Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4938 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 25/02/2020), n.4938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12601-2018 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato DANTE PICCA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ELISABETTA TAZARI;

– ricorrente –

contro

AQUILEIA CAPITAL SERVICES SRL, in qualità di mandataria con

rappresentanza di HYPO ALPE ADRIA BANK SPA, in persona del Direttore

Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA

72, presso lo studio dell’avvocato G.M., che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

C.M.;

– intimato –

ricorso successivo

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELINIONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMILIO AIIDOLO;

– ricorrente successivo –

contro

AQUILEIA CAPI TAL SERVICES SRL, in qualità di mandataria con

rappresentanza di HYPO ALPE ADRIA BANK SPA, in persona del Direttore

Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA

72, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA MORIANI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente successiva –

avverso la sentenza n. 1592/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 29/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

La Corte.

Fatto

RILEVATO

che:

Avendo Hypo Alpe-Adria-Bank S.p.A., convenuto davanti al Tribunale di Brescia I.S. e C.M. perchè fosse dichiarata la nullità per simulazione o l’inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c., di un contratto di compravendita immobiliare del (OMISSIS) in cui il C. era stato alienante e la I., sua cognata, acquirente, il Tribunale rigettava ogni domanda con sentenza del 21 maggio 2015.

Avendo la banca proposto appello ed avendo resistito le controparti, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 29 novembre 2017, accoglieva parzialmente il gravame, dichiarando inefficace la compravendita dell’immobile ai sensi dell’art. 2901 c.c..

Ha presentato ricorso I.S.; ha presentato ulteriore ricorso C.M.. Si è difesa con controricorso Aquileia Capital Service S.r.l. (succeduta ex art. 111 c.p.c.).

Entrambi i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RITENUTO

che:

Il ricorso di I.S. si articola in tre motivi.

Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,342 e 352 c.p.c., per non avere la corte territoriale effettuato riesame sulla adduzione di specifici vizi di illegittimità, avendo invece vagliato soltanto il merito.

Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.: non sarebbero state ricostruite correttamente le prove presuntive.

Il terzo motivo, proposto in subordine, denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 e 210 c.p..

il ricorso di C.M. presenta a sua volta tre motivi.

Il primo motivo denuncia nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., “siccome munita di motivazione apparente”.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c., per avere il giudice d’appello ritenuto ammissibile il gravame, pur privo di specifici motivi di censura.

Il terzo motivo, proposto in subordine, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per applicazione non corretta della prova presuntiva da parte del giudice d’appello.

E’ evidente che i due ricorsi veicolano in buona parte censure analoghe e che, comunque, strutturano in modo identico le censure stesse, nelle prime due prospettando vizi di rito, nella terza e subordinata, passando – come si dovrà constatare – al merito. Meritano pertanto valutazione congiunta.

Per quanto concerne, allora, la pretesa violazione, da parte della corte territoriale, dell’art. 342 c.p.c., e la sua cognizione che si asserisce avrebbe investito esclusivamente le questioni di merito, non vi è alcuna consistenza.

Invero, là dove la corte dichiara di rigettare “le eccezioni di inammissibilità dell’atto di appello avanzate da ambo le parti appellate ex art. 342, ritenendo lo stesso completo e rispondente al dettato normativo richiamato” – così si esprime l’incipit delle “Ragioni di diritto” che il giudice d’appello offre da pagina 6 in poi nella sentenza impugnata -, è agevolmente logico ravvisare un implicito riferimento alla descrizione del contenuto dell’atto d’appello che la corte, poco prima, aveva fornito nelle “Ragioni di fatto” (ancora a pagina 6): descrizione che, pur effettuata con modalità concisa, lascia intendere sine dubio la conformazione corretta del gravame che era stato proposto. E ciò dimostra, altresì, che la sentenza impugnata non si è occupata soltanto delle questioni di merito. D’altronde, la motivazione, complessivamente percepita, ictu oculi non è affatto qualificabile apparente, al contrario avendo la corte territoriale spiegato in maniera perspicua le ragioni del suo percorso d’accertamento di fatto e di applicazione ad esso del diritto.

Per il resto, a ben guardare – e non a caso ciò si colloca negli ultimi motivi, in entrambi i ricorsi, come già rimarcato, proposti in subordine -, le censure si dispiegano in realtà in una diretta ricostruzione fattuale alternativa a quella adottata dal giudice d’appello, anche tramite estrapolazione artificiosa di incisi motivazionali, così da perseguire un vero e proprio terzo grado di merito.

Tale inammissibile natura fattuale si tenta pure di schermare invocando non solo l’art. 210 c.p.c., ma altresì gli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre, naturalmente, agli articoli che regolano la prova presuntiva, ovvero gli artt. 2727 e 2729 c.c.: un paradigma relativo alla costruzione del compendio probatorio secondo le attinenti regole di rito, che però non reca pertinenza dato che, come già si è evidenziato, le censure sono direttamente fattuali e pertanto non riconducibili, in effetti, a denuncia di errores in procedendo.

In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido per il comune interesse processuale, alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – alla controricorrente; sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

PQM

Rigetta i ricorsi, condannando solidalmente i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 5000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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