Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4942 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato LOJODICE OSCAR, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, VINCENZO STUMPO, EMANUELE DE ROSE,

giusta mandato speciale in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1113/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del

3/03/09, depositata il 10/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato Triolo Vincenzo, (per delega avvocato Coretti

Antonietta), difensore del controricorrente che si riporta agli

scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che

aderisce alla relazione scritta.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380 bis.

Il Tribunale di Bari, in accoglimento della domanda dell’attuale ricorrente, condannava l’Inps a corrispondere al medesimo assicurato la differenza tra il trattamento di disoccupazione agricola dovutagli relativamente all’anno 2001, in base alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva integrativa di lavoro valevole per la provincia di appartenenza, e la prestazione di fatto ricevuta. Lo stesso giudice condannava l’Inps a rimborsare al lavoratore le spese del giudizio, liquidate in Euro 413,00 oltre relativi accessori.

L’assicurato proponeva appello lamentando l’omessa liquidazione degli interessi antocistici e formulando doglianze in merito alla regolazione delle spese del giudizio, chiedendo il riconoscimento a tale titolo di Euro 1.578,76.

La Corte d’appello, con sentenza depositata il 10.3.2009, accoglieva per quanto di ragione la doglianza relativa agli interessi anatocistici, riconoscendo gli interessi maturati sugli interessi liquidati con la sentenza di primo grado.

In linea di fatto ricordava in particolare che la parte ricorrente aveva precisato di avere lavorato nel 2001 n. 102 giornate come operaio comune.

Quanto alle spese del giudizio, rilevata la mancanza di una analitica liquidazione da parte del giudice di primo grado – che avrebbe dovuto provvedervi in mancanza di nota spese depositata dalla parte -, la Corte provvedeva ad una compiuta liquidazione, rilevando che per il giudizio di primo grado erano dovuti Euro 179,00 per diritti di procuratore e Euro 285,00 per onorari, per un totale di Euro 464,00 oltre accessori, precisate quali tra le voci indicate dall’appellante per onorari e per diritti non potevano essere riconosciute. Nel procedere alla liquidazione escludeva che la causa fosse di valore indeterminabile, come sostenuto dall’appellante. Doveva considerarsi, infatti, che applicando le tariffe delle contrattazione collettiva, le differenze dovute agli assistiti per ciascun anno non oltrepassavano gli Euro 120-130 (essendo invece inferiori nella maggior parte dei casi), dato che notoriamente era ancora contenuto lo scarto tra i due parametri di riferimento, come peraltro la Corte aveva potuto constatare in tantissime cause aventi identico oggetto (e spesso in favore di lavoratori in possesso di qualifica superiore a quello dell’odierno appellante), in cui si era provveduto a quantificare esattamente dette differenze. Pertanto con sicurezza il valore della causa era ricompreso nella fascia tabellare fino a Euro 600,00.

Quanto alle spese del giudizio di appello, riteneva che l’accoglimento solo parziale del gravame, il carattere seriale della controversia, la mancata resistenza in appello da parte dell’Inps, costituivano un equo motivo di integrale compensazione delle spese di questo grado del giudizio.

La parte assicurata propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Inps resiste con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 24, 38 e 111 Cost., degli artt. 91-93, c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura il capo della sentenza relativo alla compensazione del spese del giudizio di appello, sottolineando la illogicità e irrazionalità della statuizione, in difetto di effettivi giusti motivi e osservando anche che sussiste la violazione del diritto di difesa quando la compensazione delle spese viene a impedire il conseguimento di un risultato economicamente utile.

Il secondo motivo, denunciando lo stesso tipo di vizi, compresa la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e delle tariffe forensi, lamenta che, mentre domanda e sentenze sono di condanna generica, e manca una statuizione sul punto con valore di giudicato dello stesso giudice di appello, le valutazioni circa il valore della causa non sono desunte dalle prove dedotte e la Corte di appello, procedendo alla valutazione del valore della causa, ha finito per pronunciare su una domanda non oggetto del giudizio di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c.. Inoltre ha trascurato gli accessori maturati prima della proposizione della domanda e gli interessi anatocistici, pur riconosciuti in appello, ha omesso di liquidare le spese generali, che non si possono ritenere inclusi negli “accessori come per legge”, non ha dato adeguata motivazione circa le varie voci liquidate, onde consentire l’impugnazione.

Analoghe censure sono state ritenute manifestamente infondate da questa Corte nel decidere controversie analoghe (cfr. ex plurimis Cass. 11353/2009, 13645/2009,17914/2009, 513/2010).

Nel caso in esame potrebbe preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso per la mancata formulazione di conclusivi quesiti di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., nella specie applicabile ratione temporis, pur in presenza di censure fondamentalmente basate sulla deduzione di vizi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e quanto all’ipotesi di vizi di motivazione, per la mancata osservanza delle prescrizioni della medesima disposizione sulla “chiara indicazione del fatto controverso” e sulle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Con riferimento al merito il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato. Infatti le valutazioni circa il valore della causa risultano adeguatamente motivate dalla Corte di merito con riferimento ai rilevanti dati di fatto (nè nel ricorso si è specificamente motivato circa l’inadeguatezza delle valutazioni quantitative della Corte di merito tenendo presenti gli accessori maturati prima del deposito del ricorso). Inoltre la Corte ha espressamente motivato circa le voci dei diritti o degli onorari indicate dalla parte e non riconosciute.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese del giudizio vengono regolate in base al criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.), tenuto presente, in relazione al vigente tenore dell’art. 152 disp. att. c.p.c., che il giudizio è stato instaurato in primo grado nel corso del 2004, e quindi nella vigenza della nuova disciplina, e considerato che mancano attestazioni sui redditi della parte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare all’Inps le spese del giudizio in Euro 10,00 per esborsi ed Euro 300,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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