Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4950 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 25/02/2020), n.4950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1767-2019 proposto da:

V.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

MASSIMO CARLO SEREGNI, TIZIANA ARESI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 26/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano con decreto n. cronol. 3972/2018, depositato in data 26/07/2018, ha respinto la richiesta di V.M., cittadino della Nigeria, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, il Tribunale, all’esito dell’udienza di comparizione delle parti, in assenza di videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, e di audizione del richiedente, ha ritenuto che la vicenda narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare la Nigeria in quanto cristiano, essendo stato minacciato dagli adepti di un culto segreto, gli (OMISSIS), alla morte del padre che ne faceva parte, per essersi rifiutato di seguire le tradizioni di tale setta) non era credibile, essendo il racconto intriso di lacune e contraddizioni, stereotipato e generico; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente (l’Edo State) non risultava interessata da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come risultava da (OMISSIS)); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, in difetto di situazioni di vulnerabilità oggettive, con riguardo alla situazione nell’area di provenienza, e di un percorso di integrazione avviato in Italia (essendo stata documentata solo la titolarità di un rapporto di lavoro a tempo determinato, prorogato sino a fine dicembre 2018).

Avverso il suddetto decreto, V.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non avendo la Corte d’appello applicato correttamente i parametri legali per la valutazione della credibilità del ricorrente; con il secondo motivo, è denunziata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, non avendo la Corte d’appello acquisito le informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica della Nigeria da cui emergerebbe un quadro drammatico che esponeva a pericolo il ricorrente in caso di rimpatrio.

2. La prima censura è inammissibile.

Questa Corte ha recentemente chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie nemmeno prospettato) come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019). Sempre questa Corte, peraltro, ha evidenziato che l’accertamento del giudice di merito deve avere anzitutto ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33139 del 2018).

3. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Da ultimo questa Corte ha precisato (Cass. 27503/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati” (conf. Cass.29358/2018). Inoltre, come chiarito sempre da questa Corte (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, essendo evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal D.Lgs. n. 251 del 2007, già cit. art. 3, comma 5.

Il Tribunale ha anche motivatamente escluso – facendo riferimento alle fonti internazionali – che la zona di provenienza del ricorrente sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. La doglianza in esame, a fronte del giudizio, espresso nel provvedimento impugnato, di esclusione del pericolo per il richiedente di un danno grave o individuale alla vita o alla persona derivante dal contesto di violenza indiscriminata nell’area di provenienza, sulla base di fonti informative individuate specificamente, risulta anzitutto del tutto astratta e generica e comunque mira nella sostanza a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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