Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4941 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. I, 24/02/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 24/02/2021), n.4941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2717/2019 r.g. proposto da:

I.C., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Manuela Agnitelli, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Roma, Viale Giuseppe Mazzini n. 6.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Perugia, depositato in data

8.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/1/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Perugia ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da I.C., cittadino (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha narrato: i) di essere nato a (OMISSIS) e di essersi trasferito, ancora bambino, nel villaggio di (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese, perchè, da un lato, timoroso di essere costretto a subire la cerimonia di iniziazione a pratiche rituali nelle quali, per la volontà dello zio, avrebbe dovuto prendere il posto del padre deceduto e perchè, dall’altro, temeva le reazioni dei familiari della fidanzata che era rimasta incinta e che era deceduta in Libia, dopo la loro fuga indotta per sottrarsi alle vendette familiari.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, perchè, pur ritenendo il racconto del richiedente credibile, non ricorrevano i presupposti applicativi della invocata tutela protettiva, non potendosi ritenere atti di persecuzione religiosa i comportamenti adottati dallo zio per indurlo ad abbracciare le pratiche rituali prima praticate dal padre e perchè, quanto alla invocata protezione sussidiaria, non vi era notizia di azioni giudiziarie intentate dai familiari della fidanzata in relazione alla vicenda narrata, non ricorrendo neanche il presupposto dell’attualità e concretezza del pericolo prospettato, in ragione del trasferimento del richiedente lontano dalla famiglia paterna e sin anche con il consenso dello zio; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Edo State, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato, e non rilevando a tal fine neanche la sua vicenda personale in Libia, trattandosi solo di paese di transito; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che in Nigeria non si assiste ad una compressione del nucleo fondamentale dei diritti umani.

2. Il decreto, pubblicato il 8.12.2018, è stato impugnato da I.C. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,11 e 14, nonchè violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e vizio di motivazione, in relazione al diniego della richiesta dello status di rifugiato.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c e art. 3, comma 3, lett. a e degli artt. 2, 3, 5, 8 e 9 Cedu, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria senza i necessari approfondimenti istruttori.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a e b, nonchè degli artt. 3 e 7 Cedu, in relazione al diniego dell’invocata protezione sussidiaria, senza il necessario approfondimento delle condizioni effettive e attuali del paese di provenienza del richiedente.

4. Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c e comma 4, nonchè vizio di motivazione, in ordine al diniego della richiesta protezione umanitaria.

5. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.

5.1 Il primo motivo è inammissibile.

La censura prospettata dal ricorrente nel primo motivo non coglie la ratio decidendi del diniego dell’invocata protezione internazionale che non si fonda – come rileva, invece, il ricorrente – su una valutazione di non credibilità del racconto del richiedente (credibilità che, al contrario, viene espressamente riconosciuta in termini di plausibilità), ma al contrario si concentra sulla riscontrata non riconducibilità della vicenda (pressioni familiari per la celebrazioni delle pratiche rituali) nel paradigma della persecuzione religiosa per come delineata nel del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8.

Ne consegue che tutte le censure prospettate in ordine alla valutazione di non credibilità devono ritenersi fuori fuoco rispetto al contenuto della motivazione impugnata e dunque non ricevibili in questo giudizio.

5.2 Anche il secondo motivo è inammissibile per le medesime ragioni già spiegate in relazione al primo motivo. Ed invero, le censure non comprendono ancora una volta le rationes decidendi poste a sostegno del rigetto della richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b e cioè, da un lato, la mancanza di notizie di eventuali azioni giudiziarie intentate dai familiari della fidanzata in relazione alla vicenda narrata dal richiedente e, dall’altro, la non ricorrenza del presupposto dell’attualità e concretezza del pericolo prospettato in ragione del trasferimento del richiedente lontano dalla famiglia paterna, circostanza quest’ultima che escludeva in radice la possibilità della reiterazione di azioni violente da parte dello zio in suo danno.

A fronte di tale chiara motivazione il ricorrente si limita a denunciare l’asserita violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria che non può, nel caso di specie, ritenersi comunque sussistente, posto che, per un verso, i giudici del merito hanno acquisito informazioni dettagliate sia sulla situazione interna della Nigeria (quanto al rischio di conflitti armati generalizzati) sia sul possibile pericolo per il richiedente di essere sottoposto alla giurisdizione dei tribunali della sharia (escludendolo in radice come possibilità concreta) e che, per altro verso, non è neanche astrattamente ipotizzabile una tale violazione, in relazione alla protezione sussidiaria lett. a e b, nel caso di mancata ricorrenza dei presupposti applicativi dell’invocata tutela protettiva.

5.3 Il terzo motivo è del pari inammissibile in quanto le censure si compongono solo di generiche doglianze volte a far ripetere alla Corte di legittimità una rivalutazione in fatto sulla condizione di pericolosità interna della Nigeria – giudizio già svolto dal tribunale con motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative (quanto al diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. c) e per il quale sono state anche indicate ed allegate fonti di conoscenza qualificate – e perchè, quanto all’ulteriore richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b, medesima fonte normativa da ultimo citata, le censure non colgono, ancora una volta, la ratio decidendi che si fonda su un giudizio di mancanza del presupposto della concretezza ed attualità del pericolo denunciato dal ricorrente.

5.4 Il quarto motivo – declinato, in relazione al diniego della invocata protezione umanitaria – è invece fondato.

5.4.1 Sul punto, è necessario premettere che la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte (v. ss.uu. n. 29459/2019) ha fissato il principio secondo cui “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”. Tale approdo interpretativo costituisce la conferma del precedente orientamento giurisprudenziale rappresentato dalla nota sent. n. 4455/2018, secondo la quale “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”.

Ciò posto, risulta evidente dalla lettura del provvedimento impugnato come il tribunale abbia completamente omesso la valutazione comparativa tra la condizione di inserimento sociale del richiedente (pur allegata) e la situazione interna del paese di provenienza (Nigeria), al fine di riscontrare la possibile compressione dei diritti fondamentali del richiedente al di sotto del nucleo fondante lo “statuto della dignità personale” (per utilizzare le stesse espressioni della giurisprudenza da ultimo citata), con ciò incorrendo nella denunciata violazione di legge.

La decisione sulle spese del giudizio di legittimità è rimessa al giudice del rinvio.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibili i restanti motivi; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

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