Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4942 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/02/2017, (ud. 05/12/2016, dep.27/02/2017),  n. 4942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22654-2012 proposto da:

F.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIUSEPPE FERRARI 45, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO COLELLI

RIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato SANTINO FELLA;

– ricorrente –

contro

D.S.G., (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 918/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato SANTINO FELLA, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato GRAZIANO SAVO, difensore dei controricorrenti, che

si è riportato agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso, perchè

infondato e per la condanna alle spese.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

D.S.G. stipulava, in data (OMISSIS), un contratto preliminare di vendita con F.D. (ed altro contraente, nei diritti del quale di seguito succedeva il medesimo F.) avente ad oggetto una parte di fabbricato in corso di costruzione in (OMISSIS) ed in atti specificamente individuato.

Nell’anzidetto preliminare era testualmente previsto che “il diritto di sopraelevazione viene concesso agli acquirenti nel rispetto delle disposizioni vigenti sulla superficie da ciascuno acquistata”.

Successivamente, nel 1990, il D.S. conveniva innanzi al Tribunale di Frosinone il F. per ivi sentir dichiarare l’intervenuta risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del convenuto.

Quest’ultimo, costituitosi, chiedeva il rigetto dell’avversa domanda attorea.

Il Tribunale di prima istanza rigettava la domanda dell’attore.

Gli eredi successori dell’attore proponevano, quindi, appello, resistito dal F., che instava per il rigetto dell’interposto gravame.

L’adita Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del Giudice di prime.

Ricorrevano per cassazione gli eredi già appellanti e questa Corte, con sentenza n. 12337/2008, cassava l’impugnata sentenza e rinviava ad altra Sezione della Corte territoriale rilevando il difetto di motivazione della gravata decisione.

Riassunto, dai D.S., il giudizio e costituitosi il F. che insisteva per il rigetto dell’avverso gravame, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 918/2012, in accoglimento dell’appello dichiarava risolto il contratto preliminare de quo per inadempimento da parte del F., condannato al rilascio in favore degli appellanti sia del suddetto fabbricato in (OMISSIS) che del sottotetto, nonchè alla restituzione ed al rimborso delle spese in favore dei medesimi appellanti.

Per la cassazione della sentenza della Corte di Appello ricorre il F. con atto fondato su tre ordini di motivi e resistito dai D.S. con controricorso, con cui – fra l’altro – si eccepisce la inesistenza e/o nullità della procura speciale per il ricorso in cassazione.

Nell’approssimarsi dell’udienza ha depositato memoria la parte ricorrente.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- In via preliminare deve doverosamente darsi conto della pur sollevata eccezione di nullità della procura speciale per il ricorso innanzi a questa Corte di parte ricorrente.

L’eccezione è priva di pregio e deve essere disattesa.

La procura, in ordine alla quale le parti contoricorrenti hanno dedotto la suddetta infondata eccezione risulta rilasciata su foglio a parte congiunto e con chiarissima indicazione del ricorso per cassazione che si proponeva.

L’eccezione, quindi, va respinta.

2.- Con il primo motivo del ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli artt. 1117 e 1127 c.c., nonchè il vizio di motivazione insufficiente e/o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo.

La questione sottesa al motivo in esame è, nella sostanza, quella che riguarda l’inadempimento del F. ed il di lui rifiuto alla stipula dell’atto notarile asseritamente giustificato dalla mancata previsione del trasferimento del sottotetto del’immobile in cui erano ubicate le unità abitative dei promittenti acquirenti.

La sentenza impugnata, in ossequio a quanto già disposto da questa Corte con la prima suddetta decisione del 2008, ha escluso che nel preliminare vi era la promessa di vendita del sottotetto (con conseguente affermazione dell’inadempimento del F.).

A tanto la Corte capitolina è pervenuta facendo buon governo delle norme e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie e dando ragione del proprio decisum con motivazione logica ed immune da vizi censurabili in questa sede.

Al riguardo non può che evidenziarsi come l’impugnata sentenza abbia, conformandosi alla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 23 agosto 2007, n. 17928), sottolineato la natura tendenzialmente condominiale e, quindi, la presunzione di condominialità del sottotetto (Cass. 17928/2007). Tanto anche in ragione, nella fattispecie, alla attitudine oggettiva del bene al godimento comune (Cass. 8152/2001 e Cass. 5633/2002).

Peraltro parte ricorrente non enuncia un principio contrario rispetto a quelli innanzi richiamati, nè ragioni idonee a mutare orientamento.

Peraltro ancora deve qui osservarsi quanto segue in ordine alla clausola invocata dal ricorrente (“Il diritto di sopraelevazione viene concesso agli acquirenti nel rispetto delle disposizioni vigenti sulla superficie da ciascuno acquistata”.

Orbene detta clausola, al momento dei preliminari con gli originari due promittenti acquirenti degli immobili sottostanti al lastrico, appare decisamente orientata alla ripartizione fra i detti due dei diritti su una area che era già individuata come condominiale.

Per di più, ancora, va evidenziato che, col contratto preliminare per cui si controverte, in punto di definizione dell’oggetto del medesimo negozio non vi era menzione alcuna del sottotetto. Tutto ciò conferma che la succitata invocata clausola, lungi dallO’individuare un ulteriore immobile oggetto della promessa di vendita, era unicamente finalizzata a regolare la distribuzione dei diritti su un bene condominale.

La gravata decisione ha, quindi, correttamente motivato ed interpretato che “le parti avevano pacificamente ritenuto il sottotetto di proprietà condominale e del diritto di superficie sarebbero divenuti titolari i due promittenti acquirenti delle due distinte porzioni del piano primo promesse in vendita”.

Non vi è, quindi, alcun vizio motivazione nè la mancanza di una corretta interpretazione dell’atto inter partes.

Il motivo deve, dunque, essere respinto.

3.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce promiscuamente, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.p.c., nonchè la motivazione insufficiente e/o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo riaffronta, nella sostanza, la medesima questione già innanzi esaminata circa la violazione dell’art. 1117 c.c..

Nel richiamarsi lo stesso ordine di ragioni per cui è già stata ritenuta analogamente l’infondatezza del primo esaminato motivo, deve ulteriormente considerarsi quanto segue.

Non risulta assolutamente in atti (nè è stata adeguatamente posta la relativa questione) la sussistenza di una funzione esclusiva del sottotetto rispetto ai singoli appartamenti ad essi sottostanti. La stessa deduzione di una pretesa (ma insussistente) carenza motivazionale in punto si risolve in una impropria istanza riesame nel merito.

Il motivo, nel suo promiscuo complesso, va respinto.

4.- Con il terzo motivo parti ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 156 e 161 c.p.c. per il contrasto tra dispositivo e motivazione.

Viene svolta doglianza in ordine alla disposizione di cui alla sentenza impugnata che – pur ritenendo il sottotetto bene condominiale – impartisce ordine di rilascio del medesimo in favore degli eredi del costruttore D.S. e non in favore del condominio.

La censura è inammissibile per vari motivi.

Innanzitutto la questione posta col motivo qui in esame costituisce -allo stato degli atti – questione nuova (non risultante come già svolta nei pregressi gradi del giudizio) o comunque, come tale, ritenuta in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione.

Il motivo è, pertanto, del tutto. inammissibile.

Infatti “I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio.” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez. 6 – 1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041).

Vi è poi una carenza della censura svolta sotto il profilo dell’autosufficienza in assenza di ogni pur minima indicazione sulla circostanza dell’esistenza di un condominio che si sia sostituito alla unica proprietà originaria del costruttore.

La Corte distrettuale ha ritenuto di dare l’anzidetto ordine di restituzione del sottotetto sulla considerazione che “il contenuto di tutti gli atti difensivi rende inequivocabile l’avvenuta proposizione anche di tale domanda”, così interpretando gli stessi.

Pertanto la censura, formulata come vizio di motivazione, non coglie neppure l’eventuale (ma diverso vizio) alla mancanza di apposita domanda di rilascio.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

5.- Il ricorso alla stregua di quanto innanzi esposto ed affermato, deve essere rigettato.

6.- Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle parti conto ricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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