Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4934 del 03/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4934 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2215/’08) proposto da:
PICCO IRMA (C.F.: PCC RMI 32B52 D202H), rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Guido Bronsino, Nicola Bosco e Antonio
Monaco ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli ultimi due difensori, in Roma,
via Cola di Rienzo, n. 297; – ricorrente contro
VIRANO ALBERTO (C.F.: VRN LRT 66A22 D202X) e PERRIELLO MARIA (C.F.: PRR
MRA 67S48 A783H), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale a margine del
controricorso, dall’Avv. Giulio Bellini ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, in
Roma, via Archimede, n. 138; – controricorrenti e
– intimati –

GRIOTTO ROMANO e COCCOLO INES;
i
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Data pubblicazione: 03/03/2014

Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1979 del 2006, depositata il 18
dicembre 2006 e non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2014 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv.ti Guido Francesco Bronsino, per la ricorrente, e Guido Bellini, per i

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Aurelio Golia, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 17 dicembre 2003, la sig.ra Picco lrma, nella qualità
di proprietaria in Cumiana (v. ai Monti, n. 27) di un fabbricato con antistante marciapiede,
conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pinerolo, i sigg. Virano Pietro Alberto e
Perriello Maria, quali proprietari dell’immobile confinante, esponendo che dalla planimetria
allegata al suo atto di acquisto risultava che la scala a confine con l’immobile poi acquistato
dai predetti convenuti era di sua proprietà, sebbene soggetta ad uso comune e, siccome i
predetti convenuti accampavano di essere comproprietari della menzionata scala e vi
depositavano tavolini e vasi (di cui alcuni sulla finestra), chiedeva all’adito Tribunale che si
accertasse che le indicate scale erano di sua esclusiva proprietà, con condanna dei
medesimi convenuti alla rimozione degli oggetti sulle stesse depositati.
Nella costituzione dei suddetti convenuti ed integrato il contraddittorio nei confronti dei sigg.
Griotto Romano e Coccolo Ines (ai quali si riteneva che la causa fosse comune e che
rimanevano, peraltro, contumaci), il Tribunale di Pinerolo, con sentenza n. 359 del 2005,
rigettava la domanda attorea sul presupposto che la scala apparteneva in comproprietà alle
parti principali (costituite) della causa, condannando l’attrice alla rifusione delle spese
giudiziali.
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controiricorrenti;

Interposto appello da parte della Picco e nella resistenza dei soli appellati Virano e
Perriello, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 1979 del 2006 (depositata il 18
dicembre 2006), respingeva il proposto gravame e condannava la Picco al pagamento
anche delle spese del secondo grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte piemontese confermava la statuizione di prime

dall’art. 1117 c.c. e rilevata l’insussistenza di un titolo contrario all’operatività della stessa,
risultando dai titoli di provenienza delle parti il riferimento alla scala oggetto del contendere
del termine “comune” utilizzato sia per definire i confini dei diversi lotti sia per chiarire e
precisare le correlazioni tra i diversi lotti nelle condizioni particolari, senza che potessero
ritenersi rilevanti, in funzione dell’emergenza di un diverso risultato, i dati descrittivi
desumibili dalle mappe catastali, ai quali era riconoscibile un mero significato sussidiario
(che avrebbe, quindi, potuto essere utilizzato solo nell’eventualità in cui i titoli avessero
presentato ambiguità o lacune).
Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la sig.ra Picco
Irma, articolato in tre motivi. Gli intimati Virano Alberto Pietro e Perriello Maria si sono
costituiti con controricorso, mentre le altre parti pure intimate non hanno svolto attività
difensiva in questa sede.
Il difensore della ricorrente ha anche depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. .

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto — in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – la
violazione falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale aveva
trascurato di valorizzare l’intenzione dei contraenti nell’atto pubblico di provenienza
stipulato tra la stessa Picco Irma e i danti causa dei sigg. Virano e Perriello, laddove
l’esatta linea di confine era stata individuata ponendo riferimento alla planimetria
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cure con la quale era stata ritenuta applicabile, nel caso di specie, la presunzione prevista

sottoscritta dalle parti contraenti del rogito ed allegata all’atto divisionale, il quale, oltretutto,
faceva ad essa espresso richiamo.
A corredo del dedotto motivo la ricorrente ha indicato — ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.
(“ratione temporis” applicabile, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 18 dicembre
2006) — il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se in materia di divisione negoziale di

tipo di frazionamento, da loro sottoscritto ed espressamente richiamato nel rogito
divisionale, in caso di apparente divergenza tra il testo letterale dell’atto e la
rappresentazione grafica costituita dal tipo di frazionamento e dalla planimetria allegata al
medesimo rogito, nell’interpretazione della reale volontà negoziale debba o meno prevalere
detta rappresentazione”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato — in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il
giudizio riferito alla circostanza di cui alla prima censura, sostenendo l’inadeguatezza del
percorso logico adottato nella sentenza impugnata nella parte in cui essa si era discostata
dall’indagine sulla reale e comune intenzione delle parti, limitandosi alla lettura della parole
usate nel testo dell’atto negoziale.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato — ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. — la
supposta violazione dell’art. 345 c.p.c., formulando, al riguardo, in virtù del citato art. 366
bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se rientri o meno nel divieto stabilito
dall’art. 345 c.p.c. la produzione degli atti pubblici notarili; dica, altresì, la S. C. se rientri o
meno in tale divieto la produzione di memorie tecniche di parte, da considerare di natura e
contenuto equivalente agli atti provenienti dal difensore della parte costituita in giudizio”.

4. Rileva il collegio che i primi due motivi — esaminabili congiuntamente in quanto
strettamente connessi, essendo riferiti, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del
vizio di motivazione, alla stessa doglianza — sono fondati per le ragioni che seguono.
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beni immobili, qualora la volontà dei contraenti sia nel senso di procedervi in conformità del

Con le due censure (assistite dall’idoneo assolvimento del requisito prescritto dall’art. 366
bis c.p.c.), la ricorrente ha inteso confutare la sentenza impugnata rilevando che la Corte
territoriale si era limitata alla mera espressione (“scala comune”) utilizzata nel rogito di
divisione del 1970 (quale atto di provenienza presupposto del contratto di vendita oggetto
del contendere), senza, tuttavia, procedere — al fine di giungere all’individuazione

espressa dalle parti contraenti al momento della conclusione del suddetto atto pubblico di
provenienza e, soprattutto, senza valorizzare la planimetria ad esso allegata con il tipo di
frazionamento, espressamente richiamato nel medesimo atto notarile.
I due motivi sono meritevoli di pregio perché la Corte di appello piemontese, al di là del
mancato esame del contenuto complessivo dell’atto negoziale in questione (nello stesso
controricorso, peraltro, si afferma che in esso era stata usata l’espressione “la scala resterà
comune” e non “scala comune”, in tal senso adottandosi una terminologia equivoca in
relazione all’effettiva attribuzione petitoria in regime di comunione della stessa, non
potendosi escludere il riferimento alla sola mera utilizzazione della scala), la Corte di
appello non ha valorizzato il dato – in funzione dell’interpretazione dell’effettiva intenzione
delle parti contraenti — del riferimento alle risultanze della planimetria alla quale era stato
fatto univoco richiamo e che formava parte integrante nel negozio divisionale presupposto,
le quali avrebbero dovuto svolgere una funzione essenziale in chiave ermeneutica per
stabilire l’effetto regime giuridico che si era inteso assegnare alla scala.
Inoltre, ancorché sia esatto qualificare le mappe catastali come fonti di valutazione
semplicemente sussidiaria (alle quali, peraltro, non può farsi ricorso a fronte di un
riferimento letterale del titolo che risulti univocamente interpretabile), la Corte di merito ha,
nella fattispecie, omesso di considerare che la planimetria allegata all’atto notarile
divisionale (con l’allegazione del relativo tipo di frazionamento) — contenente l’esatta
individuazione delle parti oggetto della convenzione ed opportunamente distinte ai fini delle
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dell’intenzione effettiva dei contraenti – ad una valutazione complessiva della volontà

attribuzioni ai condividenti — formava propriamente parte integrante del predetto atto
notarile, ragion per cui non avrebbe potuto essere completamente obliterato in funzione
della valutazione, sul piano ermeneutico, del contenuto dell’atto medesimo.
A tal proposito, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 10698 del 1994; Cass. n.
11744 del 1999; Cass. n. 15304 del 2006 e. da ultimo, Cass. n. 20131 del 2013) ha

immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti circa
l’estensione dell’immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di
frazionamento approvato dai contraenti ed allegato all’atto notarile trascritto, e
l’indicazione dei confini risultante dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari
valore. Pertanto, si è specificato (v. Cass. n. 5123 del 1999 e Cass. n. 6764 del 2003) che
le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte
integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti
nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del
negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione
dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle
dette planimetrie, il compito di risolvere la “quaestio voluntatis” della maggiore o
minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame
complessivo del contratto.

Da ciò consegue che il giudice del merito chiamato ad interpretare la volontà negoziale in
un contratto di trasferimento di bene immobile è tenuto ad utilizzare il tipo di frazionamento
e la planimetria catastale ai quali le parti abbiano posto univoco riferimento, onde, in caso
di configurazione di dati contrattuali configgenti con tali documenti, egli deve risolvere la
“quaestio voluntatis” in base all’esame complessivo del contratto stesso (e, quindi,
valorizzando adeguatamente anche le risultanze planimetriche formanti parte integrante del

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condivisibilmente statuito che nell’interpretazione dei contratti di compravendita

rogito di provenienza), offrendo una motivazione che risponda ai requisiti di logicità e
sufficienza (per potersi sottrarre al controllo in sede di legittimità).
A questo compito non ha assolto, nel caso di specie, la Corte di secondo grado che, per un
verso, non si è conformata ai richiamati principi di diritto e, per altro verso, non ha
valorizzato il criterio ermeneutico principale (previsto dall’art. 1362, comma 1, c.c.)

dei contraenti (in sede di conclusione dell’atto divisionale di provenienza) a fronte di
un’espressione letterale incerta ed ambigua, soprattutto omettendo di spiegare, in
presenza di questo presupposto, se, pur attribuendo al significato letterale dell’espressione
adoperata quello secondo cui era stato inteso conservare un regime di comproprietà sulla
scala tra i condividenti, tale valutazione fosse risultata divergente rispetto all’allegata
planimetria ed al frazionamento espressamente menzionati e richiamati nel testo del rogito
divisionale (con particolare riguardo alle attribuzioni operate in favore della Picco Irma,
dante causa degli attuali controricorrenti), quali documenti che ricoprivano, alla stregua di
quanto precedentemente evidenziato, un’efficacia probatoria di pari valore in funzione
dell’accertamento dell’effettiva portata complessiva del contratto.
5. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, devono essere accolti i
primi due motivi del ricorso, da cui deriva l’assorbimento del terzo (riguardante una
questione processuale dipendente), con la conseguente cassazione della sentenza
impugnata ed il correlato rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino che, oltre
a conformarsi ai principi di diritto precedentemente enunciati, provvederà anche sulla
regolazione delle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

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riconducibile alla necessità di indagare su quale fosse stata l’effettiva intenzione comune

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa la
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente
giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 28 gennaio 2014.

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