Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4930 del 03/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4930 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 3946-2008 proposto da:
DELI CARLO DLECRL48B15H501V, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CIPRO 46, presso lo studio dell’avvocato
NOSCHESE GIOVANNI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato NOSCHESE VINCENZO;
– ricorrente –

2014
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contro

DE JULIS FEDERICO DLSFRD27E26E569V, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA A. TRAVERSARI 55, presso lo
studio dell’avvocato MARZANO GIUSEPPE, rappresentato e
difeso dall’avvocato CIUCCI BERARDINO;

Data pubblicazione: 03/03/2014

- controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 366/04
depositata il 3/06/2004 e la sentenza n. 795/2007
depositata il 18/10/2007, della CORTE D’APPELLO di
L’AQUILA;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

,
4

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 1990 Federico De Julis conveniva in
giudizio Angelo Deli ed esponeva di essere proprietario
di un fondo confinante con quello di proprietà del
convenuto e che tra i due fondi esisteva un muro

avevano costruito; dopo la demolizione dei due
fabbricati, avvenuta nel 1985, il Deli aveva costruito,
nel 1987, un muro a secco nella proprietà dell’attore.
Tanto premesso, l’attore chiedeva che il convenuto
fosse condannato a rilasciare la porzione di terreno
invasa previa rimozione del muro a secco.
Il convenuto si costituiva contestando la domanda
attorea anche per mancanza di prova sull’estensione
della sua proprietà.
Il

Pretore

adito,

con

sentenza

del

19/5/1998,

qualificata la domanda come domanda di rivendica, la
rigettava ritenendo non fornita la prova del diritto
dominicale posto a fondamento della domanda attrice.
De Julis proponeva appello deducendo che la prova della
fondatezza della sua domanda doveva ricavarsi dalle
testimonianze assunte e dalla CTU ; chiedeva ammettersi
prove testimoniali in merito all’usucapione della
proprietà dell’area occupata dal convenuto e chiedeva

portante in aderenza al quale entrambi i confinanti

di essere dichiarato proprietario dell’area in contesa
anche per effetto di usucapione.
Il Deli chiedeva il rigetto dell’appello e dopo il suo
decesso, la causa era riassunta nei confronti dei suoi
eredi, Maria Quintiliani, Letizia, Lino e Carlo Deli;

proprietario del bene che gli era stato donato dal
padre;richiamava le precedenti difese.
Con sentenza non definitiva del 2004 la Corte di
Appello dichiarava il difetto di legittimazione passiva
di Maria Quintiliani, Letizia e Lino Deli, rigettava
l’eccezione di novità della domanda di usucapione e
ammetteva la prove dirette a dimostrare l’acquisto per
usucapione.
Dopo l’espletamento dell’istruttoria la causa era
decisa dalla Corte di Appello di L’Aquila con sentenza
definitiva del 18/10/2007.
La Corte di Appello rilevava:
– che con la sentenza di appello non definitiva era
stato ritenuto che il titolo per il quale si acquista
la proprietà, nelle azioni a tutela del diritto reale,
non attiene alla causa petendi (che rimane sempre il
diritto di proprietà, quale diritto autodeterminato),
ma alla prova di tale diritto e di conseguenza era

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quest’ultimo si costituiva deducendo di essere l’unico

stato escluso che fosse una nuova domanda quella
domanda diretta a dimostrare che la proprietà, fin
dall’inizio posta a fondamento dell’azione, era stata
acquistata per usucapione;

che pertanto la questione dell’ammissibilità del

indicato in primo grado, non poteva essere esaminata
con la sentenza definitiva, trattandosi di questione
già definita con effetto vincolante nella prosecuzione
del giudizio, con la sentenza non definitiva;

che le nuove prove erano ammissibili in appello

trattandosi

di

giudizio

regolato

dalle

norme

processuali anteriori alla riforma del 1995;

che le prove raccolte univocamente dimostravano

l’usucapione essendosi accertato che un muro portante
comune da oltre un ventennio aveva diviso le due
proprietà e che sul muro si appoggiava il fabbricato
del De Julis, da lui utilizzato in via esclusiva in
parte per abitazione e in parte per stalla; dopo la
demolizione del muro e dei fabbricati che vi si
appoggiavano, il Deli aveva invece costruito il muretto
a secco non sulla linea dell’originario confine, ma per
circa metri 1,40 all’interno dell’area sulla quale
insisteva il precedente fabbricato dell’attore.

riferimento ad un titolo di acquisto diverso da quello

Carlo Deli ha proposto ricorso contro la sentenza non
definitiva e quella definitiva affidato a due motivi.
Federico De Julis ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
l. Con il primo motivo il ricorrente deduce la

sia il primo giudice che la Corte di Appello, nella
sentenza non definitiva così come in quella definitiva
avrebbero erroneamente qualificato la domanda proposta
dal De Julis come azione di rivendica, mentre doveva
essere qualificata domanda di regolamento di confine
perché, essendosi contestata l’estensione della
proprietà attorea ed essendo stato conferito al CTU
l’incarico di accertare l’estensione delle rispettive
proprietà, non era stata proposta un’azione di
rivendica per il riconoscimento del diritto di
proprietà, ma solo l’accertamento dell’esatta linea di
demarcazione tra i due fondi.
La domanda di usucapione, formulata solo nell’atto di
appello doveva pertanto essere qualificata domanda
nuova, rispetto a quella iniziale di regolamento di
confini e il giudice di appello avrebbe dovuto
limitarsi ad decidere sull’unica azione tempestivamente
proposta, di regolamento dei confini.

violazione degli artt. 948 e 950 c.c. sostenendo che

Il ricorrente, formulando il quesito di diritto ai
sensi dell’art.
applicabile

366 bis c.p.c,

ratione temporis,

ora abrogato, ma

chiede se nel caso di

azione diretta alla restituzione di una parte di fondo
che si asserisce occupato dal proprietario confinante

dei rispettivi titoli di proprietà possa condurre a
qualificare l’azione come un’azione di rivendica.
1.1 H motivo è inammissibile sotto il profilo della
violazione degli artt. 948 e 950 c.c. perché si
contesta

la

qualificazione

della

domanda

ossia

l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della
domanda e questa contestazione integra un tipico
accertamento in fatto, insindacabile in cassazione
salvo che sotto il profilo della correttezza della
motivazione della decisione impugnata sul punto.
Sotto il profilo del vizio di motivazione,

che

implicitamente è dedotto, deve rilevarsi che
l’interpretazione della domanda da parte dei giudici
del merito, come domanda di rivendica e non di
regolamento di confini è assolutamente coerente con il
contenuto dell’atto di citazione (non rilevano sulla
qualifica della domanda, che deve essere operata sulla
base dell’atto di citazione, le difese del convenuto o

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oltre il confine originario, la mancata contestazione

il tipo di attività istruttoria svolta) il cui senso
letterale e il cui contenuto sostanziale, in relazione
alle finalità che la parte intende perseguire, non
risulta male interpretato; infatti l’attore ha agito
qualificandosi proprietario e non ha mai dedotto

l’invasione del terreno di sua proprietà che possedeva
e che era stato invaso dal convenuto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la
violazione dell’art. 324 c.p.c. e sostiene che la
sentenza di primo grado, che aveva erroneamente
qualificato la domanda proposta come domanda di
rivendica, rigettandola, è passata in giudicato perché
l’appellante non aveva proposto impugnazione sulla
mancata qualificazione della domanda come
originariamente proposta e l’attore dovrebbe iniziare
un nuovo giudizio per agire in rivendica.
Il ricorrente,

formulando il quesito, chiede se,

proposta una domanda che il giudice qualifichi in
maniera errata e diversa rispetto alla reale
qualificazione, sia onere dell’attore impugnare la
sentenza.
2.1 n motivo si fonda sul presupposto che sia stata
originariamente proposta una domanda di regolamento di

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un’incertezza sulla linea confinaria, ma solo

confini, erroneamente qualificata dai giudici del
merito, ma siccome, per le ragioni già esposte nel
rigettare il primo motivo, il presupposto è totalmente
infondato, il motivo deve essere rigettato.
3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con

pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Deli Carlo a
pagare a Federico De Julis le spese di questo giudizio
di cassazione che liquida in euro 2.000,00 per compensi
oltre euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, addì 9/1/2014.

la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al

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