Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4935 del 03/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4935 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: CARRATO ALDO

pristino per
apertura
illegittima di luci e
vedute

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 11363/’08) proposto da:

LENTI COSIMO (C.F.: LNT CSM 59T12 E205R), rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Francesco Vestito e Pietro Religioso ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Paola D’Elia, in Roma, via Principe
– ricorrente –

Amedeo, n. 126;
contro

– intimato –

LIUZZI MICHELE;

Avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce-sez. dist. di Taranto n. 136 del 2007,
depositata il 25 maggio 2007 e notificata il 12 febbraio 2008;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2014 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

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Data pubblicazione: 03/03/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Aurelio Golia, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 5 ottobre 1995 il sig. Liuzzi Michele esponeva: – di essere
proprietario di un immobile adibito ad uso abitativo sito in Grottaglie, al piano terra di v.
D’Alessandro n. 70; – che il sig. Lenti Cosimo, proprietario dell’appartamento ubicato al
primo piano dello stabile sito al civico n. 68 della stessa via, dalla quale si aprivano verso la
sua proprietà due luci ed una finestra, aveva ampliato una delle due luci, sistemato una
soglia in marmo sporgente nella sua proprietà, non aveva rimosso due ganci di tenuta di un
tubo abusivamente installato e poi eliminato, ed era solito stendere alla sua finestra, tra
l’altro munita di una tenda in giunco, panni, per ciò stesso pendenti sulla sua proprietà; che, in dipendenza di tali condotte del Lenti, aveva diritto di ottenere l’eliminazione ovvero
la riduzione delle luci, la soppressione della tenda, dei ganci, della parte di soglia sporgente
sulla sua proprietà oltre che la cessazione delle molestie provocate dallo sciorinio dei
panni; tanto premesso conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto-sez. dist. di
Grottaglie, il Lenti Cosimo per sentir ottenere le predette declaratorie in suo favore oltre alla
condanna dello stesso Lenti al risarcimento dei danni da determinarsi nella misura ritenuta
di giustizia e del pagamento delle spese giudiziali.
Radicatosi il contraddittorio con la rituale costituzione del convenuto (il quale formulava
fr anche domanda riconvenzionale per ottenere la condanna dell’attore ad astenersi dal porre
la biancheria dinanzi alla sua finestra ed a rimuovere la caldaia a gas e sistemare la canna
fumaria conformemente alle disposizioni legali in materia), all’esito dell’espletata istruzione
probatoria, il Tribunale adito, con sentenza del 30 agosto 2003, accoglieva, per quanto di
ragione, entrambe le domande, così provvedendo: – condannava il Lenti al ripristino dello
stato dei luoghi ossia alla eliminazione delle luci, dei ganci, della tenda e della parte di
soglia sporgente nel terrazzino del Liuzzi ed ordinava al medesimo la cessazione degli atti
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.

di molestia costituiti dallo sciorinio dei panni; – ordinava, invece, al Liuzzi la cessazione
degli atti di molestia rappresentati dalla collocazione di una coperta dinanzi alla finestra
della camera da letto del Lenti e la sistemazione della canna fumaria in modo tale da
consentire la fuoriuscita dei gas ad una distanza non inferiore a 10 mt. dalle finestre del
Lenti; – compensava per intero le spese giudiziali.

formulava, a sua volta, appello incidentale in ordine alla mancata condanna alle spese
della controparte alle spese del giudizio di primo grado), la Corte di appello di Lecce-sez.
dist. di Taranto, con sentenza n. 136 del 2007 (depositata il 25 maggio 2007), rigettava il
gravame incidentale ed accoglieva, per quanto di ragione, quello principale, onde, in
parziale riforma della sentenza impugnata, riconosciuto il diritto del Lenti al mantenimento
delle finestre lucifere in corrispondenza del vano bagno e del vano cucina, disponeva a suo
carico la riduzione delle luci prospicienti la proprietà Liuzzi in conformità delle prescrizioni di
cui all’art. 901 c.c., munendo ciascuna di esse di un’inferriata idonea a garantire la
sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo con maglie non maggiori di 3 cm.
quadrati ed elevando il lato inferiore delle medesime ad un’altezza non minore di due mt.
dal pavimento del vano al quale dare luce ed aria. Con la stessa sentenza la Corte
tarantina dichiarava compensate tra le parti le spese del grado nella misura di 1/4, ponendo
la residua parte a carico del Liuzzi Michele.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale ravvisava la fondatezza dell’appello
avanzato nell’interesse del Lenti con riferimento al riconoscimento della facoltà in suo
favore, in relazione alle finestre lucifere aperte senza il consenso del comproprietario Liuzzi
Michele (o del suo dante causa) sul muro comune nella maggiore altezza realizzata dallo
stesso Lenti (ovvero dal suo dante causa) senza alcuna volontà del medesimo di
concorrere nella sua sopraelevazione, del diritto alla tenuta delle luci regolarizzandole nei
termini previsti dall’art. 901 c.c. (come era stato, del resto, richiesto in via alternativa dal
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Interposto appello da parte del Lenti Cosimo, al quale resisteva il Liuzzi Michele (che

Liuzzi nell’originaria citazione). La stessa Corte tarantina respingeva, poi, l’appello
incidentale del Liuzzi, ritenendo giustificata la compensazione delle spese disposta con la
sentenza di prime cure.
Avverso la suddetta sentenza di appello (notificata il 12 febbraio 2008) ha proposto
tempestivo e rituale ricorso per cassazione il Lenti Cosimo, articolato in due motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto — in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – la
violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 900 c.c., indicando — ai sensi dell’art.
366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile, risultando la sentenza impugnata pubblicata il
25 maggio 2007) — il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se può il giudice del merito,
senza l’ausilio di una consulenza tecnica (comunque invocata) oppure (ancor peggio)
senza l’ispezione giudiziale dei luoghi, mezzi questi istruttori posti dalla legge nella sola
disponibilità del magistrato, e nell’assenza — come nel caso di specie — di altro adeguato
mezzo istruttorio, vagliare in maniera puntuale il discrimine fissato dall’art. 900 c. c. per
distinguere una luce da una veduta?”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato — in virtù dell’art. 360, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché — in ordine
all’art. 360, n. 5, c.p.c. — il vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione
circa il punto controverso e decisivo del giudizio relativo al riconoscimento, con la sentenza
impugnata, del diritto, in suo favore, di tenere aperte sul proprio muro quelle che erano
state considerate finestre lucifere e, nel contempo, lo si era obbligato a conformarsi ai
requisiti di cui all’art. 901 c.c. .
3. Rileva il collegio che le due censure non sono provviste della idonea formulazione del
requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nel
caso di specie) e, pertanto, non sono meritevoli di pregio.
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L’intimato Liuzzi Michele non ha svolto attività difensiva nella presente fase di legittimità.

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Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel
prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai
fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da
parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai
numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5

illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto
ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre,
ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (il cui oggetto riguarda il solo
“iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera
da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a
giustificare la decisione.
Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale,
inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente
desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, né può consistere o essere ricavato dalla

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semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla
fattispecie, poiché una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della
suddetta norma codicistica), deve escludersi che il ricorrente si sia attenuto alla rigorosa
previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poiché:
con riferimento al primo motivo, implicante la dedotta violazione degli artt.
115 c.p.c. e 900 c.c., il ricorrente ha concluso lo svolgimento della censura
motivo con l’indicazione di un quesito (come precedentemente riportato)
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della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua

assolutamente generico e privo di una idonea specificazione della
correlazione con il “decisum” della Corte territoriale, la cui formulazione non
risulta certamente congrua ad assumere rilevanza ai fini della decisione del
motivo ed a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in
relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009),

con la prospettata doglianza, ha inteso piuttosto dedurre un vizio
motivazionale circa l’apprezzamento delle risultanze dello stato dei luoghi
(senza assolvere, in ogni caso, all’onere processuale stabilito dal citato art.
366 bis c.p.c.);
con riferimento al secondo motivo, relativo alla prospettazione di un vizio di
carenza di motivazione e di una supposta violazione di legge con riferimento
agli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., manca la formulazione di un’autonoma
e specifica sintesi del vizio logico inerente alla dedotta inadeguatezza
motivazionale così come difetta l’illustrazione del necessario quesito di
diritto, prescritto dal menzionato ari. 366 bis c.p.c., in ordine alla denunciata
violazione e falsa applicazione delle predette norme.
Ad ogni modo, è opportuno osservare che — contrariamente a quanto infondatamente
dedotto dal ricorrente – dalla sentenza di primo grado risulta che era stata disposta
indagine tecnica d’ufficio per l’accertamento dello stato dei luoghi, per come confermato
anche con la sentenza di appello, nella quale, inoltre, si precisa — con motivazione logica
ed adeguata – che l’oggetto della domanda originaria del Liuzzi riguardava le due luci
poste più in basso a servizio del vano bagno e del vano cucina (di cui era stata invocata
l’eliminazione ovvero la riduzione “ex lege”, come poi disposta con la sentenza di secondo
grado, sul presupposto che trattavasi, perciò, di luci e non propriamente di vedute).

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senza, oltretutto, trascurare di evidenziare che, in effetti, la difesa del Lenti,

4. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere
integralmente respinto, senza farsi luogo ad alcuna pronuncia sulle spese della presente
fase di legittimità, poiché l’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 28 gennaio 2014.

La Corte rigetta il ricorso.

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