che prevedeva che essi trovassero applicazione ai fini della composizione dello stesso comitato nomine, nonchè degli organi sociali di Ubi banca e delle banche sue controllate.

Al contempo l’art. 1 dello statuto sociale prevedeva che la fusione si ispirasse al principio di parcità tra le società partecipanti.

In data 9 maggio 2009 l’assemblea straordinaria dei soci di Ubi Banca a conclusione di un’interlocuzione con la Banca d’Italia aveva approvato delle modifiche dello statuto sociale necessarie ad adeguarlo alle previsioni introdotte dalle disposizioni emanate dalla Banca d’Italia il 4 marzo 2008, in particolare aveva modificato l’art. 49 dello statuto escludendo ogni riferimento ad accordi strutture o soggetti esterni alla società per la disciplina del comitato nomine.

In sintesi, il disallineamento che avrebbe reso necessaria la comunicazione al mercato non sussisteva in ragione del fatto che il regolamento aveva continuato a far riferimento, sino alla modifica avvenuta in epoca successiva ai fatti contestati, al principio di pariteticità, alternatività e tendenziale alternanza fra le derivazioni, che trovava la fonte nel citato protocollo d’intesa che doveva essere considerato atto interno alla banca.

Secondo la Corte d’Appello la pariteticità era espressamente prevista nell’art. 1 dello statuto ispiratore della nuova banca e non poteva dubitarsi della natura programmatica di tale principio.

Inoltre, il protocollo d’intesa non rientrava tra gli accordi esterni rientrando, invece, tra gli atti mediante i quali era sorto il nuovo soggetto e di esso era stata data comunicazione in allegato al progetto dell’atto di fusione. Mentre l’art. 49 dello statuto era piuttosto finalizzato ad escludere che le nomine potessero essere determinate in centri decisionali esterni alla banca.

Neppure il riferimento alle derivazioni presente nel regolamento poteva ritenersi in dissonanza con l’art. 49 dello statuto come novellato, in quanto il concetto di derivazione evocava le designazioni provenienti dalle due compagini fuse in Ubi Banca. Secondo la Corte d’Appello, dunque, non era condivisibile la sussistenza del disallineamento fra statuto e regolamento che avrebbe reso necessaria, a decorrere dal 2009, la comunicazione al mercato dei meccanismi che regolavano la governance di Ubi Banca.

Infine, doveva escludersi che la situazione di incertezza in ragione della quale era stata ritenuta necessaria la suddetta comunicazione potesse farsi derivare dall’abrogazione della norma transitoria numero 3, relativa all’adozione del regolamento comitato nomine. Infatti, a seguito della sua adozione la norma transitoria dopo l’insediamento del comitato non aveva più ragion d’essere.

In conclusione, secondo la Corte d’Appello, non si poteva ravvisare alcuna modifica dei principi ispiratori del regolamento del comitato nomine, la cui versione resa nota al mercato nel 2007, era adeguata a far comprendere le modalità di funzionamento del comitato.

Veniva a mancare, dunque, l’omessa vigilanza dei membri del consiglio di sorveglianza in merito all’assenza nelle relazioni sulla governance dal 2009 al 2013 delle informazioni rilevanti ai fini dell’art. 123 bis, comma 1, lett. I e comma 2, lett. d TUF in quanto il mercato era già stato reso edotto delle regole contenute nel regolamento citato.

3. La Consob ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso.

4. G.B.P., L.G. e T.M.S. hanno resistito con controricorso ed hanno proposto a loro volta ricorso incidentale condizionato sulla base di tre motivi.

5. L’esame dei ricorsi era fissato all’udienza pubblica del 21 febbraio 2019 e le parti in prossimità di tale data presentavano memorie insistendo nelle rispettive richieste.

6. La Corte rinviava la discussione all’udienza dell’11 luglio 2019, in prossimità della quale le parti presentavano ulteriori memorie insistendo nuovamente nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere la Corte d’Appello completamente omesso, per sua stessa ammissione, l’esame degli addebiti di Consob nella parte in cui denunciavano la mancata pubblicazione ex art. 123 bis TUF delle modifiche apportate al regolamento del comitato nomine di Ubi Banca, omissione determinata da un grave errore di cognizione della Corte, smentito per tabulas, la quale ha ritenuto che tali modifiche non fossero descritte negli atti della Consob, e ha ritenuto, per tale motivo, preclusa ogni valutazione nel merito.

In particolare, la ricorrente evidenzia che le modifiche apportate nel 2009 al regolamento del comitato nomine oggetto della contestazione di mancata comunicazione al mercato erano state elencate dettagliatamente a pagina 12 e 13 della nota di contestazione. Le stesse erano indicate anche nell’atto di accertamento il cui contenuto è riportato integralmente nel ricorso. Le stesse erano indicate anche nelle memorie di costituzione e risposta della Consob (pag.31 e 32).

Tale errore di cognizione avrebbe condotto il giudice di merito ad omettere completamente l’esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

L’indicazione di tali modifiche, infatti, costituiva un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la contestazione unica ed unitaria atteneva alla violazione dell’obbligo di trasparenza sulle reali modalità di esercizio del governo societario che avrebbe richiesto di far conoscere al mercato il nuovo contenuto del regolamento comitato nomine. Tale nuovo contenuto era conseguente sia alla modifica di alcuni punti di rilievo sia alla mancata modifica di altri che il novellato art. 49 dello statuto avrebbe richiesto.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., nonchè violazione e falsa applicazione della disciplina in materia di effetti della fusione di cui all’art. 2504 bis c.c., rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte violato i canoni dell’interpretazione letterale, teleologica, sistematica nell’interpretazione degli artt. 1 e 49 dello statuto di Ubi Banca, nonchè delle clausole del protocollo d’intesa e del regolamento del comitato nomine.

La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non abbia rilevato che i principi di pariteticità, alternanza e alternatività e il concetto delle derivazioni non fossero sanciti o comunque ricavabili dallo statuto di Ubi Banca ma solo dal protocollo d’intesa stipulato in vista della fusione, e disciplinati nel dettaglio nel regolamento del comitato nomine. Inoltre la Corte d’Appello non aveva rilevato che il concreto operare di tali principi consentiva che le nomine continuassero ad avvenire sulla base di scelte provenienti dai centri decisionali esterni alla banca ossia dalle derivazioni, riconducibili alle strutture associative a cui facevano capo le due realtà bancarie partecipanti alla fusione, il tutto in spregio all’art. 49 dello statuto come novellato nel 2009 che escludeva il riferimento ad accordi, strutture o soggetti esterni alla società.

Ubi Banca, invece, aveva modificato il regolamento del comitato nomine, eliminando solo la previsione secondo la quale i componenti di derivazione ex Banca lombarda dovevano essere membri dell’associazione di azionisti di Banca lombarda, senza eliminare i riferimenti ai principi di pariteticità, alternatività ed alternanza sanciti nel protocollo d’intesa.

La Corte d’Appello avrebbe violato il canone interpretativo e sistematico di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., non avendo rilevato il disallineamento tra regolamento del comitato nomine e lo statuto.

La ricorrente lamenta anche la violazione e falsa applicazione della disciplina in materia di effetti della fusione di cui all’art. 2504 bis c.c..

La censura ha ad oggetto la decisione della Corte d’Appello secondo la quale il riferimento alle derivazioni, ad opera del regolamento del comitato nomine adottato dal consiglio di sorveglianza di Ubi Banca dopo la modifica statutaria del 2009 era da ritenersi come rivolto ad entità interne alla nuova banca e non a centri di interesse esterni, in contrasto con la previsione di cui all’art. 49 dello statuto, e nel non aver affermato che negli atti societari o parasociali era vietato fare riferimento a soggetti diversi dagli organi sociali della nuova banca.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella parte in cui la Corte d’Appello nella propria lettura del termine “derivazioni”, ha completamente trascurato ed omesso di considerare le risultanze probatorie ed ispettive dalle quali emergeva che le ipotesi ricostruttive su cui erano fondati gli addebiti della Consob avevano avuto conferma nella prassi della nomina degli organi sociali di Ubi Banca.

L’individuazione delle candidature alle cariche sociali degli anni dal 2009 alla data delle contestazioni, infatti, erano avvenute a seguito di attività svolte dalle associazioni facenti capo ai due centri di interesse espressivi delle due realtà bancaria partecipanti alla fusione. Ciò risultava chiaramente da pagina 44 dell’atto di accertamento dove si leggeva che, a seguito dell’attività ispettiva svolta nei confronti dell’associazione Banca lombarda piemontese e dell’associazione amici di Ubi Banca, era emerso che parte dei componenti dei consigli di sorveglianza e dei consigli di gestione succedutisi dal 2009 alla data delle lettere di contestazione risultavano membri delle suddette associazioni, l’individuazione delle relative candidature, salvi i casi di riconferma era avvenuta a seguito di attività svolte dalle predette associazioni all’esito delle quali le predette strutture esterne avevano comunicato le indicazioni di candidatura ai membri del comitato nomine di riferimento. Il comitato nomine aveva pressochè integralmente riconfermato le indicazioni ricevute dalle associazioni.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, delle norme in materia di fusione, ai sensi degli artt. 2501 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nella parte in cui il giudice di merito ha escluso il disallineamento dall’art. 49 dello statuto delle previsioni del protocollo d’intesa e del regolamento del comitato nomine sulla base dell’ulteriore argomento secondo il quale il protocollo d’intesa non rientrerebbe fra gli accordi esterni vietati dall’art. 49 dello statuto, essendo esso un atto interno mediante il quale era sorto il nuovo soggetto giuridico, laddove esso, al contrario, era atto propedeutico alla fusione con una funzione preparatoria e strumentale alla stessa, e con effetti esclusivamente all’interno del complesso procedimento di fusione volto alla composizione degli interessi delle due parti contrapposte.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 123 bis TUF, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte ritenuto che la norma citata non richiedesse un’indicazione analitica dei contenuti della relazione sulla governance e per essere, più in generale, la decisione della Corte evidentemente una conseguenza della mancata comprensione e, dunque, violazione e falsa applicazione del dettato normativo di cui all’art. 123 bis TUF ed in particolare dell’obbligo di fare trasparenza sulle reali modalità di esercizio del governo societario. Sul mancato rispetto del suddetto obbligo si fondava l’intervento sanzionatorio della Consob nei confronti dei membri del consiglio di sorveglianza.

5.1 I cinque motivi del ricorso della Consob che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono infondati.

In via preliminare, il Collegio ritiene che occorra verificare, in base alla contestazione effettuata dall’organo di vigilanza, se la condotta omissiva di cui sono incolpati i controricorrenti rientri tra quelle sanzionate dal TUF, tenuto conto della necessaria applicazione del principio di legalità, di tassatività e sufficiente determinatezza della fattispecie di cui all’art. 25 Cost. e L. n. 689 del 1981, art. 1.

Questa Corte più volte ha affermato che il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa è strutturato dalla legge, nelle sue linee essenziali, in conformità al processo civile ordinario ed è pertanto retto dal principio della domanda, con conseguente divieto per il giudice di pronunciarsi su motivi di opposizione o su eccezioni non dedotte dalle parti (Cass. n. 1173 del 2007; Cass. 23284 dei 2006; Cass. n. 217 del 2006). Tale criterio, tuttavia, non può essere applicato in maniera acritica ed automatica, ma deve essere coordinato con i principi informatori della disciplina posta dalla legge in materia di sanzioni amministrative, in particolare con il principio di legalità espresso dalla L. n. 689 del 1981, art. 1, in forza del quale nessuno può essere assoggettato a sanzione amministrativa se non in forza di una legge che sia in vigore al momento in cui ha commesso il fatto. Il principio di legalità costituisce invero cardine dell’intero sistema normativo di settore ed ha valore ed efficacia assoluti, essendo direttamente riferibile alla tutela di valori costituzionalmente garantiti (artt. 23 e 25 Cost.), sicchè la sua attuazione non può rimanere, sul piano giudiziario, affidata alla mera iniziativa dell’interessato, ma deve essere garantita dall’esercizio della stessa funzione giurisdizionale.

Sotto altro e concorrente profilo, può osservarsi che uno dei molti corollari che possono farsi discendere dal principio di legalità può essere espresso con l’affermazione secondo cui lo stesso potere di irrogazione della sanzione amministrativa deve trovare il suo fondamento giuridico ineliminabile nella disposizione di legge che vieta e punisce la condotta sanzionata. Il che, mutando solo prospettiva, equivale a dire che l’indagine in ordine alla esistenza e vigenza della norma di legge che vieta e quindi sanziona il comportamento ascritto al ricorrente nel provvedimento amministrativo investe il tema della sussistenza, in generale, dello stesso potere sanzionatorio e, quindi, del fondamento giuridico stesso del provvedimento opposto e non si risolve, pertanto, nell’accertamento di una mera causa di illegittimità dell’atto.

Ne è prova la considerazione che il giudice, quando pronuncia sulla fondatezza o infondatezza dell’opposizione, non può non pronunciarsi – ovviamente in via del tutto implicita laddove la questione non sia stata espressamente sollevata – anche sulla esistenza e sull’applicazione della norma che sanziona quel determinato comportamento e che, specularmente, gli stessi motivi di opposizione investono sempre anche il tema dell’accertamento dell’esistenza della norma di legge su cui l’Autorità che ha adottato l’ordinanza ingiunzione giustifica la sanzione irrogata. L’indagine circa la esistenza della norma di legge sanzionatoria costituisce pertanto un presupposto – logico e giuridico insieme – implicito di qualsiasi decisione giudiziaria in materia di opposizione a sanzione ed è operazione manifestamente diversa da quella che si svolge ai fini dell’accertamento dei vizi del provvedimento sanzionatorio, la quale, risolvendosi nella verifica della presenza di cause di difformità del provvedimento opposto rispetto allo schema delineato dalla legge, presuppone pur sempre la sussistenza di un modello legale cui ricondurre il contenuto del provvedimento. Ne è conferma la stessa possibilità per il giudice, sulla cui esistenza non può certo sorgere questione, di sollevare di propria iniziativa, anche senza sollecitazioni della parte, la questione di illegittimità costituzionale della norma di legge che punisce il comportamento sanzionato (Sez. 2, Sent. n. 17403 del 2008).

5.2 Ciò premesso, passando all’esame del caso di specie, l’atto di contestazione della Consob ha un duplice richiamo, da un lato si contesta la violazione dell’art. 149 comma 1, lett. a) TUF secondo cui il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, e dall’altro si ritiene che tale obbligo di vigilanza ricomprenda quello di vigilare in ordine al contenuto della relazione annuale sul governo societario e gli assetti proprietari prevista dall’art. 123 bis TUF.

In particolare, i ricorrenti avrebbero omesso di vigilare, per gli anni dal 2009 al 2013, affinchè la suddetta relazione annuale contenesse l’indicazione delle informazioni previste dall’art. 123 bis, comma 1, lett. I) e comma 2, lett. d) TUF ovvero l’indicazione delle norme applicabili alla nomina e alla sostituzione degli amministratori e dei componenti del consiglio di gestione e di sorveglianza, nonchè alla modifica dello statuto, se diverse da quelle legislative e regolamentari applicabili in via suppletiva (art. 123 bis, comma 1, lett. I), e la composizione e il funzionamento degli organi di amministrazione e controllo e dei loro comitati (art. 123 bis, comma 2, lett. d).

Secondo la Consob, la relazione annuale non dava conto delle modifiche del regolamento del comitato di gestione delle nomine intervenute a seguito della modifica dell’art. 49 dello statuto. Tali modifiche, peraltro, erano del tutto insufficienti rispetto alla citata norma statutaria, restando un sostanziale disallineamento tra statuto e regolamento in modo che le informazioni date al mercato non corrispondevano alla reale modalità di nomina degli organi di amministrazione della banca.

Osserva questa Corte che spetta al comitato di gestione predisporre la relazione annuale sul governo societario di cui all’art. 123 bis e che la violazione degli obblighi di informazione sul governo societario di cui all’art. 123 bis, comma 1, lett. I) e comma 2, lett. d) non rientra tra le condotte espressamente sanzionate nella parte V del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

Secondo la contestazione della Consob, tuttavia, ai membri del consiglio di sorveglianza deve applicarsi la sanzione prevista dall’art. 193, comma 3, lett. a), perchè avrebbero violato l’art. 149, comma 1, lett. a) TUF.

5.3 Vista la molteplicità e complessità dei riferimenti normativi si rende opportuno riportare dettagliatamente le disposizioni del TUF richiamate nell’atto di contestazione.

In particolare, come si è detto, la Consob ha applicato la sanzione prevista dall’art. 193, comma 3 TUF recante “Informazione societaria e doveri dei sindaci, dei revisori legali e delle società di revisione legale” (nella versione ratione temporis applicabile) che prevede(va) una sanzione amministrativa pecuniaria da Euro venticinquemila a Euro duemilionicinquecentomila per i componenti del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione che commettono irregolarità nell’adempimento dei doveri previsti dall’art. 149, commi 1, 4-bis, primo periodo, e 4-ter, ovvero omettono le comunicazioni previste dall’art. 149, comma 3.

A sua volta l’art. 149, comma 1, lett. a) TUF prevede che: “Il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo”. Nella specie, pur non essendo richiamato esplicitamente deve ritenersi che, nell’atto di contestazione, il richiamo all’art. 149, comma 1, lett. a) TUF ricomprenda implicitamente anche quello all’art. 149, u.c. (comma 4bis) che estende l’applicazione del comma 1 anche al consiglio di sorveglianza nelle società che adottano il sistema duale.

L’art. 123 bis TUF recante “Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari” (nella versione ratione temporis applicabile), prevede, invece, che la relazione sulla gestione delle società emittenti valori mobiliari ammessi alle negoziazioni in mercati regolamentati debba contenere in una specifica sezione, denominata: “Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari”, informazioni dettagliate riguardanti, tra l’altro, le norme applicabili alla nomina e alla sostituzione degli amministratori e dei componenti del consiglio di gestione e di sorveglianza, nonchè alla modifica dello statuto, se diverse da quelle legislative e regolamentari applicabili in via suppletiva (art. 123 bis, comma 1, lett. I) e la composizione e il funzionamento degli organi di amministrazione e controllo e dei loro comitati (art. 123 bis, comma 2, lett. d).

Nella parte V del TUF, relativa alle sanzioni, (titolo I capo V) l’art. 123 bis è contemplato espressamente, solo con riferimento alle comunicazioni prescritte dal comma 2, lett. a); in particolare, l’art. 192-bis recante in rubrica “Informazioni sul governo societario” (nel testo precedente le modifiche apportate dal D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72, in vigore dal 21 novembre 2008 al 26 giugno 2015) testualmente recita: “Salvo che il fatto costituisca reato, gli amministratori, i componenti degli organi di controllo e i direttori generali di società quotate nei mercati regolamentati i quali omettono le comunicazioni prescritte dall’art. 123-bis, comma 2, lett. a), sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da diecimila a trecentomila Euro. Il provvedimento sanzionatorio è pubblicato, a spese degli stessi, su almeno due quotidiani, di cui uno economico, aventi diffusione nazionale”.

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72 la sanzione per la medesima condotta oggi è posta a carico della società e, ne rispondono anche coloro che svolgono funzioni di amministrazione direzione controllo qualora la loro condotta abbia contribuito a determinare la violazione delle disposizioni sopra richiamate da parte della società.

5.4 Dal quadro normativo sopra descritto emerge che la condotta omissiva riferita al contenuto della relazione sulla corporate governance non è espressamente contemplata dal TUF, il quale all’art. 192 bis recante “informazioni sul governo societario” sanziona solo l’omissione delle comunicazioni prescritte dall’art. 123 bis, comma 2, lett. a) TUF.

Come si è detto, secondo la prospettazione della Consob, il consiglio di sorveglianza dovrebbe rispondere dell’omessa vigilanza sulle informazioni sul governo societario previste dall’art. 123 bis, comma 1, lett. I) e comma 2, lett. d), perchè rientranti nell’obbligo di vigilanza sul rispetto dello statuto di cui all’art. 149, comma 1, lett. a).

5.5 Una siffatta interpretazione della responsabilità per omissione del consiglio di sorveglianza non può essere condivisa, contrastando con il principio di legalità e di sufficiente determinatezza della fattispecie di cui all’art. 25 Cost. e L. n. 689 del 1981, art. 1.

L’illecito omissivo si connota o per l’omissione di una condotta dovuta, c.d. omissione propria, oppure nella previsione generale che assimila ad una condotta illecita fonte di responsabilità quella di chi non l’ha impedita pur avendone l’obbligo giuridico, c.d. omissione impropria.

La giurisprudenza di questa Corte in numerose occasioni ha ricostruito l’illecito omissivo dei sindaci delle società in termini di concorso omissivo nell’illecito quoad functionem, in quanto la complessa articolazione della struttura organizzativa di una banca non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functionem, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob, a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia ed alla Consob (ex plurimus Sez. 1, Sent. n. 6037 del 2016).

Nel caso di specie non è possibile individuare un concorso nell’illecito omissivo quoad functionem perchè coloro che hanno posto in essere la condotta omissiva rispetto alle informazioni sul governo societario non ne rispondono. Il legislatore, infatti, come si è detto, non ha previsto alcuna sanzione per l’omissione nella relazione annuale sul governo societario delle informazioni che non rientrano tra quelle previste dall’art. 123 bis TUF, comma 2, lett. a), sicchè di tale omissione non sono chiamati a rispondere coloro che facevano parte del consiglio di gestione che è l’organo responsabile della suddetta relazione annuale.

D’altra parte, non è possibile neanche ipotizzare un illecito omissivo proprio con riferimento diretto al contenuto della relazione annuale sulla corporate governance perchè la responsabilità della stessa grava sul consiglio di gestione e, tantomeno, è possibile attribuire al consiglio di sorveglianza, sulla base dell’art. 149, comma 1, lett. a), una responsabilità per aver omesso di vigilare su tale condotta, non autonomamente sanzionata.

Ritenere, infatti, che nell’ambito della responsabilità diretta di vigilanza sull’osservanza dello statuto ex art. 149, comma 1, lett. a) TUF rientri anche quello di vigilare sulla regolarità delle informazioni sul governo societario significa ampliare in modo generico e indifferenziato la responsabilità del consiglio di sorveglianza, estendendo la stessa anche a condotte non costituenti a loro volta alcun illecito da parte di chi le ha poste in essere, nel caso di specie il consiglio di gestione della Banca, mentre, affinchè una condotta omissiva possa essere fonte di responsabilità è necessario o che il legislatore imponga di tenere una determinata condotta o nell’illecito commissivo mediante omissione che sia configurabile in capo al responsabile un obbligo giuridico di garanzia al fine di impedire il realizzarsi di una condotta altrui che si presuppone a sua volta illecita.

In altri termini, non è possibile attribuire una responsabilità per omessa vigilanza sull’attuazione dello statuto al consiglio di sorveglianza per non aver vigilato affinchè la relazione sul governo societario contenesse nel dettaglio le informazioni relative alla disciplina ed al funzionamento del consiglio di gestione delle nomine interno ad Ubi Banca. Altrimenti, seguendo una tale interpretazione del TUF, si verrebbe a creare attraverso un collegamento tra fattispecie diverse e tra loro non collegate, un illecito amministrativo non previsto dal legislatore e, peraltro, a carico del solo consiglio di sorveglianza, in violazione della L. n. 689 del 1981, art. 1 e dell’art. 25 Cost..

5.6 A questo proposito occorre richiamare la giurisprudenza costituzionale secondo cui il principio della legalità della pena è “ricavabile anche per le sanzioni amministrative dall’art. 25 Cost., comma 2, in base al quale è necessario che sia la legge a configurare, con sufficienza adeguata alla fattispecie, i fatti da punire” (sentenza n. 78 del 1967). La Corte costituzionale ha anche precisato in tempi più recenti che dall’art. 25 Cost., data l’ampiezza della sua formulazione, è desumibile il principio secondo cui “tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto” (sentenza n. 196 del 2010; in identico senso anche le sentenze n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014) e che corollario di tale principio è quello di tassatività e sufficiente determinatezza delle norme sanzionatorie.

Principio, quest’ultimo, il quale, per un verso, vuole evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, l’autorità amministrativa o “il giudice assuma(no) un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito” (sentenza n. 327 del 2008; sul punto anche ordinanza n. 24 del 2017); per un altro verso, non diversamente dal principio d’irretroattività, intende “garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta” (ancora sentenza n. 327 del 2008).

Con riferimento ad ogni tipo di sanzioni amministrative, il principio di legalità, prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile deriva non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da quelli del diritto convenzionale e sovranazionale Europeo, in base ai quali è illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano stati messi in condizione di “conoscere”, in tutte le sue dimensioni tipizzate, la illiceità della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata. (Corte Cost. n. 121 del 2018).

6. Il primo motivo del ricorso incidentale condizionato è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2, art. 195, commi 1 e 2 TUF, art. 6 CEDU, artt. 41 e 47TFUE L. n. 69 del 1981, artt. 12, 1418 e 28 e art. 154 c.p.c.

I ricorrenti incidentali nella consapevolezza dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il termine per la conclusione del procedimento di cui all’art. 4, comma 2 regolamento della Consob n. 17750 del 2013 non può essere considerato perentorio, ritengono che, in ogni caso, la sua violazione produca l’illegittimità del provvedimento nel caso, come quello di specie, in cui non vi sia stata alcuna proroga con una motivazione delle ragioni che la giustificano prima della scadenza dello stesso.

Nella specie il procedimento sanzionatorio si era concluso il 6 ottobre 2015 anzichè il 26 novembre 2014, termine ultimo ai sensi della citata norma del regolamento. Dunque, la violazione del termine senza un provvedimento di proroga comporta l’invalidità del provvedimento sanzionatorio emesso tardivamente.

7. Il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 262 del 2005, art. 24, art. 195, comma 2 TUF, art. 6 CEDU, art. 47 CDFUE e art. 14 Patto di New York (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

I ricorrenti ripropongono le censure a suo tempo sollevate con l’opposizione e relative alla violazione dei principi del contraddittorio e della separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. In particolare le modifiche adottate dall’autorità di vigilanza non avrebbero eliminato tutti i vizi del procedimento sanzionatorio, il quale non prevede lo svolgimento di un’udienza pubblica davanti alla commissione, come richiesto dall’art. 6 CEDU. Inoltre, la commistione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie è connaturata alla stessa organizzazione della Consob e non è idonea a garantire i requisiti di imparzialità ed indipendenza che il citato art. 6 CEDU richiede. Tali vizi sono stati rilevati anche dal Consiglio di Stato secondo il quale non è sufficiente che al procedimento che si svolge di fronte alla Consob segua un procedimento giurisdizionale connotato da tutte le garanzie in quanto i richiesti principi di imparzialità e di indipendenza di cui all’art. 6 devono sussistere anche prima della fase giurisdizionale, in capo alla stessa autorità di vigilanza. Infine, gli esponenti non sono stati auditi in udienza pubblica dinanzi alla commissione, come prescritto dalle fonti sovraordinati e nonostante l’esplicita richiesta in tal senso formulata con istanza del 6 novembre 2014.

8. Il terzo motivo del ricorso incidentale condizionato è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 28 e dell’art. 2943 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

I ricorrenti affermano di essere consapevoli dell’esistenza di due distinti orientamenti, uno che riconosce la capacità interruttiva all’atto di contestazione, l’altro che ritiene necessario invece il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria di intimazione del pagamento, in quanto unico atto capace di costituire in mora il debitore a norma dell’art. 2943 c.c.

A parere dei ricorrenti è necessario che l’atto notificato al debitore manifesti inequivocabilmente la volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del destinatario con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora, intimandogli il pagamento.

L’atto di messa in mora degli esponenti ex art. 2943 c.c. era costituito dalla notificazione della delibera dell’ottobre 2015 quale unico provvedimento contenente l’elemento oggettivo di richiesta scritta di adempimento e di indicazione delle somme da versare, non indicate invece nell’atto di contestazione del 30 aprile 2014.

Seguendo il diverso orientamento si consentirebbe alla Consob di procrastinare illimitatamente il proprio potere sanzionatorio anche alla luce della pretesa mancanza di perentorietà dei termini per la conclusione del procedimento.

9. Al rigetto del ricorso principale segue l’assorbimento dei tre motivi del ricorso incidentale espressamente condizionati all’accoglimento del ricorso principale.

10. Il ricorso è rigettato.

11. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

12. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 10.000 più 200 per esborsi;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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