Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4960 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 24/02/2021), n.4960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1501-2014 proposto da:

EUROFRUT SPA, F.LLI C. & C. SRL, D.P. SRL, FRIGOGEL 2

PRIMIZIA SRL, FRUTTITAL DISTRIBUZIONE SRL, S.F. &

F.LLI SPA, C. M. DI C.G. & C. SNC, L.

S. SRL, C. SPA, D.A. GROUP SRL, D.L. E C.

SRL, BEFER FRUIT SRL, C. SRL, G. SRL, NOVAFRUT SRL,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA B CAIROLI N. 2, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRO DAGNINO, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in BOLOGNA, VIA CASTIGLIONE, 29 PRESSO AUSL (OMISSIS),

presso lo studio dell’avvocato ARIANNA CECUTTA, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2013 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 17/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2020 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

 

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. Befer Fruit srl ed altre società operanti nel commercio agroalimentare all’ingrosso propongono due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 47/01/13 del 17.5.2013, con la quale la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo il diniego opposto dalla Azienda USL di (OMISSIS) alle loro istanze di rimborso di quanto da esse pagato a titolo di tariffa sui controlli sanitari ufficiali di cui al D.Lgs. n. 194 del 2008 (per gli anni 2009 e 2010).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – la tariffa in questione doveva essere corrisposta anche dalle società operanti nel commercio dell’agroalimentare, risultando escluse soltanto le aziende di produzione primaria; – la nozione normativa di “stabilimento” non presupponeva necessariamente l’attività di produzione, dovendosi piuttosto riferire ad una nozione onnicomprensiva di luogo preposto, nell’ambito della filiera agroalimentare, anche alle attività di trasformazione e distribuzione poste a valle della produzione; – non sussistevano i presupposti per il sollecitato rinvio pregiudiziale interpretativo alla CGUE, dal momento che non sussisteva alcun dubbio sulla compatibilità del suddetto decreto legislativo attuativo con il Reg. CE n. 882 del 2004, il quale faceva salvo il potere dei singoli Stati di stabilire anche modalità di applicazione forfettaria della tariffa a seconda della tipologia di attività e di azienda.

Resiste con controricorso l’Azienda USL di (OMISSIS).

Parte ricorrente ha depositato memoria, allegando altresì varie sentenze di merito favorevoli alla tesi da essa sostenuta.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 194 del 2008 (All. A e Tab. Sez. 6), sotto il profilo della mancanza di legittimazione passiva di quegli operatori che, come le società ricorrenti, non operavano nelle fasi di produzione e trasformazione dell’agroalimentare, bensì in quella del commercio all’ingrosso. Contrariamente a quanto affermato dalla commissione tributaria regionale, la nozione regolamentare di ‘stabilimenti nazionalì non era suscettibile di ampliamento semantico indiscriminato, non potendo riferirsi, in particolare, ai locali di mero commercio.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, subordinatamente, violazione e falsa applicazione del citato Reg. CE n. 882 del 2004, art. 27, nonchè dell’art. 117 Cost.. Ciò perchè tale disposizione imponeva agli Stati di determinare la tariffa nella considerazione di tassativi elementi caratteristici (tipo di azienda e fattori di rischio; interessi delle aziende a bassa capacità produttiva; metodi tradizionali di produzione trattamento e distribuzione; esigenze delle aziende situate in zone geograficamente svantaggiate). Ne derivava l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa interna incompatibile con la previsione regolamentare perchè avulsa da quella considerazione ovvero, in via subordinata, di disporre il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE, al fine di interpretare il Regolamento e la compatibilità con esso della disciplina tariffaria nazionale; ciò sotto il profilo sia dell’assoggettamento alla tariffa anche delle imprese agroalimentari operanti unicamente all’ingrosso in mercati generali, sia sotto quello della conformità dei criteri interni di determinazione tariffaria.

p. 2.2 I due motivi, suscettibili di trattazione unitaria, sono infondati.

Questa corte di cassazione si è già occupata della questione negli stessi termini qui posti dalle società odierne ricorrenti, giungendo ad escludere tanto i profili di illegittimità paventati, quanto i presupposti del sollecitato rinvio pregiudiziale alla CGUE; rinvio, quest’ultimo, “obbligatorio” per il giudice nazionale di ultima istanza, ma non per questo “automatico”, nel senso di richiedere pur sempre fondati, oggettivi ed apprezzabili margini di incertezza interpretativa (Cass. SSUU 14062/16; Cass. SSUU 10233/17; Cass. n. 14828/18 ed innumerevoli altre).

Ebbene, non emergono dal ricorso elementi tali da disattendere l’indirizzo già affermato e più volte ribadito.

In particolare, si è osservato (con richiamo a Cass. n. 7449/19; Cass. n. 7452/19 ed altre coeve) che obiettivo del D.Lgs. n. 194 del 2008 è quello (art. 1, comma 1) di stabilire: “le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali, disciplinati al titolo II del Reg. (CE) n. 882/2004, eseguiti dalle autorità competenti per la verifica della conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. Si aggiunge (comma 3) che: “Le tariffe di cui al presente decreto, che sostituiscono qualsiasi altra tariffa prevista per i controlli sanitari di cui al comma 1, sono a carico degli operatori dei settori interessati dai controlli di cui al comma 1. (…).

Nel decreto, allegato A, Sez.6, viene determinata la tariffa di controllo sanitario applicabile, tra gli altri, agli “Operatori del settore alimentari operanti in mercati generali e del settore ortofrutticoli freschi”.

Come correttamente rilevato dalla commissione tributaria regionale, la previsione nazionale non contrasta con il Reg. CE n. 882/04, dando anzi ad esso piena attuazione.

Va infatti osservato che tale Regolamento muove dalla premessa (Considerando 1) che: “I mangimi e gli alimenti devono essere sicuri e sani. La normativa comunitaria comprende una serie di norme per garantire il raggiungimento di tale obiettivo. Queste regole interessano anche la produzione e la commercializzazione dei mangimi e degli alimenti”, per poi chiarire (Considerando 4) che: “La normativa comunitaria in materia di mangimi e di alimenti si basa sul principio che gli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti, in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione nell’ambito delle aziende sotto il loro controllo sono responsabili di assicurare che i mangimi e gli alimenti soddisfino i requisiti della normativa sui mangimi e sugli alimenti aventi rilevanza per le loro attività”.

E’ dunque evidente come la disciplina comunitaria si riferisca – con indistinto riguardo all’intera disciplina UE di tutela alimentare – a tutti gli operatori del settore responsabili della sicurezza e sanità dei prodotti agroalimentari rientranti nell’oggetto della loro attività; sia questa (a monte) di coltivazione e produzione, sia (a valle) di collocamento sul mercato. In tal senso è esplicita la previsione regolamentare secondo cui le norme di sicurezza interessano non soltanto la produzione dei mangimi e degli alimenti, ma anche la loro “commercializzazione”; e così pure quella secondo cui tale disciplina deve riguardare non solo le fasi della produzione e trasformazione, ma anche quella della “distribuzione”. In tal modo, la disciplina comunitaria si rivolge all’intera filiera agroalimentare, anche oltre la fase d’origine e provenienza dei prodotti.

Nè si ritiene che – a fronte di un quadro normativo così univoco – possa distinguersi tra responsabilità dell’operatore per l’osservanza dello stato di integrità, sicurezza e non adulterazione degli alimenti (anche penalmente presidiato nell’ordinamento interno), e responsabilità per il concorso economico ai costi affrontati dalla competente autorità per verificare, tra il resto, proprio l’ottemperanza a questa disciplina di sicurezza alimentare. Ottemperanza alla quale, d’altra parte, le stesse società ricorrenti sono tenute – sebbene secondo le peculiarità modalità di trasporto, stoccaggio e rivendita dei prodotti connaturate all’operatività sul mercato generale dell’ortofrutta – al pari del produttore.

Già le SSUU (sent. n. 13431 del 13/06/2014) hanno avuto modo – sia pure al diverso fine di affermare la giurisdizione tributaria in materia – di rimarcare la correlazione tra le modalità di finanziamento dei controlli sanitari di cui al D.Lgs. n. 194 del 2008, e la “doverosità della prestazione, imposta non solo in forza dell’interesse generale al bene della salute ma anche dei vincoli derivati dalle disposizioni comunitarie, e direttamente collegata alla pubblica spesa, giacchè grava sullo Stato – per una platea di destinatari individuati in relazione ad un presupposto economicamente rilevante, costituito dall’attività da essi svolta nel settore alimentare – l’obbligo di organizzare controlli ufficiali e di predisporre strutture, mezzi e personale per la loro effettuazione”.

Va quindi considerato come, una volta instaurata siffatta diretta relazione di costo tra l’attività di vigilanza sanitaria da un lato e la tariffa in questione dall’altro, l’obbligo di corrispondere quest’ultima non possa essere escluso sol perchè il commerciante all’ingrosso (pur sottoposto a quella vigilanza) non si ponga, in quanto tale, come controparte diretta del soggetto tutelato dalla normativa di prevenzione e sicurezza alimentare, vale a dire il consumatore finale (evenienza che, per la verità, non si verifica nemmeno nei confronti del produttore posto all’origine della filiera, la cui legittimazione tributaria passiva non è revocabile in dubbio).

Vista la ratio legislativa (del tutto armonica sia quanto a Reg. CE n. 882/04 sia quanto a D.Lgs. attuativo n. 194 del 2008) va dunque ritenuto che la nozione di “stabilimenti produttivi” non osti all’assoggettamento alla tariffa in oggetto non dei soli produttori, ma anche di tutti gli “operatori del settore” e, dunque, anche dei distributori e commercianti; questi ultimi individuati dal legislatore nazionale (All. cit.) secondo il requisito della prevalente attività di ingrosso, la cui ricorrenza nella specie pacifica.

Stabilisce poi il D.Lgs. n. 194 del 2008, art. 3: “Criteri per la determinazione e per l’aggiornamento delle tariffe. 1. La determinazione e l’aggiornamento degli importi delle tariffe di cui al presente decreto avviene sulla base del costo effettivo del servizio, tenuto conto di quanto stabilito al Reg. (CE) n. 882/2004, allegato VI”.

Il citato D.Lgs. n. 194 del 2008, allegato A, Sezione 6 – prevede: “Stabilimenti non ricompresi nel Reg. CE n. 882/2004, allegato IV, sezione 8. Per gli stabilimenti non ricompresi nel Reg. CE n. 882/2004, allegato IV, sezione 8, al fine di uniformare le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali attraverso una ripartizione dei costi a livello nazionale, sono previste le tariffe di seguito riportate, calcolate su base annua, differenziate secondo una categorizzazione, calcolata in base all’entità produttiva degli stabilimenti e per fasce produttive (intese in rapporto al prodotto finito e/o alla commercializzazione).

Segue una differenziazione tabellare per “tipologia di stabilimento” per “fascia produttiva annua”, e per “quantità di prodotto in tonnellate”.

Queste previsioni paiono conformi sia al Reg. CE n. 882/04, Considerando n. 32, in base al quale: “Per organizzare i controlli ufficiali dovrebbero essere disponibili adeguate risorse finanziarie. Le autorità competenti degli Stati membri dovrebbero pertanto essere in grado di riscuotere tasse o diritti per coprire i costi sostenuti per i controlli ufficiali. In questo contesto, le autorità competenti degli Stati membri avranno la facoltà di stabilire le tasse e i diritti come importi forfettari basati sui costi sostenuti e tenendo conto della situazione specifica degli stabilimenti. Se si impongono tasse agli operatori, dovrebbero essere applicati principi comuni. E’ quindi opportuno stabilire i criteri per la fissazione dei livelli delle tasse di ispezione. (…); sia al Regolamento medesimo, art. 27, secondo cui: “Tasse o diritti. 1. Gli Stati membri possono riscuotere tasse o diritti a copertura dei costi sostenuti per i controlli ufficiali. 2. Tuttavia, per quanto riguarda le attività di cui all’allegato IV, sezione A, e all’allegato V, sezione A, gli Stati membri assicurano la riscossione di una tassa. (…) 4. Le tasse riscosse ai fini di controlli ufficiali a norma dei paragrafi 1 o 2: a) non sono superiori ai costi sostenuti dalle autorità competenti in relazione ai criteri elencati all’allegato VI, e b) possono essere fissate forfettariamente sulla base dei costi sostenuti dalle autorità competenti in un determinato arco di tempo o, ove applicabili, agli importi stabiliti all’allegato IV, sezione 8 o all’allegato V, sezione 8. 5. Nel fissare le tasse gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi: a) il tipo di azienda del settore interessata e i relativi fattori di rischio; b) gli interessi delle aziende del settore a bassa capacità produttiva; c) i metodi tradizionali impiegati per la produzione, il trattamento e la distribuzione di alimenti; d) le esigenze delle aziende del settore situate in regioni soggette a particolari difficoltà di ordine geografico. (…).

Si ritiene dirimente osservare, da un lato, come la previsione della tariffa in misura forfettariamente calibrata sui costi dell’attività di vigilanza sanitaria sia espressamente consentita dal Regolamento e, dall’altro, come il tariffario nazionale tenga conto della specificità imprenditoriale dell’operatore agroalimentare interessato, attribuendo rilevanza ai parametri sia della tipologia di “stabilimento” e prodotto commercializzato (carne, latte e derivati, uova, acque minerali, ortofrutta ecc…), sia della dimensione quantitativa dell’attività svolta all’ingrosso (c.d. “fasce produttive” in tonnellate annue).

Il legislatore nazionale ha dunque attuato il principio di tendenziale adeguamento del carico tariffario – pur sempre nell’ambito di una legittima imposizione forfettizzata – alle concrete caratteristiche del singolo operatore destinatario dell’attività di vigilanza sanitaria; al quale, del resto, è sempre consentito contestare l’importo richiestogli sotto il profilo del diverso atteggiarsi o del sopravvenuto mutamento, nella concretezza della sua realtà imprenditoriale, dei parametri considerati dall’ente impositore.

Quanto alla localizzazione in Regioni di particolare difficoltà di ordine geografico, si tratta di dato discriminante puramente eventuale e, comunque, pacificamente non rilevante nella concretezza della fattispecie; attesa l’ubicazione territoriale delle società ricorrenti e la mancata allegazione, da parte delle stesse, di requisiti agevolativi di questo tipo.

Il ricorso va dunque rigettato.

Stante il consolidarsi in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo di legittimità, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di lite.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

compensa le spese;

v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

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