Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 493 del 14/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/01/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 14/01/2021), n.493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8298-2019 proposto da:

C.A., rappresentata e difesa dall’avv.to P.R. con

studio in Ciampino, via Dalmazia n. 19;

– ricorrente –

contro

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO DI PIETROPAOLO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6337/2018 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– la sig.ra R.L. con atto di citazione notificato in data 12/6/2017, premesso che era proprietaria dell’immobile situato in (OMISSIS) in virtù della sentenza del Tribunale di Roma n. 13559/1985 con la quale veniva trasferita a suo favore la proprietà dell’immobile ex art. 2932 c.c., convenne in giudizio la C. chiedendo il rilascio del suddetto immobile;

– si costituì la convenuta (che il (OMISSIS) aveva introdotto un autonomo giudizio di usucapione sul medesimo immobile) chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la dichiarazione in suo favore dell’acquisto della piena proprietà dell’immobile per intervenuta usucapione;

– l’adito Tribunale di Roma, riuniti i due suddetti giudizi, accolse la domanda della R. e condannò la convenuta al rilascio;

– proposto gravame, la C. ha poi impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Roma che ha dichiarato infondata la sua doglianza in quanto, dal riesame effettuato in merito alle risultanze probatorie agli atti di causa, non erano emersi elementi utili per una dimostrazione univoca e rigorosa della sussistenza dei requisiti del possesso ad usucapionem in suo favore;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dalla C. sulla base di due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., cui resiste con controricorso R.L.;

– il relatore designato ha formulato proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il Collegio condivide la proposta del Relatore;

– in primo luogo va rilevato che entrambi i motivi di ricorso, pur rubricati con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, omettono di indicare le disposizioni di diritto sostanziale o processuale la cui violazione vizierebbe la sentenza impugnata; ciò determina una carenza di specificità dei motivi di impugnazione che di per se stessa impedisce al ricorso di superare il vaglio di ammissibilità.

– in secondo luogo va, comunque, sottolineato che il primo motivo è inammissibile perchè pur denunciando un vizio di violazione di legge, censura un giudizio di fatto, ossia il giudizio con cui la corte di appello ha qualificato la relazione della C. con l’immobile come godimento per tolleranza per motivi di parentela; tale giudizio di fatto è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (non dedotto nel motivo di ricorso in esame) ed al medesimo la corte capitolina è motivatamente pervenuta sulla scorta delle risultanze testimoniali e valorizzando la circostanza che la C. aveva coabitato con persone che avevano ricevuto a quel titolo l’immobile, così, in definitiva qualificando la stessa come sub-detentrice, ossia detentrice che detiene l’immobile per la permissio di altro detentore, quanto meno fino al 1993 (con conseguente mancata maturazione del ventennio ad usucapionem all’epoca della instaurazione del contenzioso giudiziale);

– il secondo motivo, con cui si lamenta l’erronea valutazione della situazione di compossesso vantata dalla C. e, conseguentemente, si sostiene che la corte capitolina avrebbe errato nel non addossare alla R. l’onere di provare di avere interrotto il possesso della stessa C., è inammissibile perchè, al pari del primo, muove dal presupposto di fatto dell’esistenza, in capo alla ricorrente di una situazione possessoria che, per contro, il giudice di merito ha escluso (qualificando la relazione della ricorrente con l’immobile come detenzione) sulla scorta di un giudizio di fatto non censurabile in questa sede se non con il mezzo, e nei limiti, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

– il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, risultando i precedenti di questa Corte richiamati nella memoria ex 380 bis c.p.c., non correlati ai termini della vicenda per come inquadrata, in fatto, dal giudice territoriale.

– le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente;

– ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in Euro 4.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile-2, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

 

 

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