Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4940 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.

LOJODICE OSCAR, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, STUMPO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 698/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del

10.2.09, depositata il 14/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito per il controricorrente l’Avvocato Triolo Vincenzo (per delega

avv. Antonietta Coretti) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380 bis.

Il Tribunale di Bari, in accoglimento della domanda dell’attuale ricorrente, condannava l’Inps a corrispondere al medesimo assicurato la differenza tra il trattamento di disoccupazione agricola dovutagli relativamente all’anno 2001, in base alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva integrativa di lavoro valevole per la provincia di appartenenza, e la prestazione di fatto ricevuta. Lo stesso giudice condannava l’Inps a rimborsare al lavoratore le spese del giudizio, liquidate in Euro 413,00 oltre relativi accessori.

L’assicurato proponeva appello lamentando l’omessa liquidazione degli interessi antocistici sulla sorte capitale e sugli interessi maturati a decorrere dalla domanda giudiziale e formulando doglianze in merito alla regolazione delle spese del giudizio, chiedendo il riconoscimento a tale titolo di Euro 1.578,76.

La Corte d’appello, con sentenza depositata il 14.2.2009, accoglieva per quanto di ragione la doglianza relativa agli interessi anatocistici, riconoscendo gli interessi maturati sugli interessi liquidati con la sentenza di primo grado.

In linea di fatto ricordava in particolare che la parte ricorrente aveva precisato di avere lavorato nel 2001 n. 102 giornate come operaio comune.

Quanto alle spese del giudizio, rilevata la mancanza di una analitica liquidazione da parte del giudice di primo grado – che avrebbe dovuto provvedervi in mancanza di nota spese depositata dalla parte -, la Corte provvedeva ad una compiuta liquidazione, rilevando che per il giudizio di primo grado erano dovuti Euro 65,57 per diritti di procuratore e Euro 370,00 per onorari, per un totale di Euro 435,57, oltre accessori, precisate quali tra le voci indicate dall’appellante per onorari e per diritti non potevano essere riconosciute. Nel procedere alla liquidazione escludeva che la causa fosse di valore indeterminabile, come sostenuto dall’appellante. Doveva considerarsi, infatti, che applicando le tariffe delle contrattazione collettiva, le differenze dovute agli assistiti per ciascun anno non oltrepassavano gli Euro 120-130 (essendo invece inferiori nella maggior parte dei casi), dato che notoriamente era ancora contenuto lo scarto tra i due parametri di riferimento, come peraltro la Corte aveva potuto constatare in tantissime cause aventi identico oggetto (e spesso in favore di lavoratori in possesso di qualifica superiore a quello dell’odierno appellante), in cui si era provveduto a quantificare esattamente dette differenze. Pertanto con sicurezza il valore della causa era ricompreso nella fascia tabellare fino a Euro 258,23.

Quanto alle spese del giudizio di appello, riteneva che la natura della controversia e dell’unica questione devoluta suggerivano di compensare integralmente le spese di questo grado del giudizio.

La parte assicurata propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Inps resiste con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 24, 38 e 111 Cost., degli art. 9193 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura il capo della sentenza relativo alla compensazione del spese del giudizio di appello, sottolineando la illogicità e irrazionalità della statuizione, in difetto di effettivi giusti motivi e in presenza dell’accoglimento di un appello proponente varie questioni, relative al diritto agli interessi anatocistici ed alle spese del giudizio ed integralmente accolto; e osservando anche che sussiste la violazione del diritto di difesa quando la compensazione delle spese viene a impedire il conseguimento di un risultato economicamente utile.

Il secondo motivo, denunciando lo stesso tipo di vizi, compresa la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e delle tariffe forensi, lamenta che, mentre domanda e sentenze sono di condanna generica, e manca una statuizione sul punto con valore di giudicato dello stesso giudice di appello, le valutazioni circa il valore della causa non sono desunte dalle prove dedotte e la Corte di appello, procedendo alla valutazione del valore della causa, ha finito per pronunciare su una domanda non oggetto del giudizio di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c. Inoltre ha trascurato gli accessori maturati prima della proposizione della domanda e gli interessi anatocisitici, pur riconosciuti in appello, e ha omesso di liquidare le spese generali, che non si possono ritenere inclusi negli “accessori come per legge”.

Il ricorso è qualificabile, nel complesso, come manifestamente infondato.

Analoghe censure sono state ritenute manifestamente infondate da questa Corte nel decidere controversie analoghe (cfr. ex plurimis Cass. 11353/2009, 13645/2009,17914/2009, 513/2010).

Nel caso in esame deve però preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità del secondo motivo ricorso per la mancata formulazione del conclusivo quesito di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., nella specie applicabile ratione temporis, pur in presenza di censure fondamentalmente basate sulla deduzione di vizi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Inoltre, quanto all’ipotesi di vizio di motivazione, non risultano osservate le prescrizioni della medesima disposizione sulla “chiara indicazione del fatto controverso” e sulle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Peraltro le valutazioni circa il valore della causa risultano adeguatamente motivate dalla Corte di merito con riferimento ai rilevanti dati di fatto (nè nel ricorso si è specificamente motivato circa l’inadeguatezza delle valutazioni quantitative della Corte di merito tenendo presenti gli accessori maturati prima del deposito del ricorso). Inoltre la Corte ha espressamente motivato circa le voci dei diritti o degli onorari indicate dalla parte e non riconosciute.

Quanto al primo motivo, premesso che, anche in mancanza di un letterale riferimento all’ipotesi legale dei “giusti motivi”, sembra evidente che il giudice di appello proprio a tale facoltà di compensazione abbia inteso fare riferimento, occorre tenere presente che la legittimità di una compensazione per giusti motivi non può escludersi solo perchè non sono stati seguiti i principi operanti in caso di riferimento da parte del giudice al criterio di regolazione delle spese della soccombenza, cui la compensazione per giusti motivi legittimamente può derogare. In effetti la compensazione per giusti motivi di cui giudice di merito abbia fornito un’esplicita motivazione è censurabile in cassazione solo in caso di palese illogicità o erroneità della motivazione (cfr. Cass. 16162/2002, 1301/2003,17692/2003, 22541/2006).

Nella specie le questioni relative alla regolazione delle spese del giudizio di primo grado, seppure apparentemente trattate dal giudice di appello – per ragionevoli ragioni di opportunità – nei termini di un esame dei relativi motivi di appello, erano devolute al giudice di appello per l’assorbente ragione della riforma del relativo capo in via consequenziale alla riforma di un capo di merito della sentenza di primo grado. Deve ritenersi quindi che per “unica questione devoluta” sia stata considerata quella relativa alla liquidazione degli interessi anatocistici. Il ragionamento del giudice di appello è ricostruibile quindi nel senso della considerazione da parte sua ai fini in esame della proposizione dell’appello in relazione ad un accessorio minimo relativo a domanda di merito già di modesta entità. Peraltro non rileva sul piano causale la mancata espressa considerazione delle questioni circa le spese del giudizio di primo grado, anche perchè le stesse, sul piano pratico, sono state ritenute fondate solo in minima parte. In tali termini, appare manifestamente infondata la deduzione della illegittimità della compensazione per giusti motivi delle spese, le quali peraltro avrebbero potute essere compensate anche in base a un esplicito riferimento all’esito del giudizio, solo molto parzialmente favorevole all’appellante (cfr. Cass. 7716/2003 e 19343/2004).

Le spese del giudizio vengono regolate in base al criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.), tenuto presente, in relazione all’attuale tenore dell’art. 152 disp. att. c.p.c., che il giudizio è stato instaurato in primo grado nella vigenza della nuova disciplina D.L. 30 settembre 2003, n. 269, ex art. 42, comma 11, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, e considerato che mancano attestazioni sui redditi della parte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Inps le spese del giudizio in Euro 10,00 per esborsi ed Euro 300,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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