Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4951 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/02/2017, (ud. 20/01/2017, dep.27/02/2017),  n. 4951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10280/2013 proposto da:

F.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO 44 SC. A-7, presso lo studio dell’avvocato CARLA

MARIA GENTILI, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

e contro

MELIORBANCA SPA O MELIORBANCA GALLO & C. SPA, ALMA SUD SRL,

EQUITALIA SUD SPA, M.L., EQUITALIA POLIS SPA,

P.F., Q.G., MILANO ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il

11/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. LUCIO

CAPASSO che ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo con

l’assorbimento degli altri;

Lette le memorie di parte ricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ordinanza dell’11/10/2012, il Giudice monocratico del Tribunale di Campobasso rigettava l’opposizione proposta da F.A. avverso il decreto di liquidazione dei compensi professionali emesso dal GE in data 9/2/2012 nella procedura n. 104/2008 R.G.Es.

Ad avviso del Tribunale era corretta la liquidazione operata con il riferimento al D.M. 30 maggio 2002, art. 13 e che occorreva altresì fare applicazione del principio dell’unicità dell’incarico, con la conseguenza che la liquidazione effettuata ai sensi della citata previsione non era cumulabile con la liquidazione in base agli artt. 11 e 12 del medesimo D.M., nè con il criterio sussidiario delle vacazioni. Inoltre la stima andava compiuta prendendo in considerazione il complesso dei beni oggetto della perizia, e non già in base al valore di ogni singolo lotto.

Inoltre non ricorrevano i presupposti per l’aumento del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 52 e le spese vive non risultavano documentate nella misura richiesta con la specifica.

Avverso tale provvedimento propone ricorso F.A. sulla base di sei motivi, mentre gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 49, 50 e 51, nonchè del D.M. 30 maggio 2002, artt. 1, 11, 12, 13 e 29, sostenendosi che erroneamente l’ordinanza impugnata ha ritenuto corretta la liquidazione in base al solo art. 13 del D.M., escludendo la possibilità di cumulo con le previsioni degli altri articoli.

In particolare si sarebbe trascurato il fatto che l’attività del consulente era avvenuta in adempimento di una pluralità di incarichi, che implicavano quindi la diversa liquidazione in base alle varie previsioni tariffarie interessate.

Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 49, 50 e 51 e del D.M. 30 maggio 2002, artt. 11 e 13, in quanto, anche a volere accedere alla tesi della non cumulabilità dei compensi in base alle due diverse previsioni, in applicazione del principio della prevalenza, si sarebbe dovuto provvedere alla liquidazione secondo quanto disposto dall’art. 11.

Il terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 49, 50 e 51 e del D.M. 30 maggio 2002, artt. 1 e 13, laddove il giudice di merito ha provveduto ad una liquidazione riferita al complesso dei beni e non già distintamente per ognuno dei lotti, non tenendosi conto delle autonome caratteristiche valutative dei cespiti che erano stati inseriti nei vari lotti, e che avevano comportato delle autonome attività estimative.

Il quarto motivo denunzia la nullità dell’ordinanza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione e dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche relativamente al mancato riconoscimento dell’aumento dei compensi ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 52, in quanto sebbene si tratti di un potere discrezionale del giudice, è pur sempre necessario che il giudice motivi circa le ragioni per le quali intende negare l’applicazione della norma.

Il quinto motivo denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, relativamente sempre al mancato riconoscimento del raddoppio di cui al menzionato art. 52, in quanto il Tribunale non avrebbe considerato tutte le circostanze che, come evidenziato dal ricorrente, avrebbero giustificato l’applicazione della previsione in oggetto.

Infine con il sesto motivo si denunzia la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., n. 4, in quanto la decisione gravata sarebbe di fatto priva di motivazione in ordine alle ragioni per le quali non era possibile cumulare i compensi di cui al D.M. 30 maggio 2002, art. 13, con quelli di cui all’art. 11 dello stesso testo normativo.

I primi due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la connessione delle questioni che pongono, sono infondati e devono essere disattesi.

Il ricorrente è stato nominato come perito nell’ambito di una procedura esecutiva per le finalità di cui all’art. 568 c.p.c., sicchè deve ritenersi corretta la liquidazione dei suoi compensi effettuata facendo applicazione della previsione di cui al D.M. 30 maggio 2002, art. 13, il quale così dispone:

art. 13.

Per la perizia o la consulenza tecnica in materia di estimo spetta al perito o al consulente tecnico un onorario a percentuale calcolato per scaglioni sull’importo stimato:

fino a Euro 5.164,57, dall’1,0264% al 2,0685%;

da Euro 5.164,58 e fino a Euro 10.329,14, dallo 0,9316% all’1,8790%; da Euro 10.329,15 e fino a Euro 25.822,84, dallo 0,8369% all’1,6895%; da Euro 25.822,85 e fino a Euro 51.645,69, dallo 0,5684% all’1,1211%; da Euro 51.645,70 e fino a Euro 103.291,38, dallo 0,3790% allo 0,7579%;

da Euro 103.291,39 e fino a Euro 258.228,45, dallo 0,2842% allo 0,5684%;

da Euro 258.228,46 fino e non oltre Euro 516.456,90, dallo 0,0474% allo 0,0947%.

Nel caso di stima sommaria spetta al perito o al consulente tecnico un onorario determinato ai sensi del comma precedente e ridotto alla metà; nel caso di semplice giudizio di stima lo stesso è ridotto di due terzi.

E’ in ogni caso dovuto un compenso non inferiore a Euro 145,12.

Il corretto inquadramento dell’incarico espletato dal F. nella norma in esame trova poi conferma nella giurisprudenza di questa Corte che in passato ha avuto modo di precisare che (cfr. Cass. n. 10670/2001) per la determinazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, cui sia stato conferito l’incarico di valutare beni agli effetti dell’espropriazione forzata, si deve ricorrere al sistema di liquidazione degli onorari a percentuale indicato dal d.P.R. n. 352 del 1988, tenendo conto del valore obiettivo dei beni, determinato in base al combinato disposto degli artt. 1 e 13 D.P.R. cit..

L’attività compiuta dall’esperto, in questo caso, deve ritenersi di stima nel senso pieno del termine, perchè egli non si deve fermare ad indicare quello che è il possibile prezzo di vendita, ma deve cercare e descrivere gli elementi di identificazione degli immobili, i quali sono gli unici ad essere tenuti presente da coloro che partecipano alle operazioni di vendita ed assicurano un buon fine della vendita. Si può, quindi, dire che, in generale, l’onorario dell’esperto in materia di espropriazione immobiliare è quello di stima piena e non di stima sommaria, la quale non presuppone la completezza dell’indagine prima indicata, e, meno che mai, di semplice giudizio di stima, il quale è quello reso oralmente o senza particolari approfondimenti.

Non ignora il Collegio che secondo Cass. n. 7174/2010, anche in relazione all’attività estimativa svolta in sede esecutiva, il principio di onnicomprensività dell’onorario sancito dal D.M. 30 maggio 2002, art. 29, riguarda le attività complementari ed accessorie che, pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell’incarico, risultano tuttavia strumentali all’accertamento tecnico, e non trova applicazione in presenza di una pluralità di indagini non interdipendenti, che presuppongono necessariamente una pluralità di incarichi di natura differente, come nel caso di richiesta di rilievi topografici e planimetrici da un lato, e di attività di stima dei beni dall’altro che, in quanto previsti distintamente dagli artt. 12 e 13, comportano una liquidazione autonoma del compenso, tuttavia alla luce di quanto emerge dagli atti e dalla stessa prospettazione del ricorrente deve escludersi che nella vicenda in esame ricorra il conferimento di una pluralità di incarichi.

Ed invero le attività richieste al ricorrente dal GE, ed elencate in ricorso alla pag. 20, consistenti nella puntuale individuazione dei beni pignorati anche dal punto di vista catastale, nel riscontro di eventuali trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli (dati peraltro che già avrebbero dovuto emergere dalla documentazione allegata dal creditore all’istanza di vendita ex art. 567 c.p.c.), nella verifica della regolarità urbanistica dei beni pignorati e nella presenza di eventuali occupanti, nel riscontro di oneri o vincoli anche di natura condominiale, lungi dal configurare un incarico autonomo rispetto a quello concernente la stima del bene, sono appunto verifiche imposte al fine di rendere la stima, come sopra detto, piena e non sommaria, atteso che le circostanze relativamente alle quali era stata richiesta l’indagine del perito miravano proprio a fornire un quadro completo della situazione immobiliare, in vista della loro possibile incidenza sul prezzo di vendita.

La decisione impugnata deve quindi reputarsi incensurabile nella parte in cui ha ritenuto di dover liquidare i compensi all’ausiliario in base al solo art. 13, non ponendosi quindi alcun problema di concorso con altre previsioni tariffarie (e quindi di valutazione di prevalenza di un incarico rispetto ad un altro in realtà non conferito).

Le suesposte considerazioni danno altresì contezza dell’infondatezza del sesto motivo di ricorso con il quale la decisione gravata viene censurata anche in relazione al preteso difetto di motivazione.

Giova a tal fine ricordare che alla fattispecie trova applicazione la novellata previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, così come modificata dalla L. n. 134 del 2012, la quale nell’autorevole interpretazione offertane dalle Sezioni Unite, ha imposto una riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

Nel caso di specie il giudice di merito, sebbene con motivazione sintetica, ha chiaramente espresso le proprie ragioni circa la natura unica dell’incarico conferito, evidenziando che a suo avviso non ricorrevano i presupposti per la concorrente applicazione delle diverse previsioni tariffarie di cui agli artt. 11 e 12.

Ad avviso del Collegio merita invece accoglimento il terzo motivo di ricorso.

Ed, invero emerge che la stima effettuata dal ricorrente ha avuto ad oggetto beni non solo ubicati in diversi comuni, ma soprattutto aventi caratteristiche oggettive profondamente differenti.

In tal senso la valutazione ha riguardato immobili e terreni, e sia tra i primi che tra i secondi, si è riscontrata una differente destinazione e funzionalità, rinvenendosi la presenza di un complesso industriale destinato alla produzione di prosciutto cotto, un immobile destinato all’allevamento di suini, terreni siti in area boschiva, ovvero terreni adibiti a pascoli di montagna.

In ragione delle differenti caratteristiche i vari beni periziati sono stati suddivisi in sei lotti, idonei a raggruppare i beni aventi caratteristiche omogenee.

Orbene a fronte di tale quadro pacificamente emergente dagli atti di causa, deve richiamarsi il più recente orientamento di questa Corte che superando il contrasto in precedenza manifestatosi (per la giurisprudenza che optava per la unicità dell’incarico, a prescindere dalla omogeneità degli immobili, si veda Cass. n. 174/2003), ha invece sostenuto che (cfr. Cass. n. 6892/2009) in favore del consulente tecnico cui sia stato affidato l’incarico di procedere ad attività di estimo di più immobili si deve liquidare, alla stregua dell’art. 13 delle tabelle di cui al D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 – “ratione temporis” vigente – un compenso che faccia riferimento all’importo stimato diviso per scaglioni; tuttavia, in caso di immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, l’importo stimato atterrà alla stima cumulativa dell’insieme, mentre, in caso di pluralità di immobili diversi tra loro, per ciascuno di essi dovrà procedersi ad un’autonoma determinazione, nel limite del massimo scaglione di un miliardo di Lire.

Tale principio è in seguito costantemente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 18070/2010; Cass. n. 5325/2016) dovendosi quindi ritenere corretto il criterio che impone il raggruppamento delle unità immobiliari aventi analoghe caratteristiche.

Ove quindi vengano in questione immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, per definire le quali il consulente debba effettuare operazioni ripetitive, l’importo stimato è quello che attiene alla stima cumulativa di detto insieme; in presenza, invece, di una pluralità di immobili diversi tra loro, l’importo stimato è quello corrispondente ad ogni singola stima di immobile che abbia autonome caratteristiche valutative.

A tali principi non risulta essersi attenuto il giudice del merito, e pertanto il provvedimento deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Campobasso in persona di diverso magistrato per una nuova decisione che tenga conto dei suesposti criteri.

L’accoglimento del motivo ora esaminato, con la necessità di procedere ad una nuova stima sulla base dei criteri indicati, determina poi l’assorbimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, che investono nello specifico il mancato riconoscimento del raddoppio del compenso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 52, dovendo reputarsi rimessa alla valutazione del giudice del rinvio anche la verifica della ricorrenza per la concessione del raddoppio richiesto.

Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta il primo, secondo e sesto motivo, assorbiti il quarto ed il quinto, cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Campobasso in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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