Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4927 del 27/02/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4927 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 26814-2007 proposto da:
COMPUTER ASSOCIATES SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio
dell’avvocato PIZZONIA GIUSEPPE, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ZOPPINI GIANCARLO
2013

giusta delega a margine;
– ricorrente –

69

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

Data pubblicazione: 27/02/2013

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 137/2006 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 07/03/2007;

udienza del 10/01/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito per il ricorrente l’Avvocato ZOPPINI che ha
chiesto l’accoglimento e condanna alle spese;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 137/18/06, depositata il 7 marzo 2007, la
CTR della Lombardia, in riforma della decisione della CTP di

Associates S.p.A., avverso l’avviso d’accertamento, relativo ad
IRPEG ed IRAP, con cui era stata ripresa a tassazione, con
riferimento all’esercizio chiuso al 31.3.1999, l’indebita
deduzione di costi pari alla differenza tra la percentuale del 30%
corrisposta dalla contribuente, come da contratto, a titolo di
royalties alla casa madre americana, e quella del 7% dei
compensi, ritenuta il valore normale delle royalties stesse. I
giudici d’appello hanno affermato che l’accertamento era, del
tutto, legittimo, perché operato in conformità col capitolo della
circolare ministeriale n. 32 del 1980 relativa ai beni immateriali,
e sulla scorta di un’efficace e valida indagine dell’Ufficio.
La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza
con cinque, articolati, motivi, successivamente illustrati da
memoria, con cui invoca la formazione del giudicato esterno, a
lei favorevole, intervenuto per l’esercizio successivo. L’Agenzia
delle Entrate resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La preclusione da giudicato esterno, eccepita dalla
contribuente, a seguito dell’emissione dell’ordinanza n. 2805 del
2011, è insussistente. Con detta ordinanza, questa Corte ha
rigettato il ricorso del Fisco, avverso la sentenza che aveva

Milano, ha rigettato il ricorso proposto dalla Computer

annullato la medesima pretesa impositiva riferita all’esercizio
successivo, rilevando diversi profili d’inammissibilità del primo
motivo, avente ad oggetto vizio di motivazione, ed affermando

violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 7 e 49 d.lgs. 546/92.
In ordine a tale secondo motivo, la Corte ha considerato che la
sentenza d’appello: a) aveva correttamente sostenuto che l’onere
probatorio della pretesa impositiva gravava sull’amministrazione
e che tale onere doveva essere adempiuto -venendosi in ipotesi
di “transfer pricing”- mediante la prova del mancato rispetto del
“valore normale” nell’indicazione dei prezzi di trasferimento
(perciò, provando anzitutto quale fosse tale valore); b) aveva
affermato che la prova relativa al valore normale dei servizi “non
era stata fornita in modo sufficientemente convincente” (punto
che non era stato ammissibilmente censurato). 1.1. Tale essendo
il contenuto dell’accertamento racchiuso nella sentenza n.
176/38/2007 della CTR della Lombardia, passata in giudicato
sostanziale (col rigetto del ricorso ad opera della citata ordinanza
n. 2805 del 2011), va osservato che, in base alla giurisprudenza
di questa Corte, cui va data continuità, il giudicato relativo ad un
singolo periodo d’imposta è, bensì, idoneo a far stato in quelli
antecedenti o successivi, ma limitatamente a “qualificazioni
giuridiche” o ad altri eventuali “elementi preliminari” aventi
carattere di durevolezza nel tempo, “non estendendosi detto
vincolo a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della

l’infondatezza del secondo motivo, col quale si deduceva

decisione, ed in particolare alla valutazione delle prove ed alla
ricostruzione dei fatti” (così Cass. n. 13897 del 2008, ed, in
generale, Cass. SU n. 13916 del 2006, e Cass. n. 1198 del 2011

giudicato rientrano, proprio, in tale seconda categoria, non
venendo in rilievo qualificazioni giuridiche o elementi
preliminari di sorta, ma, appunto, l’apprezzamento del materiale
probatorio.
2. Ragioni di ordine sistematico impongono, ora, di
valutare il secondo motivo, con cui la ricorrente denuncia la
nullità della sentenza per violazione dell’art. 329, 2° co, cpc, in
relazione all’art. 360, 1° co, n. 4 cpc, per il mancato rilievo del
giudicato interno, che afferma essersi formato sulla decisione di
primo grado. In particolare, la contribuente sostiene che
l’appello dell’Ufficio non ha “riguardato la parte della sentenza
nella quale è stata rilevata l’illegittimità dell’atto impositivo per
vizi afferenti a taluni profili dello stesso (i.e. difetto di
motivazione e di prova)”, sicchè tali questioni dovevano ritenersi
definitivamente decise dalla sentenza di primo grado, e la CTR
le aveva riformate, omettendo, erroneamente, di rilevare
l’intervenuta formazione del giudicato interno, sul punto. 2.1. Il
motivo è infondato. La CTP ha annullato l’atto impositivo,
ritenendo insussistenti gli elementi posti a fondamento della
ripresa a tassazione (il parere del tecnico del settore dei marchi e
brevetti era apodittico, mentre era dimostrato che le royalties

in motivazione). 1.2. Le questioni accertate con l’invocato

erano corrisposte anche per la fornitura del software) e, cioè, in
base ad una valutazione di merito negativa dei presupposti della
pretesa impositiva stessa. Tale unica ratio decidendi è stata

insistito per la conferma dell’atto d’accertamento, predicandone
la legittimità (in quanto il valore normale doveva essere
accertato in riferimento all’unico bene immateriale oggetto del
contratto di licenza d’uso, e non traslativo della proprietà). 2.2.
Non è dato ravvisare, dunque, alcuna statuizione “formale” non
incisa dall’appello dell’Ufficio; e, del resto, ciò è conforme col
carattere del processo tributario che tende all’accertamento
sostanziale del rapporto controverso e si conclude con una
pronuncia di semplice invalidazione solo nel caso, differente da
quello in esame, in cui l’atto di accertamento sia affetto da vizi
formali (difetto assoluto o totale carenza di motivazione) gravi a
tal punto da precludere l’esame del merito del rapporto tributario
e non invece quando, come nella specie, la valutazione
dell’Ufficio sia, semplicemente, ritenuta infondata.
3. Col primo motivo, deducendo violazione degli artt. 36,
2° co, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992; 132, 2° co, n. 4 cpc e 118
disp. att. cpc, nonché vizio di motivazione, in riferimento all’art
360, 1° co, n. 4 e 5 cpc, la ricorrente afferma, anzitutto, che
l’impugnata sentenza è nulla, perche priva di motivazione, in
rapporto agli argomenti da lei svolti negli atti difensivi,
formulando il seguente quesito di diritto: “voglia codesta

totalmente investita dall’impugnazione dell’Ufficio, che ha

eccellentissima Corte dire se si debba o meno considerare affetta
da nullità, ai sensi degli ara. 1 secondo comma e 36 secondo
comma, n. 4 cod proc civ e 118 disp. att. in relazione all’art. 360,

si sono limitati -come nel caso qui in giudizio- a “giustificare” la
propria decisione sulla base di poche, apodittiche, asserzioni,
oltretutto radicalmente contraddittorie e neppure conferenti
rispetto all’ordine di doglianze protestato, senza cioè vagliare
criticamente e conferentemente le ragioni del contribuente, senza
altresì far constare compiutamente e chiaramente le ragioni del
proprio convincimento, ovvero l’iter logico-giuridico seguito al
fine di addivenire alla decisione medesima, facendo risultare
soltanto il senso meramente superficiale della decisione, senza
peraltro giustapporre criticamente e congruamente, ancorchè in
via di ragionevole sintesi, i diversi, opposti ordini di ragioni
formulati dalle parti in causa”. 3.1. In relazione al vizio di
motivazione, la ricorrente indica il fatto controverso e decisivo
nella congruità del corrispettivo pattuito con la casa madre,
facendo rilevare che i giudici d’appello avevano omesso di
considerare i documenti decisivi (contratti di distribuzione aventi
ad oggetto prodotti similari, metodo del c.d. confronto del
prezzo, un parere di congruità reso da uno studio legale, studi
analitivi di comparazione) la cui esatta valutazione avrebbe
condotto ad una conclusione diversa, e, cioè, a ritenere congrua
la corresponsione delle royalties nella misura del 30%.

primo comma n. 4 cod proc civ, la sentenza nella quale i Giudici

3.2. Il motivo è infondato, sotto entrambi i profili dedotti.
3.3. In relazione al primo, va osservato che, secondo la
condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 871 del

la carenza del requisito della motivazione, oltre che in ipotesi di
difetto assoluto, da un punto di vista materiale, della stessa anche
quando -e questo è il caso invocato nella specie- si sia in
presenza di una motivazione apparente, che è ravvisabile quando
le ragioni poste a base della decisione siano radicalmente
inidonee ad esprimere la ratio decidendi. Tale ipotesi non ricorre
nella specie, avendo i giudici d’appello indicato esattamente gli
elementi in base ai quali hanno ritenuto legittima la ripresa a
tassazione: dopo aver qualificato il rapporto tra la contribuente e
la casa madre americana come contratto di licenza d’uso del
software e non come cessione di bene materiale ed avere escluso
la sussistenza di distinzioni economiche tra marchio e software, i
predetti giudici hanno affermato che la determinazione della
royalty nella percentuale del 7%, operata con l’accertamento, era
conforme alle prescrizioni di cui al capitolo V della circolare n.
32 del 80 ed era sorretta da una “valida ed efficace” indagine
svolta dall’Ufficio tra gli operatori dello stesso ramo,
aggiungendo che la percentuale del 30%, pattuita nel contratto,
era all’evidenza conveniente, sotto il profilo fiscale, per la
cospicua differenza di tassazione cui era sottoposto il reddito in
Italia e nello stato americano,ove operava la casa madre. 3.3. A

2009; n. 7672 del 2003; 2067 del 1998), la sentenza è nulla per

tale stregua, la valutazione della congruità del corrispettivo da
versare alla casa madre, in riferimento all’oggetto del contratto
quale accertato dai giudici del merito, è sorretta da adeguata

Corte secondo cui non è necessario che la motivazione prenda in
esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le
argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che indichi le
ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere
implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente
incompatibili con esse (cfr. Cass. n. 12121 del 2004 ed ord. cit.
n. 2805 del 2011). 3.4. In relazione al denunciato vizio di
motivazione per il mancato esame degli elementi probatori, va
osservato che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa
Corte: a) detto vizio può comportare la cassazione della
sentenza, solo, se gli elementi probatori non esaminati siano
decisivi, e, cioè, tali da invalidare, con un giudizio di certezza e
non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze
sulle quali si fonda il convincimento della sentenza impugnata,
la cui ratio decidendi viene, così, a trovarsi priva di base (cfr.
Cass. 9368 del 2006; 9245 del 2007); b) al fine di consentire al
giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da
provare, e, quindi, delle prove stesse, è necessario che il
ricorrente riporti specificamente le circostanze oggetto della
prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente
interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa

motivazione, tenuto conto, pure, della giurisprudenza di questa

trascrizione, indagine che, per il principio dell’autosufficienza
del ricorso per cassazione, la Corte deve essere in grado di
compiere sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto

rispetta tale principio, in quanto non riporta il testo, nemmeno
nelle parti rilevanti, della documentazione (indicata, a pag. 12 e
segg. del ricorso come “copiosa documentazione” e “numerosi
contratti”) di cui si lamenta l’omesso esame, invocandone, da
una parte, il contenuto “incontestato” ed opponendo, dall’altro,
ostative “esigenze di economia processuale”. Ma, entrambi tali
rilievi non colgono nel segno, in quanto la circostanza che il
contenuto della documentazione fosse incontestato non riferisce
alcunché sul relativo oggetto e, soprattutto, non considera che,
avendo l’Amministrazione insistito, come si è già esposto al
punto 2.1., per la conferma della ripresa a tassazione -fondata sul
presupposto che il valore del bene immateriale fosse pari al 7%la stessa ha, così, contestato ogni assunto avversario, contrario a
tale tesi. Il lodevole scopo di non appesantire l’entità del ricorso
con la trascrizione degli atti, non può esentare la parte
soccombente dal formularlo in modo da contenere tutti gli
elementi idonei a porre la Corte in condizione di comprendere la
fondatezza delle censure, con esso prospettate. 3.6. Analoga
carenza di autosufficienza va rilevata in relazione agli ulteriori
elementi probatori -parere di un “noto studio legale” e studi di
comparazione commissionati dalla società madre statunitense- in

stesso (da ultimo, Cass. n. 17915 del 2010). 3.5. Il ricorso non

tesi pretermessi, dovendo aggiungersi che il relativo carattere di
decisività va escluso, anche, in ragione del loro (presumibile)
contenuto essenzialmente valutativo. 3.7. La delibazione della

preclusa, con conseguente infondatezza del corrispondente vizio
motivazionale. 3.8. La dedotta contraddittorietà della sentenza
nell’indicazione dell'”oggetto del trasferimento”, compensato
dalle royalties, è insussistente: la confusione, denunciata al
riguardo dalla ricorrente, tra marchio e software tralascia, di
proposito, di considerare che, secondo la CTR, non sussiste “una
distinzione economica tra marchio e software”.
4. Col quinto motivo, che va ora esaminato per comodità
espositive, la ricorrente denuncia, in due distinte censure, la
violazione e falsa applicazione degli artt 1 preleggi, 113, 1° co
cpc, 76, 2° e 5° co (ora 110, co 2 e 7) e 9 del TUIR, in relazione
all’art. 360, 1° co n. 3 cpc. 4.1. Sotto il primo profilo, la
ricorrente imputa alla CTR di aver applicato la circolare
32/9/2267 del 22 settembre 1980, considerandola alla stregua di
una norma di legge, formulando il seguente quesito: “voglia
codesta eccellentissima Suprema Corte dire se si debba o meno
ritenere illegittima, ai sensi degli artt. 1, preleggi, e 113, primo
comma, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3 cod. proc. civ., la sentenza recante una decisione cui i
giudici sono pervenuti -come nel caso qui in giudizioapplicando “de plano”, cioè alla stregua di norme di diritto, le

decisività dei mezzi istruttori invocati resta, in definitiva,

previsioni contenute in una circolare dell’Amministrazione
finanziaria”. 4.2. Sotto il secondo profilo, la ricorrente afferma
che il valore normale dei beni è stato determinato in modo

internazionali dettati dall’OCSE, sottoponendo il seguente
quesito di diritto: “voglia codesta eccellentissima Suprema Corte
dire se si debba o meno ritenere illegittima, ai sensi degli artt. 76,
secondo e quinto comma (ora 110, secondo e settimo comma) e 9
terzo comma dPR n. 917 citato, in relazione all’art. 360, primo
comma , n. 3 cod. proc. civ., la sentenza con la quale viene
affermata la legittimità della rettifica dei prezzi di trasferimento
effettuata -come nel caso in giudizio- applicando del tutto
acriticamente la percentuale genericamente prevista, a titolo,
indicativo, in una risalente circolare dell’Amministrazione
finanziaria, senza che l’applicabilità al caso concreto della
predetta percentuale sia stata verificata attraverso una analisi
economica del prezzo, effettuata in considerazione delle
caratteristiche proprie della fattispecie concreta, nonché delle
fattispecie (pure sussistenti) alla stessa comparabili”. 4.3. Il
primo sub-motivo è infondato, anche se va integrata la
motivazione in diritto, ex art 384 cpc. L’art. 76, co 5, (ora art.
110, co 7) del dPR n. 917 del 1986, disponendo che il costo dei
servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti devono esser valutati
in base al rispettivo “valore normale” è volto a contrastare il c.d.
“tranfer pricing” (o “tranfer price”), oggetto di specifiche

difforme dai criteri legali e dalla prassi improntata ai principi

direttive da parte dell’OCSE. Tale fenomeno, avente anche
carattere elusivo fiscale (cfr. Cass., n. 7343 del 2011; n. 11226
del 2007, n. 22033 del 2006) in quanto mira spostare all’estero

determinazione del prezzo di scambio di beni e servizi nel caso,
considerato dalla norma, di società facenti capo ad un unitario
centro di interesse economico (perché direttamente o
indirettamente controllate da società non residenti nel territorio
dello Stato). Per la determinazione del valore normale dei beni e
dei servizi, il secondo comma (richiamato dal settimo) dello
stesso art. 76 del T.U.I.R. rinvia alle disposizioni del precedente
art. 9, che, recependo il metodo del confronto dei prezzi indicato,
tra gli altri, nelle citate direttive dell’OCSE, dispone al terzo
comma, che “per valore normale… si intende il prezzo o
corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi detta
stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e ai
medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo
in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in
mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”. 4.4. Come
riconosce la stessa ricorrente, la circolare n. 32 del 22 settembre
1980, avente ad oggetto “il prezzo di trasferimento nella
determinazione dei redditi di imprese assoggettate a controllo
estero”, espressamente richiama le direttive dell’OCSE
sull’argomento, ed, in ispecie, la raccomandazione, volta alle
amministrazioni fiscali degli Stati contraenti, di rispettare il

redditi prodotti nel territorio dello Stato, consiste nell’artificiosa

principio “della libera concorrenza in sede di esame e di
aggiustamento dei prezzi di trasferimento”. In particolare, il
capitolo V della circolare n. 32 in esame, relativo alle cessioni

dichiaratamente al principio del prezzo di piena concorrenza,
“che sarebbe stato pattuito tra imprese indipendenti”, id est al
prezzo di mercato , in base al quale, va, parimenti, determinato il
“valore normale” di beni e servizi, a norma dei menzionati artt
76 e 9 del T.U.I.R. 4.5. La soluzione cui è pervenuta l’impugnata
sentenza, che ha affermato la legittimità dell’atto impositivo in
ragione dell’accertata sua “perfetta conformità” con le
indicazioni contenute nel capitolo V della circolare n. 32 del
1980, invece che, come avrebbe dovuto, con le menzionate,
sopravvenute, disposizioni normative, giunge, in definitiva, a
conclusioni giuridicamente corrette, sicchè con le esposta
motivazione, la sentenza va mantenuta ferma.
4.6. Il secondo sub-motivo muove, invece, dal presupposto
secondo cui la rettifica dei prezzi di trasferimento sarebbe stata
effettuata applicando acriticamente la percentuale contenuta
nella citata circolare n. 32 del 1980, presupposto che è, tuttavia,
infondato, perché non considera che, con apprezzamento di fatto,
infondatamente censurato, la sentenza ha accertato che la
rettifica della percentuale delle royalties -7% in luogo di quella
del 30% dichiarata- derivava da un’indagine, ritenuta valida ed
efficace, svolta al riguardo dall’Ufficio tra gli operatori del ramo.

dei beni immateriali, pone criteri di valutazione che si ispirano

4.7. A tanto, va aggiunto che, come accennato in fondo al punto
3.2., la CTR dà conto della finalità elusiva ravvisabile nella
pattuizione intercorsa tra la contribuente e la società controllante

evidenziando la certa convenienza da parte della società
ricorrente di ridurre il proprio reddito, aumentando, di riflesso
quello della controllante, in ragione della ben più lieve
tassazione cui è sottoposto il reddito nel paradiso fiscale
americano, ove opera la seconda (tassazione al 36% in Italia, ed
all’8,7% nello stato del Delaware). 4.8. La circostanza,
sottolineata dalla ricorrente, che la CTR si riferisca, a tal
proposito, ai redditi “di capitale” invece che, come avrebbe
dovuto, ai redditi “d’impresa” non è idonea, in sé, a privare di
valore detta analisi, che, ad ogni modo, non è stata, direttamente,
censurata.
5. Col terzo motivo, la ricorrente deduce, in subordine, la
violazione e falsa applicazione degli artt 42, co 2 e 3, del dPR n.
600 del 1973, 7, 1° co, della L. n. 212 del 2000, e 3, 10 co, della
L. n. 241 del 1990, in relazione all’art 360, 10 co, n. 3 cpc, per
avere la sentenza affermato la legittimità dell’atto impositivo pur
essendo lo stesso “motivato attraverso un mero richiamo, in via
del tutto acritica, alle risultanze della attività istruttoria effettuata
dai verbalizzanti, quando -come pure è nel caso in giudizio- tali
risultanze, a loro volta, sono date da un unico documento con
caratteri di apoditticità e genericità, nonché meramente relativo

statunitense, in ordine alla determinazione delle royalties,

ad una fattispecie generale a cui non è neppure riconducibile
quella concretamente in rilievo, trattandosi di una sentenza
recante apprezzamento del tutto e palesemente arbitrario ed

richiesti dalla legge”. 5.1. Il motivo è infondato. Secondo la
giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 23615 del 2011), cui si
presta adesione, il requisito motivazionale dell’accertamento, ai
sensi dell’art. 42, 2° co, del dPR. n. 600 del 1973, esige, oltre alla
puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della
posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione di fatti
astrattamente giustificativi di essa, che consentano al
contribuente di conoscere nel modo più compiuto i presupposti
di fatto e le ragioni giuridiche poste dall’ufficio finanziario a
fondamento dell’atto impositivo, e dunque di porlo in condizioni
di apprestare un’adeguata difesa, restando poi affidate al giudizio
d’impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo
verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla
pretesa impositiva. 5.2. La circostanza che l’atto impostivo finale
sia motivato “per relationem” ad altro atto del procedimento non
comporta, in sè, alcuna illegittimità, ma significa,
semplicemente, che l’Ufficio stesso, condividendone le
conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura, priva
di pregiudizio in ordine al corretto svolgimento del
contraddittorio, quando, come nella specie, si tratti di elementi
già noti al contribuente (cfr. Cass. n. 9784 del 2010). 5.3. La

aberrante dei minimi profili motivazionali della pretesa fiscale

questione della genericità e della apoditticità del documento
richiamato a fondare l’accertamento, nonchè della sua pertinenza
rispetto al caso concreto, non attiene, dunque, al requisito di

impositiva, oggetto di valutazione, a carattere pieno, in sede di
giudizio di merito, ed inibita in questa sede, in cui è consentita
l’impugnazione della sentenza d’appello, che lo definisce, solo,
per vizio di motivazione (doglianza, già, esaminata sopra, al
punto 4.6.).
6. Col quarto motivo, si deduce, sempre in via subordinata,
la violazione e falsa applicazione dell’art 2967 cc, in relazione
all’art. 360, 1° co, n. 3 cpc, per avere la CTR ritenuto provata la
pretesa impositiva, gravante sull’Amministrazione, sulla scorta
della sola dichiarazione, apodittica e generica, di un tecnico, per
di più riferita “ad una categoria generale (quella dei trasferimenti
aventi ad oggetto il diritto di utilizzo del marchio) differente da
quella cui è riconducibile la fattispecie in esame”. 6.1. Il motivo
è infondato: l’impugnata sentenza non ha affatto ribaltato il
principio legale sulla ripartizione dell’onere della prova,
ponendo a carico della contribuente l’onere, gravante
sull’Amministrazione, di provare che l’indicazione dei prezzi di
trasferimento non rispettava il “valore normale”, ma ha,
piuttosto, ritenuto soddisfatto l’onere probatorio anzidetto,
affermando che l’atto impositivo era legittimo “sia in linea di
diritto che in linea di fatto”. 6.2. L’apprezzamento dell’idoneità

motivazione dell’atto d’accertamento, ma al merito della pretesa

ESENTE DA REGISTR AZTONE
SEms
N. 131

i

degli elementi probatori acquisiti a condurre a tale conclusione
costituisce l’oggetto tipico del giudizio di merito, censurabile in
sede di legittimità, non per un rinnovato esame, ma, solo, per

5.2.
7. Il ricorso va, in conclusione, respinto e la ricorrente va
condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 13.000,00, oltre a spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2013.

vizio di motivazione, secondo quanto si è sopra esposto al punto

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