Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4959 del 27/02/2017

Cassazione civile, sez. trib., 27/02/2017, (ud. 13/09/2016, dep.27/02/2017),  n. 4959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 9584 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

s.p.a. Logista Italia, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine

del ricorso, dagli avvocati Stefano Petrecca e Rosamaria Nicastro,

presso lo studio dei quali in Roma, alla via Giovanni Paisiello, n.

33, elettivamente si domicilia

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del ministro pro

tempore ed Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, in

persona del direttore pro tempore, entrambi rappresentati e difesi

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso gli uffici della quale

in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12, si domiciliano;

– controricorrenti –

e contro

s.p.a. Equitalia Sud, in persona d’un procuratore speciale del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliatosi, giusta

procura speciale in calce al controricorso, in Roma, al Viale

Gioacchino Rossini, n. 18, presso lo studio del propriò difensore e

procuratore avv. Gioia Vaccari;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sezione 38^, depositata in data 24 febbraio

2011, n. 105/38/11;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

13 settembre 2016 dal Consigliere Dott. Angelina Maria Perrino;

uditi per la contribuente l’avv. Enrico Pauletti, per delega

dell’avv. Rosamaria Nicastro, che ha rinunciato al settimo motivo di

ricorso, per il Ministero e l’Amministrazione dei Monopoli

l’avvocato dello Stato Anna Collaboletta e per l’Equitalia l’avv.

Alberto Colitti, per delega dell’avv. Gioia Vaccaro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

Con D.Lgs. 9 luglio 1998, n. 283, è stato istituito l’Ente Tabacchi Italiani al fide dello svolgimento delle attività produttive e commerciali già riservate o comunque attribuite all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, con esclusione di quelle inerenti al lotto ed alle lotterie. L’operatività dell’Ente tabacchi è cominciata, in veste di ente pubblico economico, nel 1999; nel 2000 ne è intervenuta la trasformazione in società per azioni (prevista dal D.Lgs. n. 283 del 1998, art. 1, comma 6), con capitale interamente detenuto dal ministero dell’economia e delle finanze. Successivamente, nel 2001, l’attività di distribuzione dei tabacchi lavorati è stata ceduta ad Etinera s.p.a., a sua volta trasformatasi in Logista Italia s.p.a..

L’Amministrazione dei Monopoli di Stato, ora Agenzia delle dogane e dei monopoli, ha notificato nel 2007 a quest’ultima società l’avviso di accertamento prot. DAC/CTL/4602/07, col quale ha richiesto il pagamento della somma ivi indicata a titolo di accisa gravante su partite di tabacchi in sospeso, in quanto relative a furti avvenuti nel periodo 1 gennaio 1999-30 settembre 2002, che la contribuente ha impugnato.

All’avviso di accertamento hanno fatto seguito nel 2008 l’iscrizione a ruolo del medesimo importo, oltre ad indennità di mora, interessi per ritardato pagamento e compensi di riscossione, e la notificazione a s.p.a. Logista Italia della conseguente cartella di pagamento, dall’impugnazione delle quali è scaturito l’odierno giudizio.

La Commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso proposto dalla società e quella regionale ne ha rigettato l’appello.

Il giudice d’appello ha al riguardo osservato che Etinera e Logista Italia sono il medesimo soggetto giuridico, essendosi la prima trasformata nella seconda, che ne ha conservato numeri di partita Iva e d’iscrizione nel registro delle imprese, per conseguenza subentrando in tutti i rapporti attivi e passivi, che inizialmente facevano capo ad ETI; nel merito, ha ritenuto che la cartella sia adeguatamente motivata, in rispondenza alle indicazioni contenute nel D.M. 29 novembre 1985, nonchè che sia stata tempestivamente notificata.

Avverso questa sentenza propone ricorso. s.p.a. Logista Italia per ottenerne la cassazione, che affida a sette motivi, il secondo dei quali articolato in due censure, che illustra con memoria, cui replicano con controricorso il Ministero, l’Amministrazione dei monopoli e s.p.a. Equitalia Sud. Nel corso dell’udienza il difensore della società ha rinunciato al settimo motivo.

Diritto

1.- Va pronunciata l’inammissibilità del ricorso, là dove è proposto nei confronti del Ministero, estraneo ai gradi di merito del giudizio. La circostanza che il Ministero si sia costituito senza proporre alcuna eccezione in proposito comporta la compensazione delle relative voci di spesa.

2. Il ricorso esordisce con l’affermazione che “il presente contenzioso costituisce l’evoluzione, sul piano della riscossione dei tributi, di altro contenzioso inerente all’impugnazione dell’Avviso di accertamento” (di seguito anche “Atto presupposto”)…, del quale si è dato conto in narrativa.

Conviene rimarcare che anche in sentenza si legge che l’atto presupposto è “l’avviso di accertamento dell’8 giugno 2007…”; non risulta quindi documentata la ricostruzione del controricorso, secondo cui ricorre nella fattispecie un’ipotesi di riscossione coattiva mediante ruoli, in base alla quale l’ente impositore emette preventivamnete un’ingiunzione di pagamento, per poi procedere alla riscossione coattiva con l’emissione del ruolo e della cartella di pagamento.

2.1.- Ad ogni modo tutti i motivi di ricorso, con le precisazioni di seguito partitamente indicate, vanno esaminati alla luce della regola fissata dal secondo nucleo normativo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, in base alla quale “ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri”.

Per conseguenza, la cartella recante intimazione di pagamento di credito tributario avente titolo in un precedente avviso di accertamento notificato può essere contestata innanzi al giudice tributario ed essere invalidata solo per vizi propri, non già per vizi idonei ad infirmare l’avviso di accertamento presupposto (conf., in relazione alla medesima società contribuente, Cass. 16967/16). Analogo ragionamento vale per l’impugnazione del ruolo.

3.- Queste considerazioni fanno immediatamente giustizia del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso, con i quali, rispettivamente, la società, in tutti e tre i casi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta:

– la violazione e falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 2, anche in combinazione con l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, là dove il giudice d’appello ha affermato che il conferimento d’azienda ha comportato il trasferimento della soggettività d’imposta alla conferitaria – terzo motivo;

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., là dove il giudice d’appello non ha verificato il raggiungimento della prova della pretesa da parte dell’amministrazione, nè ha indagato sulla veridicità della circostanza concernente l’afferenza dei debiti dei quali si discute al conferimento azienda – quarto motivo;

– la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 15, L. n. 241 del 1990, art. 1 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, osservando che la cartella è stata notificata ben oltre il termine quinquennale previsto per l’esperimento dell’azione di accertamento -quinto motivo.

I tre motivi sono difatti inammissibili, perchè riguardano il merito della pretesa tributaria ed i tempi entro i quali essa va esercitata, coinvolgendo censure pertinenti all’atto presupposto.

Il che comporta anche il rigetto dell’istanza di riunione dell’odierno giudizio a quelli iscritti ai n. 3954/12, 4009/13 e 8202/15: l’istanza di riunione è basata sul fatto che tutti i giudizi evocano la questione della legittimazione passiva di Logista Italia; questione che nell’odierno giudizio è inammissibile.

5.- Anche l’esame del primo e del sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè connessi, con i- quali, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la società si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 14, anche in relazione all’art. 23 Cost., là dove il giudice d’appello ha trascurato che la contribuente, nella qualità di conferitaria d’azienda, è titolare di una responsabilità solidale, dipendente, limitata e sussidiaria, escutibile soltanto dopo l’inutile escussione del patrimonio dell’Ente conferente (primo motivo) e del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 2, deducendo che il trasferimento alla ricorrente delle obbligazioni tributarie relative alle partite in sospeso comprese nella dotazione attribuita alla s.p.a. ETI a seguito della privatizzazione dell’ETI viola, in mancanza di espressa norma di legge, l’art. 23 Cost. (sesto motivo), risente delle osservazioni che precedono, le quali richiedono, peraltro, alcune ulteriori precisazioni.

Va anzitutto respinta l’eccezione, proposta in controricorso dall’ufficio e sviluppata nel corso della discussione dal sostituto procuratore generale, d’inapplicabilità, già in tesi, dell’art. 14 del d.lgs. 472/97: secondo l’amministrazione, all’applicabilità della norma osta il fatto che “il conferimento d’azienda non è stato attuato tra soggetti privati a titolo oneroso”; il sostituto procuratore generale ha fatto leva allo stesso fine sul fatto che si verte su un processo di privatizzazione di un ente pubblico regolato per legge.

La materia giustiziabile è circoscritta in fatto a pretese riferite a poste che, secondo l’ufficio, pertengono al conferimento ad Etinera s.p.a. “del ramo d’azienda preposto al settore distributivo”, avvenuto nel 2001, quando l’Ente Tabacchi Italiani si era già trasformato in società per azioni.

La circostanza che l’ETI s.p.a. fosse interamente partecipata dal Ministero dell’economia non è di per sè di ostacolo all’applicabilità della normativa di diritto comune, nella quale s’inscrive anche il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14. Gli atti societari a valle della scelta di fOndo dell’ente pubblico di utilizzo del modello societario, difatti, restano interamente soggetti alle regole di diritto proprie del modello recepito (fra varie, Cass., sez.un., ord. 21588/13).

5.1.- Ciò posto, la complessa censura si snoda su due piani:

– uno riguarda i confini oggettivi della responsabilità della contribuente, nella qualità di conferitaria e comunque di cessionaria dell’azienda concernente la distribuzione dei tabacchi lavorati, ossia, in definitiva, la sua legittimazione passiva sostanziale;

– l’altro concerne l’operatività del beneficium excussionis stabilito in favore del cessionario d’azienda dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, nel testo applicabile all’epoca dei fatti di causa. Questa norma, speciale rispetto dell’art. 2560 c.c., comma 2 (Cass. 5979/14), ha contenuto complesso, delineando una responsabilità, oltre che sussidiaria, in ragione del riconoscimento del beneficium excussionis, altresì limitata nel quantum (entro il valore, della cessione) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi).

5.2.- L’identificazione della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione (Cass., sez. un., 2951/16).

La prospettazione della parte, tendendo a rimodulare la propria posizione debitoria nei confronti del fisco in maniera quantitativamente diversa o comunque più favorevole e, quindi, a contenere in tali limiti l’estensione e gli effetti della pronuncia giudiziale, trova la propria sede nel giudizio cognitorio avverso l’avviso di accertamento presupposto, col quale, invece, il fisco ha fatto valere illimitatamente la propria pretesa (vedi, in tema di -accettazione dell’eredità cOn beneficio d’inventario, Cass. 23061/15, la ricostruzione della quale è preferibile rispetto alla diversa soluzione di Cass., ord. 14847/15, secondo cui la questione può essere proposta con il ricorso – avverso la cartella di pagamento, una volta divenuto definitivo per omessa impugnazione l’atto impositivo prodromico).

D’altronde, hanno soggiunto le sezioni unite di questa Corte, la giurisdizione tributaria, avendo ad oggetto sia l’an, sia il quantum della pretesa tributaria, comprende anche l’individuazione del soggetto tenuto al versamento dell’imposta o dei limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato; ne consegue che qualora il contribuente adduca una limitazione della propria responsabilità deve farla valere come vizio proprio dell’atto impositivo (Cass. 7792/05, ripresa da sez. un., 7805/06).

5.3.- La censura è dunque inammissibile nella parte in cui è volta a far valere la limitazione della responsabilità di s.p.a. Logista Italia.

6.- A diverse conclusioni si deve pervenire in relazione al profilo della censura concernente l’operatività del beneficium excussionis, espressamente riconosciuto al cessionario dell’azienda dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 1.

Va premesso che l’impugnazione che ha originato l’odierna controversia ha ad oggetto ruolo e cartella: lo si evince dall’intestazione della sentenza impugnata, lo ribadisce la società in ricorso e lo riconosce l’ufficio in controricorso.

Irrilevante è, sul punto, la qualificazione dell’operazione intercorsa tra s.p.a. Eti e la società Etinera, successivamente trasformatasi in Logista Italia, come conferimento, anzichè come trasferimento d’azienda: sia il primo, sia il secondo configurano ò modalità di successione a titolo particolare, riconducibili al genus della cessione d’azienda, giacchè il conferimento d’azienda è una cessione dell’azienda sostenuta da causa societaria. Sia il conferimento, sia il trasferimento rinvengono allora la propria disciplina, sul piano della responsabilità tributaria, anche nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14 (in termini, Cass. 14169/13).

6.1.- Un consolidato indirizzo di questa Corte rimarca, in generale, che il beneficium excussionis ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore non può procedere coattivamente a carico del soggetto a vantaggio del quale è stabilito se non dopo aver agito infruttuosamente sui beni da escutere preventivamente, ma può premunirsi di un titolo esecutivo anche nei confronti di quel soggetto (tra varie, Cass. 4380/13; 1040/09; 3211/03).

L’orientamento è ripreso dalla giurisprudenza di questa sezione, che lo applica indiscriminatamente nel caso del procedimento di riscossione regolato dal D.P.R. n. 602 del 1973: si sostiene in particolare che la cartella di pagamento è atto conclusivo di un iter strumentale alla formazione del titolo esecutivo ed all’esercizio dell’esecuzione forzatà (Cass., ord. 12494/16; ord. 12839/15; 25764/14; ord. 49/14; un diverso orientamento emerge, peraltro, da precedenti più remoti, segnatamente da Cass. 10584/07 e 7000/03).

6.2.- Questo indirizzo, tuttavia, non tiene conto del fatto che la materia tributaria è segnata da rilevanti specificità, che ne determinano una deviazione dai principi generali.

Il legislatore ha difatti stabilito l’esclusione dalla giurisdizione tributaria delle controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento (comma 1, secondo nucleo normativo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2). Questa esclusione va combinata con la normativa sulla riscossione, la quale, pur avendo superato la pregressa totale esclusione delle opposizioni all’esecuzione e di quelle agli atti esecutivi nella materia, ne ha comunque fortemente limitato l’esperibilità, escludendo l’ammissibilità delle prime, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni ed ammettendo, quanto alle altre, le sole opposizioni relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo (del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, comma 1, lett. a) e b)).

Il che comporterebbe, seguendo la tesi maggioritaria sostenuta da questa sezione, che il contribuente non avrebbe alcuna possibilità di ottenere tutela in caso d’inosservanza del beneficium excussionis stabilito in proprio favore: non l’avrebbe in sede cognitiva, ma neanche l’avrebbe in sede esecutiva. L’opposizione con la quale si faccia valere il beneficium excussionis, poichè concerne una condizione dell’azione esecutiva nei confronti del contribuente titolare del beneficio, e, quindi, una condizione posta all’esercizio del diritto del fisco di agire esecutivamente ai suoi danni, configura opposizione all’esecuzione (in termini, in relazione al beneficium excussionis stabilito dall’art. 2304 c.c., vedi Cass. 23749/11) e quest’opposizione è preclusa dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, comma 1, lett. a).

6.3.- Giova sottolineare, tuttavia, che il legislatore ha scelto di riservare al giudice tributario la soluzione di ogni aspetto di rilievo sostanziale e procedurale correlato alla disciplina tributaria (da ultimo, Cass., sez. un., 8770/16, secondo cui l’attribuzione alle commissioni tributarie della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, si estende ad ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo, arrestandosi unicamente di fronte agli atti dell’esecuzione tributaria).

Di que-sta ratio si legge riscontro nella più recente pronuncia con la quale la Corte costituzionale (ord. 133/11), nuovamente interpellata sulla tenuta costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, ha dicbiarato la manifesta inammissibilità della questione proposta, nella parte in cui esclude la possibilità di presentare opposizione all’esecuzione, se non per ciò che concerne la pignorabilità dei beni. In quell’occasione, la corte ha segnalato che il contribuente ben avrebbe potuto opporre – evidentemente deducendo le doglianze malamente in quel caso veicolate nell’opposizione all’esecuzione – dinanzi al giudice tributario le intimazioni di pagamento che aveva ricevuto dopo la cartella.

Che in quel caso il contribuente potesse contestare le intimazioni di pagamento per violazione del beneficium excussionis è in realtà opinabile in base del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, essendo state notificate, tali intimazioni, successivamente alla cartella.

E’, invece, indubbio che il beneficium excussionis si possa, anzi, si debba opporre allorquando si riceva notificazione della cartella.

7.- Giusta il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, la notificazione della cartella “vale anche come notificazione del ruolo”.

Il ruolo è un elenco, formato dall’ente impositore in prospettiva della riscossione, che contiene i nominativi dei debitori e le somme dovute (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10). Questo elenco viene poi consegnato (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 24) all’agente della riscossione, che provvede alla predisposizione (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25) ed alla notificazione (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26) ai singoli contribuenti delle cartelle di pagamento. Ne deriva, hanno precisato le sezioni unite (Cass., sez. un., 19704/15), che il ruolo non solo è atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore, ma, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività dell’agente per la riscossione, della quale costituisce presupposto indefettibile.

Di qui discende una prima conseguenza: che l’iscrizione a ruolo avvenuta in violazione del beneficium excussionis, conformando l’attività di riscossione, è illegittima e che tale illegittimità, riguardando il presupposto indefettibile della predisposizione e della notificazione della cartella, si riverbera su di essa, determinandone un vizio proprio.

7.1.- La notificazione della cartella, peraltro, risponde, oltre che alla funzione di portare a conoscenza del contribuente l’estratto del ruolo al fine di far decorrere i termini per l’impugnazione, anche a quella prodromica all’esecuzione forzata.

La peculiarità del procedimento di riscossione delle imposte sta giustappunto nella sua sequenza procedimentale, la quale prevede:

-in luogo del titolo esecutivo, il ruolo formato dall’ente impositore (arg. del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 49, comma 1);

– in luogo del precetto, la cartella di pagamento (cfr. Cass. ord. n. 6721/12 ed altre; da ultimo, 384/16 e 18002/16) o l’avviso di mora o intimazione di pagamento (cfr. Cass. n. 13483/07, ord. n. 3374/12).

Come, in generale, dunque, la giurisprudenza non dubita che sia ammissibile impugnare l’atto di precetto per far valere il beneficio di preventiva escussione, senza dover attendere il pignoramento (vedi, in relazione all’art. 2304 c.c., Cass. 23749/11 e 15036/05), così, specularmente, non si può dubitare che, in materia tributaria, sia ammissibile impugnare la cartella per far valere il beneficio in questione.

Ciò che rileva, difatti, per verificare l’ammisSibilità della doglianza, non è il vizio che la parte deduce, bensì l’atto avverso il quale l’impugnazione è proposta: se ne legge implicita conferma nella giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte, secondo la quale l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., con la quale si fanno valere asseriti vizi della cartella di pagamento rientra nella competenza giurisdizionale del giudice tributario, in quanto il controllo della legittimità delle cartelle, configuranti atti di riscossione e non di esecuzione forzata, spetta a quel giudice in base alla previsione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 1 e art. 19, lett. d), quando le cartelle riguardino tributi (Cass., sez. un., 5994/12). A quel giudice spetta la cognizione di tutte le questioni relative ad atti che riguardino tributi, inerenti alla fase della riscossione (Cass., sez. un., 9840/11).

8.- Questa opzione è l’unica idonea a garantire tutela al contribuente in una fattispecie come quella in esame.

Ed è quindi l’unica altresì conforme all’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, secondo l’interpretazione che ne ha fornito la Cedu, la quale segnala che “l’obbligazione finanziaria nata dal prelevamento di imposte”, se impone alla persona un carico eccessivo, “può disconoscere la garanzia sancita da questa disposizione” (sentenza 16 marzo 2010, ricorso n. 16238/01, caso Di Belmonte c. Italia).

In definitiva, va affermato il seguente principio di diritto:

“In caso di ricorso al procedimento di riscossione mediante ruolo, legittimamente il contribuente fa valere il beneficium excussionis con l’ impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento”.

8.1.- Nel caso in esame, quindi, la censura è fondata, giacchè la Commissione tributaria regionale, là dove ha escluso la necessità della preventiva escussione, si è limitata a far leva sugli accordi tra cedente e cessionaria e, in particolare, sulla previsione “…che la società (Etinera poi Logista) diventerà titolare dei rapporti attivi e passivi, patrimoniali e non, afferenti all’attività in questione, nonchè delle relative responsabilità, ivi incluse quelle di natura fiscale…”; previsione, che, con evidenza, non tocca il beneficio in questione, il quale, anzi, postula la sussistenza della responsabilità solidale, configurandola come sussidiaria.

La sentenza va in conseguenza sul punto cassata, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, perchè riesamini la fattispecie alla luce dei principi enunciati, verificando, in relazione alle poste passive afferenti alla cessione d’azienda intercorsa tra s.p.a. ETI e s.p.a. Etinera, successivamente trasformatasi in s.p.a. Logista Italia, se sia stato, o no, rispettato il beneficium excussionis spettante alla cessionaria Logista Italia.

Nel contempo il giudice del rinvio regolerà le spese.

9.- Inammissibile è, invece, il secondo motivo di ricorso, in entrambe le censure in cui esso si articola, col quale la contribuente lamenta, rispettivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, là dove il giudice d’appello ha reputato correttamente motivata la cartella e l’insufficienza della motivazione, nel punto in cui la Commissione ha reputato superflua, ai fini della sufficienza della motivazione della cartella, l’indicazione delle ragioni giuridiche e quindi della fonte normativa dell’imputazione soggettiva dell’obbligazione tributaria, nonchè dei motivi di tale imputazione soggettiva.

E’ la stessa società a correlare in ricorso – nonchè in memoria – la cartella di pagamento al pregresso avviso di accertamento già impugnato.

Il che spoglia d’interesse ad agire la censura proposta, che scherma, invece, nuovamente la contestazione, parimenti inammissibile, volta ad affermare la limitazione della propria responsabilità.

9.1.- Va, sul punto ribadito che non è viziata da difetto di motivazione la cartella di pagamento, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione, finanche qualora non ne indichi gli estremi in modo esatto, allorchè la cartella sia stata impugnata dal contribuente, il quale abbia dimostrato, in tal modo, di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati; pertanto, non può ravvisarsi un difetto di motivazione nell’atto impositivo vincolato, che espressamente indichi gli anteriori avvisi di accertamento già notificati all’intimato ed in relazione ai quali sia pendente contenzioso (Cass. 2373/13).

10.- Ad ogni modo, la circostanza che l’impugnazione della cartella riguarda anche vizi propri di questa spoglia di ogni rilevanza l’eccezione di carenza di legittimazione passiva proposta dall’agente per la riscossione: ricorre difatti un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale tra concessionario ed ente impositore, poichè la pretesa della contribuente deve essere accertata nei confronti tanto del primo, essendo impugnato un atto che si assume viziato da omissione – data dall’affermato difetto di motivazione – allo stesso direttamente imputabile, quanto del secondo (Cass. 1462/2009).

PQM

la Corte:

dichiara inammissibile il ricorso, là dove è proposto nei confronti del Ministero e compensa le relative voci di spesa; dichiara inammissibili il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo ed il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata limitatamente al profilo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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