Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4938 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/02/2017, (ud. 01/12/2016, dep.27/02/2017),  n. 4938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7839/2014 proposto da:

T.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO

10, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SANTUCCI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSANDRO GIUSEPPE BRAMBILLA PISONI;

– ricorrente –

contro

N.E., N.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

G. CACCINI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCA RAFFAELLO

PERFETTI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1177/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato BRAMBILLA PISONI Alessandro, difensore della

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MECO Cinzia, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato PERFETTI LUCA R. difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. T.M.L., figlia di B.C., conveniva in giudizio N.A. e N.E. avanti al Tribunale di Milano, chiedendo accertarsi lo stato di incapacità di intendere e di volere della B. al momento della stipulazione, nel (OMISSIS), del contratto con il quale aveva venduto ai convenuti l’immobile sito in (OMISSIS), e, di conseguenza annullare il suddetto contratto ai sensi dell’art. 428 c.c., comma2.

A tal fine l’attrice, chiarito che la madre era stata colpita da un grave ed evidente decadimento psico-fisico, che l’aveva costretta a ripetuti ricoveri ospedalieri, fino all’ultimo avvenuto nel (OMISSIS), presso l’Istituto geriatrico di (OMISSIS), deduceva che i N. erano consapevoli dello stato confusionale in cui versava la madre e nonostante ciò, in malafede, avevano proceduto all’acquisto dell’immobile ad un prezzo sensibilmente inferiore al valore di mercato.

Si costituivano in giudizio N.A. e N.E. chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 7690/2000, in accoglimento della domanda, annullò il contratto di compravendita immobiliare.

2. Avverso la suddetta sentenza i N. proponevano appello avanti alla Corte di Milano, perorando la riforma integrale della sentenza impugnata.

La Corte milanese riformò la sentenza di primo grado e rigettò la domanda della T., osservando che non era stato riscontrato il dedotto stato di deficienza mentale della B. e che perciò non si poteva affermare la malafede degli acquirenti.

3. Avverso la suddetta decisione la T. propone ricorso per cassazione, formulando quattro distinti motivi di ricorso.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 856/2007 annullò quella della Corte di Appello, accogliendo tre dei quattro motivi sollevati, rilevando in particolare la carenza di motivazione su punti decisivi della controversia e censurando, altresì, la mancata escussione dei testimoni di parte attrice su circostanze che non erano state ammesse in primo grado, ritenute invece rilevanti.

Con la sentenza n. 1177/2013, depositata il 19 marzo 2013, la Corte d’appello di Milano, dopo aver svolto attività istruttoria con l’audizione di alcuni testimoni dedotti dall’attrice ed espletato due C.T.U. sullo stato psicofisico della venditrice e sul valore di mercato dell’immobile trasferito, respingeva tutte le domande proposte dalla T..

A sostegno della decisione la Corte meneghina evidenziava che la C.T.U. medico legale disposta in appello aveva escluso che la B. fosse incapace di intendere e di volere, come pure affetta da un quadro di provata infermità mentale su base patologica. La lettura unitaria delle prove raccolte in primo ed in secondo grado, come richiesto dalla sentenza della Cassazione, confermava le conclusioni del perito settore.

4. Avverso la suddetta decisione T.M.L. propone nuovamente ricorso per cassazione, formulando tre distinti motivi di ricorso. Resistono N.A. e N.E. con apposito controricorso. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., assumendo che la Corte territoriale non aveva operato una valutazione organica e complessiva delle prove acquisite nei due gradi di giudizio, limitandosi a prendere in considerazione singoli elementi probatori. La sentenza impugnata aveva inoltre illegittimamente privato di qualsiasi rilevanza probatoria le dichiarazioni testimoniali de relato ex parte actoris (in quanto apprese dalla T.), nonchè il contenuto della cartella clinica del (OMISSIS), con riferimento alle dichiarazioni rese dalla T. ai medici che avevano in cura la madre presso l’istituto geriatrico.

Con il secondo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte locale non aveva posto a fondamento della decisione il compendio probatorio intiero.

In particolare, la ricorrente evidenzia che la sentenza impugnata “ha ignorato in larga misura quanto riferito dai testi F.P. e T.L., in merito a talune circostanze allegate dalla ricorrente da costoro apprese direttamente o anche solo de relato”; deposizioni riportate in ricorso.

Con il terzo motivo eccepisce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, con riguardo ad alcune circostanze decisive ai fini del giudizio, come l’abuso nell’assunzione di farmaci da banco fatto dalla B., la sostanziale incapacità della stessa a fare i conti, e la richiesta anomala di ricevere il prezzo della vendita, in prima battuta in contanti e poi in assegni di piccolo taglio.

5. Il ricorso, i cui motivi osmotici fra loro, è opportuno esaminare unitariamente, è infondato per le ragioni che di seguito si espongono.

In primo luogo va ribadito quale è il circoscritto ambito operativo del controllo di legittimità sulla valutazione delle prove fatta dal giudice di merito. Di recente questa Corte ha chiarito che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194).

Deve, poi, tenersi conto della novella apportata all’art. 360 c.p.c., n. 5, dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, in vigore per le sentenze oggetto di ricorso pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012 (art. 54, comma 3, del citato D.L.). Nel caso di specie la sentenza impugnata è stata pubblicata in data il 19/3/2013. Tuttavia, i motivi di ricorso sono stati formulati solo formalmente, ed in parte peraltro, nel rispetto della novella, in quanto nella sostanza diretto a censurare il contenuto della motivazione, sia pure ponendo una correlazione di comodo con gli artt. 115 e 116, c.p.c., o, addirittura evocando (a sproposito) il n. 4 dell’art. 360 cit..

In termini generali circa la portata applicativa della modifica normativa di cui sopra si richiama quanto affermato da questa Corte, Sez. Un., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (Rv. 629830), secondo la quale la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, deve leggersi come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, risulta oramai denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, a condizione che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce, pertanto, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Appare, inoltre, utile richiamare quanto di recente precisato dalla Cassazione, Sez. 6-3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015, Rv. 636030, la quale ha affermato che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c..

Con particolare riguardo al primo motivo la motivazione offerta dalla Corte d’appello appare diffusa e dettagliata nell’esaminare e valutare unitariamente le prove acquisite, correttamente privilegiando le conclusioni della C.T.U. medico legale. In definitiva, non si riscontra la sussistenza di alcuna violazione dei canoni legali, posti a sindacato della prova.

Quanto alla lamentata mancata valutazione delle testimonianze “de relato ex parte”, è necessario richiamare l’orientamento consolidato di questa Corte (cfr., Sez. L, n. 10297 del 17/10/1998, Rv. 519806; Sez. 3, n. 1109/2006, Rv. 586542), che ha evidenziato che la deposizione su quanto riferito al testimone da una delle parti in causa (testimonianza de relato ex parte), considerata di per sè sola, non ha valore probatorio, nemmeno indiziario, e può assurgere a valido elemento di prova solo quando sia suffragata da altre risultanze probatorie acquisite al processo, aventi forza di riscontro di adeguata consistenza, della quale deve essere fornita motivazione.

Nel caso in esame è sufficiente evidenziare che la ricorrente non ha indicato pregnanti elementi di riscontro alle testimonianze de relato ex parte, limitandosi a ribadire che, a suo avviso, la Corte milanese non aveva dato alcuna rilevanza probatoria a quelle dichiarazioni, non consentendo così alla Cassazione di valutare eventuali profili di illegittimità del giudizio espresso in appello.

Quanto poi al secondo motivo di ricorso, ossia la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., si richiama quanto di recente affermato in questa sede, nel senso che la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.

Appare evidente che il ricorrente, in realtà, eccependo genericamente la violazione dell’art. 115 c.p.c., tenta di ottenere dalla Corte di legittimità una diversa valutazione delle prove poste a base del convincimento del Giudice di appello, cioè una nuova valutazione di merito.

Come di recente riaffermato in questa sede, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (già nel testo modificato del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20(8(2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta esclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001).

La ricorrente, infatti, pur enunciando di volere denunziare la violazione della legge processuale e l’omesso esame di un fatto decisivo, lamenta, peraltro senza confrontarsi con la motivazione della sentenza censurata, la valutazione del materiale probatorio, così proponendo, in definitiva, una rilettura di fatto inammissibile in sede di legittimità.

Quanto infine al terzo motivo relativo alla dedotta contraddittorietà della motivazione, in particolare con riferimento ad alcune circostanze come l’abuso nell’assunzione di farmaci da banco, compiuto dalla B., la sostanziale incapacità della stessa a fare i conti, e la richiesta anomala di ricevere il prezzo della vendita in contanti o in assegni di piccolo taglio, basterà ricordare che trattasi di censura non più consentita (in effetti dietro il richiamo al n. 4 dell’art. 360, n. 4, risulta piuttosto palese l’intento di sottoporre a sindacato la motivazione).

Peraltro, non si riscontra contraddizione, intesa come argomentazioni che si contrastano ed elidono a vicenda, in quanto la sentenza impugnata ha spiegato con chiarezza perchè quelle condotte della B., seppure non scontate, non potessero essere considerate univocamente sintomatiche di un’incapacità naturale della venditrice al momento della stipula.

6. Le spese, liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle svolte attività, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dei resistenti, che liquida nella complessiva somma di Euro 3.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Il fascicolo è stato scrutinato con la collaborazione dell’assistente di studio M.G..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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