Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4954 del 02/03/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 02/03/2018, (ud. 06/02/2018, dep.02/03/2018),  n. 4954

Fatto

1. La società Villaggio Ombretta s.p.a. impugnava l’avviso di accertamento Ici per l’anno 2003 emesso dalla società SECAL s.p.a. per conto del Comune di Alghero relativamente ad un complesso immobiliare turistico – alberghiero. Sosteneva la ricorrente che per errore l’agenzia del territorio aveva provveduto all’accatastamento degli immobili destinati ad albergo come abitazioni private ed aveva attribuito loro la categoria catastale A/2 in luogo della categoria D e solo nel 2005 l’agenzia stessa, riconosciuto l’errore, aveva provveduto alla rettifica catastale attribuendo correttamente la categoria D. La SECAL S.p.A. per l’anno 2003 aveva utilizzato i dati catastali precedenti alla rettifica senza tener conto del fatto che il Comune era a conoscenza che si trattava di immobili adibiti ad attività alberghiera, avendo rilasciato la concessione edilizia per l’ampliamento ed avendo applicato la Tarsu sulla base dell’attività alberghiera esercitata. La commissione tributaria provinciale di Sassari rigettava il ricorso. Proponeva appello la contribuente e la commissione tributaria regionale della Sardegna, sezione staccata di Sassari, lo accoglieva sul rilievo che il Comune aveva a disposizione i documenti necessari per verificare la correttezza dell’iscrizione catastale avendo approvato il progetto di ampliamento, rilasciato diverse concessioni edilizie ed applicato l’imposta Tarsu riferita all’attività alberghiera. L’ente territoriale era, dunque, nelle condizioni di riscontrare l’errore di accatastamento e di chiedere la correzione alla stessa agenzia del territorio.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la società SECAL S.p.A. affidato ad un motivo. La contribuente si è costituita in giudizio, depositando copia del mandato rilasciato al difensore, al solo fine di partecipare all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c..

3. Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2. Sostiene che la norma prevede che le risultanze catastali sono efficaci a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale le modifiche sono state annotate negli atti catastali. Nel caso di specie la modifica operata dall’agenzia del territorio nel 2005 aveva avuto luogo poichè il contribuente aveva richiesto non solo l’attribuzione di una nuova destinazione d’uso rispetto quella richiesta ma anche la soppressione e fusione di fabbricati. Erano state richieste, dunque, modifiche ulteriori rispetto al classamento sicchè non si trattava di un errore nell’inserimento di dati compiuti dall’agenzia del territorio e la rettifica operata dall’agenzia del territorio non poteva avere valore retroattivo.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Osserva la Corte che il ricorso è infondato. La CTR, con accertamento di fatto congruamente motivato, ha rilevato che la richiesta di accatastamento presentata nel 1993 dalla società contribuente non consentiva di individuare l’intendimento dei richiedenti di chiedere l’accatastamento come residenze da collocare nella categoria A mentre risultava che si trattava di variazione planimetrica per ampliamento con allegati il tipo mappale e l’elaborato planimetrico relativo ad albergo, piscina, negozio e vari subalterni corrispondenti ad appartamenti e scale. Ed ha altresì rilevato che, non solo l’inserimento catastale ed il classamento erano stati fatti in assenza di sopralluogo ma che, in ogni caso, dai documenti depositati si evinceva che si trattava di residenza turistico alberghiera e che solo nel 2005 l’agenzia del territorio, dopo la proposizione del ricorso contro l’accatastamento da parte del contribuente, aveva eseguito il sopralluogo sull’immobile ed aveva attribuito la categoria catastale D. Si trattava di un errore di cui il Comune avrebbe dovuto essere a conoscenza per aver rilasciato la concessione edilizia ed aver correttamente applicato la Tarsu, sicchè avrebbe dovuto applicare l’Ici calcolandola sulla base della effettiva destinazione turistico alberghiera degli immobili.

La decisione che consegue, in punto di operatività ex tunc della variazione catastale ai fini del calcolo della base imponibile per l’ICI dovuta per l’anno 2003 con riferimento agli immobili di proprietà della ricorrente è conforme, pertanto, al principio di diritto espresso in materia dalla Corte di legittimità, secondo cui “in tema di ICI, la regola desumibile dal D.Lgs. n. 504 del 1992, succitato art. 5, comma 2, secondo il quale le variazioni delle risultanze catastali hanno efficacia, ai fini della determinazione della base imponibile, a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali, non si applica al caso in cui la modificazione della rendita catastale derivi dalla rilevazione di errori di fatto compiuti dall’ufficio nell’accertamento o nella valutazione delle caratteristiche dell’immobile esistenti alla data in cui è stata attribuita la rendita, in quanto il riesame di dette caratteristiche da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l’attribuzione di una diversa rendita con decorrenza dall’originario classamento rivelatosi erroneo o illegittimo” (Cass. n. 16241 del 31/07/2015; Cass. n. 13018 del 24/7/2012; Cass. n. 27906 del 30/12/2009).

2. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo in relazione all’attività difensiva svolta, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla contribuente le spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2018

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