Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4946 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/02/2017, (ud. 19/01/2017, dep.27/02/2017),  n. 4946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25932/2012 proposto da:

B.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato BENEDETTO GRAZIOSI;

– ricorrente –

contro

COMUNE BUDRIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA N.2,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FEDERICO GUALANDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 428/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

uditi l’Avvocato Graziosi e l’Avvocato Coleine per delega

dell’Avvocato Gualandi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 7 ottobre 1997 B.N. conveniva il Comune di Budrio davanti al Tribunale di Bologna ed esponeva:

– che con contratto in data 16 luglio 1973 Z.A., dante causa e marito di essa attrice, poi deceduto, aveva venduto al Comune di Budrio un terreno di mq. 26.562, costituente porzione del Podere (OMISSIS);

– che il Comune di Budrio si era contestualmente impegnato a destinare il terreno acquistato alla realizzazione di impianti sportivi (clausola n. 3 del contratto 16 luglio 1973: “dichiara ad ogni effetto di legge che la porzione di podere acquistata verrà destinata all’insediamento di impianti sportivi”);

– che, invece, il Comune di Budrio, con delibera di variante del Piano Regolatore Generale adottata il 10 luglio 1996, aveva poi destinato tale area ad edificazione residenziale e servizi.

L’attrice B.N. chiedeva, pertanto, che venisse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento, con condanna del Comune di Budrio alla restituzione del terreno ed al risarcimento dei danni; in via subordinata, previo accertamento dell’inadempimento da parte del Comune degli obblighi contrattualmente assunti, chiedeva che lo stesso venisse condannato al risarcimento dei danni, pari al maggior valore del terreno.

Il Comune di Budrio resisteva alla domanda, eccependo in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. ed in via preliminare la prescrizione del diritto di credito azionato; nel merito, l’ente convenuto contestava il fondamento della domanda.

Il Tribunale di Bologna, con sentenza in data 23 marzo 2000, riteneva sussistente la giurisdizione dell’A.G.O., ma rigettava la domanda per intervenuta prescrizione.

B.N. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 28 maggio 2002. I giudici di secondo grado, esclusa la prescrizione, ritenevano non di meno che la clausola invocata dall’attrice (in base alla quale il Comune aveva dichiarato che “…la porzione di podere acquistata verrà destinata all’insediamento d’impianti sportivi”) non conteneva un obbligo privatistico di destinazione urbanistica, quanto la mera constatazione della destinazione già in essere, giacchè per l’area venduta era stata già prevista l’utilizzazione come campo sportivo con la delibera di acquisto della stessa e di finanziamento della spesa in data 30 ottobre 1972. Pertanto, a dire della Corte d’Appello di Bologna, l’espressione adoperata nel contratto del (OMISSIS) andava, “corretta e letta in quella appropriata dichiara che la porzione di podere è stata destinata corrispondente alla realtà storica”.

Ciò in quanto l’assunzione da parte del Comune di un’obbligazione di natura privatistica nel senso indicato da B.N. avrebbe richiesto l’adozione di una formula ben più significativa, quale “si impegna”, “si obbliga”, senza limitarsi ad una mera dichiarazione ripetitiva dell’indiscusso vincolo urbanistico dell’area.

B.N. proponeva ricorso per cassazione, il cui primo e quinto motivo venivano accolti da questa Corte, con sentenza 27 luglio 2006, n. 17117, in ordine all’omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè alla violazione dei criteri interpretativi costituiti dalla lettera del contratto, dal comportamento delle parti, dalla valutazione sistematica delle clausole. La Corte di Cassazione affermava che la sentenza 28 maggio 2002 della Corte di Appello di Bologna aveva omesso di spiegare in modo convincente “come la lettera della clausola, inequivoca nel senso di prevedere un obbligo (“verrà destinata”) potesse essere considerata effetto di un mero errore lessicale ed essere interpretata (diventando inutile) nel senso di dare semplicemente atto di una destinazione già operante”. La sentenza rescindente di questa Corte sottolineava altresì come i giudici di merito avessero “omesso di considerare che una determinata destinazione di un terreno non può essere ricollegabile ad una manifestazione di volontà in tal senso espressa nella delibera di acquisto, la quale ha un semplice valore programmatico, essendo necessaria una variante allo strumento urbanistico”. L’accoglimento di tali due censure comportava l’assorbimento del secondo, terzo e quarto motivo, con i quali B.N. denunciava l’omessa adeguata considerazione del fatto che la clausola di cui sopra era stata inserita nella nota di trascrizione della vendita, nonchè del prezzo di vendita, e poi rilevava la contraddizione tra la declaratoria di infondatezza dell’eccezione di prescrizione del diritto vantato dall’attrice e la contestuale esclusione della stessa esistenza della pretesa. Cassata la sentenza 28 maggio 2002 della Corte di Appello di Bologna e riassunta la causa da B.N., la medesima Corte di Bologna, quale giudice del rinvio, con sentenza n. 428/2012 del 16 marzo 2012, rigettava nuovamente le domande di B.N. nei confronti del Comune di Budrio. La sentenza del giudice del rinvio sostiene che “nel contratto di compravendita stipulato tra le parti non è presente una specifica clausola contrattuale con la quale il Comune si assume l’obbligo di destinare per sempre il terreno oggetto di compravendita all’insediamento di impianti sportivi”.

B.N. ha proposto ricorso articolato in ventuno motivi, sviluppati da pagina 11 a pagina 67, cui resiste con controricorso il Comune di Budrio. Ricorrente e controricorrente hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso di Natalina Bisognin deduce la violazione dell’art. 384 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata contrasterebbe con la sentenza di cassazione n. 17117/2006, avendo negato l’esistenza inequivoca di un obbligo di destinazione assunto dal Comune.

Il secondo motivo del ricorso di B.N. deduce la violazione dell’art. 384 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata non sarebbe partita da un esame letterale della clausola n. 3 del contratto (OMISSIS).

Il terzo motivo deduce violazione dell’art. 1362 c.c., per mancata applicazione del criterio letterale di interpretazione.

Il quarto motivo di ricorso censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, non essendo spiegata dalla Corte di Bologna la ragione della mancata interpretazione letterale della clausola oggetto di lite.

Il quinto motivo di ricorso censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, non essendo spiegato dalla Corte di Bologna lo scopo pratico della clausola n. 3.

Il sesto ed il settimo motivo del ricorso deducono la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ed il mancato esame delle risultanze processuali, quanto al rilievo della condotta dei contraenti, i quali avevano riconosciuto la vincolatività della pattuizione in esame.

L’ottavo ed il nono motivo di ricorso deducono ancora la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quanto al mancato esame del metodo sistematico ex art. 1363 c.c..

Decimo ed undicesimo motivo di ricorso censurano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, circa l’inserimento nella nota di trascrizione con la qualificazione di “patto speciale” della dichiarazione sulla destinazione del bene.

I motivi dal dodicesimo al ventunesimo sono formulati in via subordinata.

Il dodicesimo ed il tredicesimo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1371 c.c., in relazione alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e segg., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quanto alla congruità del prezzo di negoziazione rispetto al valore di mercato del terreno.

Il quattordicesimo motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quanto alla necessità di raffrontare il prezzo di vendita con l’indennizzo che Z.A. avrebbe conseguito se avesse atteso l’acquisizione dell’area mediante procedimento ablatorio.

Il quindicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione del giudicato implicito sulla questione della nullità del contratto e delle conseguenti preclusioni in sede di giudizio di rinvio, giacchè nei gradi precedenti non era mai stata posta in dubbio la validità del contratto.

Il sedicesimo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 183 c.c., atteso che la questione dell’ipotetica nullità della clausola n. 3 avrebbe imposto ai giudici di provocare sul punto il contraddittorio tra le parti.

Il diciassettesimo ed il diciottesimo motivo di ricorso denunciano violazione dell’art. 1367 c.c., anche in combinato con gli artt. 1419 e 1421 c.c.. Si assume che la sentenza impugnata abbia prescelto un’interpretazione della clausola n. 3 tale da privare la stessa di ogni effetto, e non abbia considerato che la nullità della stessa pattuizione avrebbe potuto comportare la nullità dell’intero contratto.

Il diciannovesimo ed il ventesimo motivo di ricorso denunciano la violazione del giudicato interno formatosi con la sentenza di primo grado e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla circostanza che l’obbligo di destinazione dell’area ad impianti sportivi non avrebbe privato il Comune di Budrio dei suoi poteri pubblici di gestione del territorio, ma avrebbe inciso unicamente sul piano privatistico del trasferimento, determinando la risoluzione del contratto per inadempimento del compratore.

Il ventunesimo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1354 e 1379 c.c., nonchè della L. n. 2359 del 1865, artt. 60 e segg. e L. n. 865 del 1971, art. 12, in tema di espropriazione e cessione bonaria.

2. E’ necessario un esame congiunto dei ventuno motivi di ricorso, in quanto tra loro logicamente connessi, ed inerenti dapprima ai limiti posti al giudice di rinvio e poi alla verifica dell’operazione interpretativa dell’operazione negoziale contenuta nella sentenza impugnata.

L’assunto essenziale di B.N., esplicitato soprattutto in quest’ultima sede processuale nei motivi diciannovesimo e ventesimo di ricorso, è che, una volta conclamato l’obbligo negoziale del Comune di Budrio di destinare la porzione di podere acquistata col contratto (OMISSIS) all’insediamento di impianti sportivi, in forza della clausola n. 3 dello stesso, il mutamento di destinazione urbanistica impresso dopo ventitre anni con la Delib. Municipale 10 luglio 1996, in area per edilizia residenziale e servizi avrebbe inevitabilmente comportato un inadempimento da stimare quale causa di risoluzione o di risarcimento del danno.

La sentenza resa dalla Corte d’Appello di Bologna in data 16 marzo 2012 ha affermato che nel contratto di compravendita stipulato tra le parti non fosse presente “una specifica clausola contrattuale con la quale il Comune” avesse assunto “l’obbligo di destinare per sempre” la porzione del (OMISSIS) all’insediamento di impianti sportivi. Essa ha poi aggiunto che l’atto di compravendita contenesse in tal senso una semplice dichiarazione unilaterale dall’ente pubblico, da collocare all’esterno dei contrapposti obblighi delle parti uniti nel vincolo della sinallagmaticità. Il giudice di rinvio ha tratto argomento del proprio convincimento interpretativo anche dalla circostanza che il prezzo di alienazione corrispondesse al valore di mercato del terreno. La sentenza impugnata ha ancora ritenuto che, ad intendere che il Comune di Budrio avesse altrimenti assunto “un obbligo assoluto ed indeterminato”, si sarebbe dato luogo alla “nullità prevista dall’art. 1354 c.c., poichè in alcun caso l’ente locale avrebbe potuto limitare con uno strumento privatistico ed in modo così vincolante e permanente, senza alcun limite di tempo, i propri poteri di gestione del territorio, corrispondenti ad un interesse pubblico certamente prevalente su quello privato, interesse pubblico confermato in concreto dall’assenza di impugnazioni in sede amministrativa della variante edificatoria deliberata dal Comune e posta dall’attrice a fondamento della sua azione”. Esclusa la validità di un obbligo che comportasse “limiti cosi penetranti ed incisivi della disponibilità del bene acquisito, come quelli pretesi dall’attrice”, la Corte di Bologna ha dunque reputato che nei ventitre anni trascorsi dalla stipula del contratto di acquisto fino alla data di adozione della variante edificatoria si fosse in qualche modo verificato “l’esaurimento della portata precettiva ed obbligatoria del preteso vincolo inserito nel contratto di compravendita del terreno”.

La statuizione finale della sentenza della Corte d’Appello di rigetto della domanda proposta da B.N. è comunque rispettosa dei limiti posti al giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, dalla sentenza rescindente di questa Corte del 27 luglio 2006, n. 17117. La sentenza del 27 luglio 2006, n. 17117, accogliendo il ricorso sia per vizi di motivazione, sia per violazione di legge con riguardo ai criteri di interpretazione del contratto, aveva deciso che la “lettera della clausola” fosse “inequivoca nel senso di prevedere un obbligo (“verrà destinata”)” e che non poteva “essere interpretata (diventando inutile) nel senso di dare semplicemente atto di una destinazione già operante”. La stessa sentenza di cassazione aveva affermato che per imprimere una determinata destinazione al terreno non poteva bastare la “manifestazione di volontà in tal senso espressa nella Delib. di acquisto” (…) “essendo necessaria una variante allo strumento urbanistico”.

Quando allora, come nel caso in esame, la sentenza di cassazione abbia accolto il ricorso sia per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che per vizi di motivazione, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre a tener conto, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, del principio enunciato dalla cassazione (non in via meramente astratta, ma agli effetti della concreta decisione della lite), può certamente comportare altresì la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonchè estrinsecarsi nella valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione, sia pur sempre nel rispetto delle decadenze e preclusioni pregresse (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6707 del 06/04/2004; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17790 del 07/08/2014).

In tal senso, il giudice di rinvio non ha posto in discussione la questione dell’astratta sussistenza di un obbligo, assunto dal Comune di Budrio nel contratto (OMISSIS), di destinare la porzione di podere acquistata all’insediamento di impianti sportivi, ma ha, piuttosto, proceduto ad un apprezzamento complessivo del contenuto negoziale, in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata.

Convincentemente, pertanto, la Corte d’Appello di Bologna, ha affermato che il Comune di Budrio non avesse assunto “un obbligo assoluto ed indeterminato”, intendendo scongiurare un’interpretazione del programma obbligatorio che comportasse un vincolo “permanente, senza alcun limite di tempo” dei “poteri di gestione del territorio, corrispondenti ad un interesse pubblico certamente prevalente su quello privato”. Il convincimento interpretativo espresso dai giudici di rinvio è stato, dunque, quello di constatare, per effetto dei ventitre anni intercorsi tra il contratto di acquisto e l’adozione della variante edificatoria, il verificarsi di un “esaurimento della portata precettiva ed obbligatoria del preteso vincolo inserito nel contratto di compravendita del terreno”.

In sostanza, pur ravvisato l’obbligo di natura contrattuale assunto dal Comune di Budrio nel negozio del (OMISSIS), consistente nella destinazione della porzione del (OMISSIS) vendutogli da Z.A. all’insediamento di impianti sportivi, la sentenza impugnata ha escluso che la successiva Delib. Comunale 10 luglio 1996, con cui l’amministrazione locale approvava una variante al Piano Regolatore Generale e destinava l’area ad edilizia residenziale, potesse valere come inadempimento causa di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., o come illecito fonte di risarcimento dei danni.

La decisione adottata nella sentenza impugnata è così conforme all’orientamento più volte espresso da questa Corte, secondo il quale, nel caso in cui un privato venda un immobile con l’obbligo del Comune acquirente di destinarlo ad un determinato servizio pubblico (nella specie, mediante realizzazione di impianti sportivi), e, successivamente, il Comune ne modifichi la destinazione per realizzarvi insediamenti residenziali, non ricorrono proprio i presupposti per dichiarare risolto per inadempimento il contratto, ravvisandovi una grave alterazione dell’equilibrio giuridico-economico del negozio in pregiudizio del venditore. Invero, tale compravendita, seppure costituisse il momento attuativo di una convenzione urbanistica (non consentendo di distinguere tra un provvedimento amministrativo, cui imputare gli effetti conformativi del territorio, ed un atto negoziale, con cui vengono regolate le obbligazioni dei privati contraenti), non priva il Comune del potere di imprimere alle aree acquistate una diversa destinazione, la quale è situazione dipendente dalla volontà dello stesso ente locale e rientrante nei poteri pubblicistici dello stesso. Una siffatta convenzione, infatti, nonostante eventuali patti contrari, non può non lasciare integra la potestà pubblicistica del Comune in materia di disciplina del territorio e di regolamentazione urbanistica, ivi compresa la facoltà di liberarsi dal vincolo contrattuale, alla stregua di esigenze sopravvenute o per l’adeguamento a modifiche normative (si vedano Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17698 del 14/08/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11208 del 28/08/2000; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6482 del 08/06/1995). L’impegno pattizio assunto dal Comune ad un “facere” può così dirsi inadempiuto ove emergano condotte materiali del compratore di utilizzo dell’area in violazione dell’obbligo funzionale di imprimere la destinazione economica voluta dal venditore, ma non quando la sottrazione del terreno alla destinazione convenuta in contratto avvenga per effetto degli interventi normativi e attuativi del Comune, spiegati nell’ambito dei poteri ad esso riservati dalla legislazione urbanistica.

Sulla base di tali considerazioni, sono prive di fondamento le denunciate violazioni dei limiti cognitivi del giudice di rinvio, come dei criteri di interpretazione del contratto, e le assunte carenze motivazionali, rappresentate in ricorso. La ricorrente prospetta la mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, ovvero l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione, limitandosi, però a lamentare una mera contrapposizione fra l’interpretazione da essa prescelta e quella accolta nella sentenza impugnata, ed a proporre una diversa valutazione dei dati materiali tutti, comunque, complessivamente apprezzati dalla Corte di Bologna, ovvero una diversa ricostruzione della volontà pattizia consacrata nella scrittura, nonchè della sua minima unità effettuale, attività, queste, istituzionalmente riservate al giudice di merito. Nè, del resto, nell’interpretazione di un contratto scritto, come nella generale valutazione dei documenti prodotti, è sindacabile in sede di legittimità la scelta fatta dal giudice di merito, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la propria motivazione, alla quale non può chiedersi di discutere su ogni singolo elemento o di confutare tutte le deduzioni difensive, rimanendo implicitamente disattesi quei rilievi e quelle circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Quanto in particolare, poi, ai motivi dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo e ventunesimo, che fanno questione circa l’incongruità del prezzo convenuto tra le parti alla luce dei criteri normativi di determinazione delle indennità di esproprio, essi si rivelano innanzitutto inammissibili ove affrontano profili giuridici, implicanti anche accertamenti di fatto, che non risultano trattati in alcun modo nella sentenza impugnata nè nelle conclusioni sottoposte al giudice di rinvio a norma dell’art. 394 c.c., essendo stato ivi valutato il corrispettivo dell’alienazione solo quale elemento interpretativo della reale volontà contrattuale. E’, comunque, insegnamento di questa Corte che la cessione volontaria del bene, pattuita tra espropriante ed espropriato, e nella quale non risultino indicati i legittimi criteri di determinazione del prezzo, costituisce espressione di autonomia negoziale, a norma dell’art. 1322 c.c. e, pertanto, non consente al privato nè la successiva domanda di un non configurabile conguaglio, nè la richiesta di una rideterminazione del prezzo alla stregua del valore venale del bene, allorchè il cedente abbia trasferito i suoi beni accettando in corrispettivo, senza alcuna riserva, una somma di danaro e non faccia valere vizi della volontà nè sproporzione tra le prestazioni (arg. da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10952 del 19/05/2014; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10945 del 07/11/1997).

3. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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