Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4929 del 02/03/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4929 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: FIECCONI FRANCESCA

SENTENZA

sul ricorso 7514-2015 proposto da:
GAUDENZI

STEFANO

LEONE,

LENZINI

GIUSEPPE,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,
presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI,
rappresentati e difesi dagli avvocati STEFANO L.
GAUDENZI, GIUSEPPE LENZINI difensori di sé medesimi;
– ricorrenti –

2018
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contro

VIGNOLI PAOLO UMBERTO, elettivamente domiciliato in
ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 142, presso lo studio
dell’avvocato DAMIANO FORTI, rappresentato e difeso

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Data pubblicazione: 02/03/2018

dall’avvocato VITTORIO CASALI giusta procura speciale
in calce al ricorso notificato;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 375/2014 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 05/02/2014;

udienza del 16/01/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA
FIECCONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per
l’accoglimento del l ° motivo del ricorso, assorbiti
gli altri;
udito l’Avvocato GIUSEPPE LENZINI e STEFANO GAUDENZI;
udito l’Avvocato VITTORIO CASALI;

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

7514 2015

1. Nell’anno 1997 l’arch. Umberto VIGNOLI presentava un esposto sottoscritto da 38 firmatari – al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Ravenna a carico degli avvocati Stefano leone GAUDENZI e Giuseppe
LENZINI, lamentando violazioni dei doveri di correttezza e deontologia
professionale nella gestione di un vicenda collegata a un appalto, cui era
seguito un procedimento disciplinare nei loro confronti, successivamente
archiviato. In punto di fatto la controversia trae origine da due denunce
querele contro ignoti presentate in data 23 giugno 1999 presso la procura di
Ravenna dagli avvocati Stefano Leone GAUDENZI e Giuseppe LENZINI, i
quali riferivano di aver appreso dai coniugi Francesco MORINI e Angela
TORCELLAN, che figuravano tra i sottoscrittori dell’esposto inviato all’Ordine
degli avvocati presentato dall’arch. VIGNOLI, che gli stessi non lo avevano
affatto sottoscritto e che avevano rilasciato all’arch. Vignoli solo alcune
firme in bianco nel corso dell’assemblea condominiale tenutasi nello studio
del medesimo, non per essere utilizzate per l’esposto. L’arch. Vignoli,
raggiunto da un decreto penale di condanna per il reato di abuso di foglio
firmato in bianco, proponeva opposizione e all’esito del dibattimento veniva
assolto. Quest’ultimo quindi agiva
nei confronti dei due avvocati per
ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del processo penale
che lo aveva esposto a un rilevante discredito, lo aveva distolto
dall’esercizio della sua attività professionale. e lo aveva costretto ad
affrontare spese ingenti di assistenza e difesa legale. Il tribunale di
Ravenna, con sentenza n. 72/2007 rigettava la domanda di risarcimento
escludendo il carattere calunnioso delle denunce sporte dai due legali e, in
particolare, che i riferimenti all’arch. Vignoli contenuti nelle denunce contro
ignoti fossero idonei a identificare l’autore del reato denunciato.
2. Avverso la sentenza di primo grado veniva svolto appello dall’arch. Vignoli.
Per quanto qui di interesse, la Corte d’appello di Bologna, con sentenza
numero 375 del 2014, emessa in data 10 dicembre 2013 e pubblicata il 5
febbraio 2014, riformava la sentenza di primo grado e accoglieva la
domanda dell’arch Vignoli per l’ammontare complessivo di €12.560,00, oltre
le spese di lite dei due gradi sull’assunto che i) il reato di calunnia esige che
chi formula la falsa accusa abbia la certezza dell’innocenza dell’incolpato e
che tale requisito sia escluso dall’ erronea convinzione della colpevolezza
della persona accusata, ii) l’erroneo convincimento dell’accusatore non
debba basarsi su semplici supposizioni, ma su elementi seri e concreti,
ovvero su circostanze non solo veritiere, ma la cui forza rappresentativa sia
tale da indurre una persona di normale cultura e capacità di discernimento a
ritenere la colpevolezza dell’accusato (citando in proposito Cass. N. 29117
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SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Quale primo motivo di ricorso Stefano Leone Gaudenzi e Giuseppe Lenzini
deducono la violazione falsa applicazione di norme di diritto in base
all’articolo 360 comma 1, numero 3 cod.civ. in relazione all’articolo 368
cod.pen., 2043 cod.civ. e 2697 cod.civ., deducendo che, secondo
giurisprudenza penale consolidata, il dolo del reato di calunnia si compone
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del 2012, Cass.n. 3964 del 2009), iii) i due avvocati denuncianti non
potevano ignorare che l’esposto era stato spedito per posta da due dei 38
firmatari, mentre nella denuncia di abuso di foglio firmato in bianco si
imputava al solo arch. Vignoli la richiesta di rilascio delle firme,
attribuendogli un ruolo particolarmente attivo nella vicenda, nonostante la
denuncia fosse stata presentata contro ignoti (citando Cass.n. 7490 del
2009, Cass. n. 18.987 del 2012), iv) la dichiarazione dei due coniugi di non
avere sottoscritto l’esposto appariva ambigua, reticente e contraddittoria in
quanto, da un lato, rivelava la conoscenza da parte dei coniugi
dell’intenzione dell’arch. Vignoli di presentare un esposto al consiglio
dell’ordine, dall’altro non consentiva di comprendere se i coniugi avessero
inteso dichiarare di non essere stati messi al corrente del fatto che le firme
dovevano essere utilizzate per la presentazione di un esposto oppure di
averne solo ignorato il contenuto, né indicava i motivi per i quali gli stessi
non avevano potuto prendere visione anticipatannente del contenuto
dell’esposto e neppure precisavano a quale diverso fine erano state loro
richieste le firme bianco, v) nella sentenza penale di assoluzione dell’arch.
Vignoli risultava che le firme erano state rilasciate al Vignoli a fronte della
decisione espressa nel corso dell’assemblea dei condomini di scrivere al
Consiglio dell’ordine degli avvocati, vi) la dichiarazione di abuso dei due
coniugi era contestualmente collegata a una transazione intervenuta tra i
due legali e i coniugi stessi che erano stati minacciati di dover risarcire il
danno morale nella misura di C 30.000 ciascuno, vii) i due legali non
avrebbero dovuto ignorare la scarsa coerenza e attendibilità delle
dichiarazioni dei due coniugi, viii) l’erroneo convincimento dell’effettiva
commissione da parte del Vignoli dell’abuso di foglio firmato in bianco fosse
da ritenersi un errore non scusabile da parte dei due legali, proprio perché
basato su circostanze di fatto rappresentate da terzi in modo ambiguo e non
seriamente verificate .
3. I due legali soccombenti nel giudizio di appello svolgono ricorso per
cassazione notificato il 18/3/2015 e depositato il 30/03/2015, affidato a tre
motivi d’impugnazione. L’arch. Vignoli ha notificato controricorso con cui
chiede il rigetto del gravame. Il Pubblico Ministero, rappresentato dal
sostituto procuratore generale, ha concluso come in epigrafe alla pubblica
udienza del 16 gennaio 2018.

dell’intenzione di incolpare e della certezza dell’innocenza dell’incolpato,
sicché la calunnia non è punibile né a titolo di colpa , né di dolo eventuale
(in tal senso citando Cassazione, sentenza n. 1703 del 27 gennaio 2010,
Cass., sentenza numero 1542 del 26 gennaio 2010, Cass., sentenza n.
13.531 dell’il giugno 2009, Cass. sentenza n. 4633 del 2 marzo 2006,
Cass., sentenza n. 560 del 13 gennaio 2005, Cass. n. 15.646 del 20 ottobre
2003, Cass. sentenza n. 1536 del 24 marzo 2000). I ricorrenti deducono
che l’incertezza, l’errore, e lo stato di dubbio dell’accusatore sono tutte
circostanze idonee a escludere il dolo, e che in numerose pronunce la
giurisprudenza penale ha anche affermato l’insussistenza in capo al
denunciante di un obbligo di svolgere preventive indagini dovendosi ritenere
irrilevante la mera colpa determinata da leggerezza, di mancata riflessione,
avventatezza o comunque da errore, così come la denuncia soltanto
imprudente; inoltre rilevano che, sotto il profilo probatorio, spetta a parte
attrice l’onere di dimostrare tutti i
presupposti dell’illecito di calunnia
(Cassazione, n. 3179 dell’ 11 gennaio 2012). La sentenza impugnata
avrebbe invece fondato il giudizio di responsabilità su accertamenti e
argomentazioni che possono al più configurare l’avventatezza o imprudenza
dei ricorrenti, fondandosi sull’ ambiguità e contraddittorietà della
dichiarazione sottoscritta dai coniugi e sul mancato approfondimento delle
circostanze dell’avvenuto rilascio delle firme in bianco, nonché sul mancato
accertamento del contenuto delle decisioni
assunte nel corso
dell’assemblea, ma non il un vero e proprio intento calunnioso. Osservano
pertanto i ricorrenti che il ritenere non scusabile di un eventuale erroneo
convincimento dell’effettiva commissione da parte dell’arch. Vignoli
dell’abuso di foglio firmato in bianco non equivale, né può ritenersi
assimilabile, al dolo di calunnia. Osservano anche che il danneggiato non
aveva dimostrato tutti presupposti dell’illecito come richiesto dalla
giurisprudenza di legittimità, fondandosi la condanna su valutazioni
personali sulla capacità di avvedutezza dei due legali in ordine alla
dichiarazione resa dai coniugi, nonché su congetture non probanti.
Deducevano inoltre che il giudice penale non ha ritenuto che i querelanti
versassero in colpa grave tale giustificare una loro condanna al risarcimento
dei danni come previsto dall’articolo 427, comma 3, cod.proc.pen..
4.1.
Il motivo è inammissibile, prima che infondato. Osserva la Corte
che il giudice di merito ha ritenuto che se l’erroneo convincimento sulla
colpevolezza dell’accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di
verifica o, comunque di una corretta rappresentazione della denuncia, la
formulazione di un’accusa espressa in termini perentori connota in
senso doloso l’omissione di tale verifica o rappresentazione. Il principio
di diritto costantemente affermato da questa Corte è nel senso che la
denuncia di un reato perseguibile d’ufficio (o la proposizione della

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querela in relazione ad un fatto perseguibile a querela di parte) non è di
per sé fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante o del
querelante in caso di proscioglimento o assoluzione dell’imputato, se non
quando la denuncia o la querela possano considerarsi calunniose, nel
senso che siano volte alla consapevole attribuzione della commissione
di un reato in capo a un soggetto della cui innocenza il denunciante sia
conscio. (Sez. 3, Sentenza n. 11898 del 10/06/2016, Cass. n. 1542 del
2010; Cass. n.10033 del 2004; Cass. n. 15646 del 2003; Cass. n. 750
del 2002; Cass. n. 3536 del 2000 ). In tema di calunnia, la
consapevolezza da parte del denunciante dell’innocenza della persona
accusata è esclusa solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato
sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un
riconoscibile margine di serietà e tali da non ingenerare concretamente
la presenza di dubbi da parte di una persona, di normale cultura e
capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di
conoscenza (Sez. 6, pen., Cass.. Sentenza n. 29117 del 15/06/2012).
4.2. Nel caso di specie la Corte di merito, sulla scorta dei suddetti
principi, ha ritenuto, con dovizia di particolari, che vi fosse
consapevolezza dell’innocenza del denunciato da parte dei ricorrenti
denuncianti, sull’assunto che nella dichiarazione di abuso rilasciata dai
due coniugi vi erano elementi obiettivi, connotati da un margine di
serietà, tali da ingenerare invece seri dubbi sulla colpevolezza
dell’accusato nella persona – eiusdem condicionis
che si trovi nella
medesima situazione di conoscenza: si tratta, pertanto, di un
accertamento in fatto svolto alla luce di corretti principi di diritto e non
ulteriormente valutabile nella presente sede di legittimità, in relazione al
quale vi è logica e sufficiente motivazione in ordine alla sussistenza di
un «intento calunnioso» dei denunzianti nel formulare la denuncia
penale. L’ingiustificata attribuzione come fatto vero di un fatto obiettivamente dubbio – di cui non si è accertata la realtà presuppone
infatti la certezza della sua non riferibilità all’incolpato (v. Cass. sentenza
n. 26.819 del 2012, Cass. sentenza n. 22.922 del 2013). Ne deriva che
è inammissibile il primo motivo che tende ad un riesame di quanto
sostenuto in sede di merito in ordine alla «consapevolezza dell’altrui
innocenza» da parte dei ricorrenti, senza peraltro cogliere l’essenza
della ratio decidendi che non ha fondato il giudizio di responsabilità sulla
base di un comportamento colposo.
5. Quale secondo motivo di ricorso i ricorrenti assumono la violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3,
cod.proc.civ. in relazione all’articolo 2059 cod.civ. e 185 cod.proc.civ.. Si
deduce infatti che l’architetto Vignoli ha posto a fondamento della domanda
di risarcimento del danno non patrimoniale l’assoluzione dal reato

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contestatogli, e che, essendo mancato ogni accertamento in ordine alla
responsabilità penale dei convenuti denuncianti, la domanda dovesse essere
respinta, essendo preclusa al giudice civile la liquidazione del danno ai sensi
dell’articolo 2059 cod.civ. come danno in re ipsa. Si osserva, in proposito,
che la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell’art. 2059 cod.
civ., in relazione all’art. 185 cod. pen., non richiede che il fatto illecito
integri in concreto un reato, né occorre una condanna penale passata in
giudicato, ma è sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente previsto
come reato, sicché la mancanza di una pronuncia del giudice penale non
costituisce impedimento all’accertamento, da parte del giudice civile, della
sussistenza dei suoi elementi costitutivi (Cass.- Sez. 1, Sentenza n. 13085
del 2015). Inoltre il danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 cod.
civ., può essere desunto in forza dell’art. 115, secondo comma, cod. proc.
civ. da massime di comune esperienza (Cass.- Sez.L, Sentenza n. 777 del
19/01/2015). La dedotta violazione è pertanto un argomento inammissibile,
in quanto non tiene conto del fatto che la Corte di merito, in conformità alla
giurisprudenza sopra richiamata, ha misurato il danno risarcibile da
calunnia, derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona, di natura
non patrimoniale e valutabile in termini equitativi, ex art. 2059 cod. civ. ,
in relazione al comportamento sostanzialmente doloso tenuto dai due legali,
suscettibile di valutazione economica in quanto generatore di un dispendio
di tempo ed energie, di un verosimile patimento connesso all’esito incerto
del processo definitosi nel novembre 2002 e di un disagio dovuto alla
pubblica risonanza dello stesso in relazione alla natura dell’accusa e al
discredito professionale.
6. Quale terzo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, comma uno, numero 3
cod.proc.civ. in relazione all’articolo 1226 cod.civ., in quanto la valutazione
equitativa del danno, quantificata in C 10.000,00 con riferimento ai valori
monetari dell’epoca, sarebbe disarticolata e priva di una congrua
motivazione in ordine alla prova raggiunta e ai criteri seguiti nella sua
determinazione, discostandosi macroscopicamente dai dati di comune
esperienza che, per quanto riguarda la durata del processo penale subito
dall’architetto Vignoli, non dovrebbero differenziarsi dai parametri dettati
dalla «legge Pinto» che, in base alla durata del procedimento penale,
condurrebbero a una valutazione non superiore a C 2000,00 in valori
monetari attuali. Si osserva che l’argomento offerto non si attaglia al caso di
specie e non può costituire un parametro alla stregua del quale valutare la
congruità della valutazione compiuta dal giudice del merito, in quanto la
richiamata legge 24 marzo 2001, n. 89 – nota come «legge Pinto»disciplina l’equa riparazione per la violazione della ragionevole durata del
processo, mentre nel caso in esame il danno è costituito dalla condizione di

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso;
Spese a carico dei ricorrenti, liquidate in C 3.200,00, oltre 200,00 per esborsi,
spese forfetarie e imposte di legge;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 16 gennaio 2018
Il Presi ente
Angele,
Il Consigli e relatore
Francesca lFiecconi

turbamento interiore connotato dal patimento connesso all’esito incerto del
giudizio e dal disagio per la risonanza del processo celebrato in pubblica
udienza, il tutto calato entro una pesante cornice caratterizzata da un
dispendio di tempo ed energie per far fronte all’approntamento della difesa
e garantire la presenza alle udienze. L’argomento pertanto è parimenti
inammissibile,avendo la Corte d’appello territoriale correttamente
individuato e applicato le norme di legge nel cui alveo deve essere sussunta
la fattispecie concreta e non avendo i ricorrenti, di contro, considerato il
criterio equitativo applicato alla fattispecie in esame.
7. Alla soccombenza dei ricorrenti segue la loro condanna alle spese del
presente giudizio, liquidate come di seguito secondo i parametri vigenti,
oltre il raddoppio del contributo unificato.

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