Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4931 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 25/02/2020), n.4931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25839-2018 proposto da:

ALDEBERAN SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTAVIANO 91, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE D’OTTAVIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GABRIELE D’OTTAVIO;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO

440 presso lo studio dell’avvocato FRANCO TASSONI che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SALVATORE ATTINA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 447/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TURCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 18/7/2017, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha accertato l’inoperatività della garanzia assicurativa prestata da Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a. in favore della Aldeberan s.r.l., con il conseguente accertamento della insussistenza del diritto di quest’ultima di percepire l’indennità assicurativa dalla stessa rivendicata in giudizio;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha sottolineato come il primo giudice avesse correttamente evidenziato l’avvenuto tardivo pagamento, da parte della società assicurata, della rata di premio relativa al periodo in cui ebbe a verificarsi il sinistro dedotto in giudizio, a nulla rilevando l’avvenuta tempestiva corresponsione materiale di tale rata nelle mani di un terzo soggetto, rispetto al quale legittimamente, secondo i giudici d’appello, il primo giudice aveva escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle norme in tema di adiectus solutionis causa (ex art. 1188 c.c.), o in tema di pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c.;

che, avverso la sentenza d’appello, la Aldeberan s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

che la Generali Italia s.p.a. (già Assitalia – Le Assicurazioni di Italia S.p.A.), resiste con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 1199,2733,2735 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il giudice d’appello erroneamente interpretato le risultanze delle prove acquisite nel corso del giudizio senza attribuire efficacia dirimente di prova legale, confessoria dell’avvenuto tempestivo pagamento del premio assicurativo, alla quietanza di pagamento del premio rilasciata alla società assicurata e da quest’ultima ritualmente depositata in giudizio;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come la doglianza in esame risulti obiettivamente conformata in guisa tale da non consentire alcuna adeguata identificazione degli specifici punti della motivazione della sentenza impugnata sottoposti a censura, avendo la società ricorrente trascurato di svolgere in modo accurato le dovute enunciazioni e argomentazioni in iure dirette a evidenziare l’inosservanza delle norme sulle prove espressamente richiamate, tanto sotto il profilo della relativa violazione diretta, quanto in relazione all’eventuale falsa applicazione delle stesse, omettendo infine di procedere all’analitica considerazione della lunga motivazione attraverso la quale le risultanze probatorie acquisite risultano complessivamente apprezzate nella sentenza impugnata;

che, conseguentemente, il motivo in esame, nella misura in cui si riduce a una mera discussione delle risultanze probatorie, limitandosi a enunciare, solo all’esito della relativa valutazione, le quaestiones iuris asseritamente prospettate, rivela la sua intrinseca finalità, sostanzialmente diretta a promuovere una surrettizia rivisitazione nel merito dei fatti di causa, sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede di legittimità;

che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente confermato la statuizione di primo grado in relazione al mancato esperimento, da parte della società ricorrente, della domanda di tutela ex art. 1189 c.c., ossia in relazione alla rivendicazione dei presupposti in tema di pagamento in favore di creditore apparente;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo – ferma la mancata precisa individuazione, da parte della società ricorrente, del modo in cui la pretesa domanda di cui i giudici di merito hanno negato la proposizione era stata proposta (nonchè della localizzazione di tale proposizione, non adeguatamente supportata dai passi degli atti processuali riprodotti nelle pagg. 13-15 del ricorso) – varrà richiamare il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale l’interpretazione operata dal giudice di appello, riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale, è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (Sez. L, Sentenza n. 17947 del 08/08/2006, Rv. 591719 – 01; Sez. L, Sentenza n. 2467 del 06/02/2006, Rv. 586752 – 01);

che, peraltro, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (Sez. 3, Sentenza n. 21087 del 19/10/2015, Rv. 637476 – 01),

che, nella specie, la ricorrente, lungi dallo specificare i modi o le forme dell’eventuale scostamento del giudice a quo dai canoni ermeneutici legali che ne orientano il percorso interpretativo (anche) della domanda giudiziale, risulta essersi limitata ad argomentare unicamente il proprio dissenso dall’interpretazione fornita dal giudice d’appello, così risolvendosi le censure proposte ad una questione di fatto non proponibile in sede di legittimità;

che, in ogni caso, varrà evidenziare come la corte territoriale abbia espressamente rilevato, ad abundantiam, l’insussistenza effettiva e concreta dei presupposti per l’invocazione della tutela ex art. 1189 c.c.;

che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente, irrazionale, contraria alle regole di esperienza e priva di alcuna riconoscibile consistenza logica;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;

che, infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poichè intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;

che, in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);

che, ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili alle fonti di prova esaminate e del grado della relativa attendibilità sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

che l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

che, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate – cui la memoria da ultimo depositata dalla ricorrente non risulta aver apportato alcun decisivo contributo in senso contrario – dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna parte, in Euro 2.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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