Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4939 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.

LOJODICE OSCAR, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, STUMPO VINCENZO,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 725/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del

12.2.09, depositata il 02/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito per il controricorrente l’Avvocato Vincenzo Triolo (per delega

avv. Antonietta Coretti) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

MOTIVI

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380 bis.

2. L’attuale ricorrente, P.L., adiva il Tribunale di Bari, chiedendo la condanna dell’Inps a corrispondergli la differenza tra il trattamento di disoccupazione agricola dovutagli relativamente all’anno 1985 rivalutata in base agli indici ISTAT e quanto già percepito. Il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere, su richiesta dell’Inps, che aveva dichiarato di avere corrisposto nel frattempo le somme dovute.

Lo stesso giudice condannava l’Inps a rimborsare al lavoratore le spese del giudizio, liquidate nella misura complessiva di Euro trecento.

3. L’assicurato proponeva appello lamentando l’omessa liquidazione degli interessi anatocistici sulla sorte capitale e sugli interessi maturati nel corso del giudizio e formulando doglianze in merito alla regolazione delle spese del giudizio.

La Corte d’appello, con sentenza depositata il 2.3.2009, accoglieva per quanto di ragione la doglianza relativa agli interessi anatocistici, riconoscendo gli interessi maturati dalla domanda sugli interessi liquidati con la sentenza di primo grado.

Quanto alle spese del giudizio, rilevata la mancanza di una analitica liquidazione da parte del giudice di primo grado – che avrebbe dovuto provvedervi in mancanza di nota spese depositata dalla parte -, la Corte provvedeva ad una compiuta liquidazione, rilevando che per il giudizio di primo grado erano dovuti Euro 65,57 per diritti di procuratore e Euro 370,00 per onorari, per un totale di Euro 435,57, oltre accessori, precisate quali tra le voci indicate dall’appellante per onorari e per diritti non potevano essere riconosciute. Nel procedere alla liquidazione, rilevato che l’assicurato aveva precisato di avere lavorato con la qualifica di operaio comune nel 2000 e di avere percepito l’anno successivo il trattamento di disoccupazione calcolato sul salario medio congelato nel 1995, escludeva che la causa fosse di valore indeterminabile, come sostenuto dall’appellante. Doveva considerarsi, infatti, che applicando le tariffe delle contrattazione collettiva, le differenze dovute agli assistiti per ciascun anno non oltrepassavano gli Euro 120-130 (essendo invece inferiori nella maggior parte dei casi), dato che notoriamente era ancora contenuto lo scarto tra i due parametri di riferimento, come peraltro la Corte aveva potuto constatare in tantissime cause aventi identico oggetto (e spesso in favore di lavoratori in possesso di qualifica superiore a quello dell’odierno appellante), in cui si era provveduto a quantificare esattamente dette differenze. Pertanto con sicurezza il valore della causa era ricompreso nella fascia tabellare fino a Euro 258,23.

Quanto alle spese del giudizio di appello, riteneva che la natura della controversia e dell’unica questione devoluta suggerivano di compensare integralmente le spese di questo grado del giudizio.

4. La parte assicurata propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Inps resiste con controricorso.

4.1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 24, 38 e 111 Cost., degli artt. 91, 112, 113 e 116 c.p.c. e delle tariffe forensi, nonchè omessa, insufficiente e contraddirlo ria motivazione. Lamenta che, mentre domanda e sentenze sono di condanna generica, e manca una statuizione sul punto con valore di giudicato dello stesso giudice di appello, le valutazioni circa il valore della causa non sono desunte dalle prove dedotte e la Corte di appello, procedendo alla valutazione del valore della causa, oltre ad incorrere in un errore materiale circa l’oggetto della controversia, ha finito per pronunciare su una domanda non oggetto del giudizio di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c..

4.2. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 24, 38 e 111 Cost., violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., comma 2. Censura il capo della sentenza relativo alla compensazione del spese del giudizio di appello, sottolineando la illogicità e irrazionalità della statuizione, in difetto di effettivi giusti motivi e in presenza dell’accoglimento di un appello proponente varie questioni, relative al diritto agli interessi anatocistici ed alle spese del giudizio ed integralmente accolto; e osservando anche che sussiste la violazione del diritto di difesa quando la compensazione delle spese viene a impedire il conseguimento di un risultato economicamente utile.

5. Analoghe censure sono state ritenute manifestamente infondate da questa Corte nel decidere controversie analoghe (cfr. ex plurimis Cass. 11353/2009, 13645/2009, 17914/2009, 513/2010).

Nel caso in esame potrebbe preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso per la mancata formulazione di conclusivi quesiti di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., nella specie applicabile ratione temporis, pur in presenza di censure fondamentalmente basate sulla deduzione di vizi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e quanto all’ipotesi di vizi di motivazione, per la mancata osservanza delle prescrizioni della medesima disposizione sulla “chiara indicazione del fatto controverso” e sulle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Con riferimento al merito il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato. Infatti, quanto alla compensazione delle spese del giudizio di appello, premesso che evidentemente il giudice di appello ha inteso fare riferimento alla compensazione per giusti motivi, la ragione di tale compensazione è ricostruibile nel senso della considerazione da parte dello stesso della proposizione dell’appello in relazione ad un accessorio minimo (interessi anatocistici) relativi a domanda di merito già di modesta entità (quanto alla riferibilità al complesso della motivazione, nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), cfr. Cass. 17868/2009, 18496/2009). Nè rileva la mancata espressa considerazione delle questioni circa le spese del giudizio di primo grado, poichè su di esse andava provveduto per effetto della parziale riforma della sentenza di primo grado; del resto le relative doglianze sono state accolte, sul piano pratico, solo in minima parte.

Riguardo alla questione relativa alla determinazione del valore della causa, tenuto presente che la richiesta di condanna generica non comporta di per sè rindeterminabilità del valore della causa, che richiede la non possibilità di valutazione economica della controversia (Cass. 1118/1985, 7757/1999), ipotesi certamente non ipotizzabile nel caso in esame, appare ravvisatole un difetto radicale dell’impostazione delle difese del ricorrente (in effetti già dal grado di appello), basata non già sul riferimento all’effettivo valore della causa, ma sull’erronea deduzione dell’indeterminabilità del valore. In particolare, non possono ritenersi idonee le censure relative ad un errata identificazione dell’oggetto del giudizio, se non si evidenzia la concreta causalità di tale errore.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese del giudizio vengono regolate in base al criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.), tenuto presente, in relazione al vigente tenore dell’art. 152 disp. att. c.p.c., che il giudizio è stato instaurato in primo grado nel corso del 2004, e quindi nella vigenza della nuova disciplina, e considerato che mancano attestazioni sui redditi della parte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Inps le spese del giudizio in Euro 10,00 per esborsi ed Euro 300,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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